giovedì 19 gennaio 2023

Ifigenia III il dialogo nel bar. L’inconcludente, pauroso gesuita.


 

Uscimmo e ci avviamo verso un bar dove probabilmente non avremmo incontrato i colleghi: non il caffè più vicino. Volevo camminare trionfalmente nella luce del sole per osservare la ragazza illuminata dai suoi raggi e pure per compiacermi dell’ombra delle mie membra che dopo l’estate si trovano sempre nella loro forma migliore.

 

Entrai subito in medias res in modo dapprima diretto dicendo: “ allora, ragazza, quale donna e collega vuoi che faccia di te?”.

 

“Non so da dove cominciare” fece lei sentendosi forse aggredita.

 

“Inizia dal nocciolo della questione. Vai subito al centro siccome ci restano solo otto minuti” le dissi con un sorriso serio, incoraggiante.

 

“Va bene. Io mi sento molto attirata da te. Credo che tu possa aiutarmi e spero di contraccabbiarti con il poco che ho”. Calcava la voce sulle parole per significarmi che le diceva sul serio.

 

“Tu non hai poco,-la incoraggiai- sei giovane, bella e fine: hai stile”.

 

Mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine e di luce.

Aspettavamo i caffè e ci chiedevamo come procedere.

Ero tentato di accarezzarla, per lo meno, ma non feci nemmeno questo gesto preliminare, mi sembrò prematuro: la ragazza era lei e doveva darmene il permesso. Mentre aspettavo una sua mossa, pensavo che se avessi fatto l’amore con Ifigenia, richiesto da lei, non ci sarebbe stato inganno poiché le sue membra mi piacevano assai, il suo animo non doveva essere volgare dato che voleva imparare, imparare proprio da me per giunta, e a me piaceva insegnare. Era la prima volta che tale richiesta mi arrivava da una collega giovane molto e bella. I conti tornavano, tutti i conti.

Pensavo questo mentre si beveva il caffè e non si parlava.

 

A un tratto lei fece: “Tu che cosa vuoi fare con me?”

 

Nell’anima mia si aprì una finestra che fece entrare tutta la luce del cielo

“Quello che vuoi tu, quello che mi chiederai”.

 

Ebbi paura però di essermi lasciato andare troppo alla felicità che un’educazione pretesca mi aveva sempre indicato come colpa se associata all’amore o, peggio. al sesso, “la cosa più sporca del mondo” secondo i furfanti, scellerati bigotti chierici traditori di Cristo e laici, omacci magari sposati e frequentatori abituali di prostituite.

 

Sicché restrinsi l’apertura delle parole precedenti e quella della finestra che splancata mi aveva inondato di luce.

 

“Ascoltami creatura: io potrei essere quasi tuo padre o per lo meno un fratello maggiore cui ti stai affidando spero non incautamente. Possiamo frequentarci anche fuori dalla scuola, se vuoi, per quanto ce lo consente il lavoro, ma  limitiamoci all’amicizia per ora”.

Mentre parlavo mi accorsi che il discorso aveva un suono falso, stonato.

Faceva male a entrambi.  Infatti Ifigenia di fronte a tanta ipocrisia e viltà si ribellò e  rispose polemicamente:

 “Puoi dirmi con chiarezza che cosa vuoi da me? Se mi hai portata fuori dalla scuola di certo vuoi qualcosa, qualche cosa che non hai il coraggio di dire”.

L’essenziale l’aveva capito e l’aveva detto. Era intelligente e coraggiosa oltre che molto giovane e bella. Provai ammirazione e mi eccitai.

 

Tuttavia mantenni la mia vena gesuitica iniettata al dritto e a rovescio.

Da una parte la smania sessuale dall’altra la paura e il senso di colpa nel soddisfarla.”You fearful jesuit” mi dissi ricordando l’Ulisse di Joyce.

Quindi risposi dicendo solo una mezza verità. “Te l’ho detto, tesoro: cerco la tua amicizia. In te posso trovare un a sorella giovane, vitale, e genuina spero: una collega-allieva con cui potrò parlare apertamente di tutto e praticare gli sport che amo e so fare bene: correre a piedi e in bicicletta, d’inverno. Poi nuotare d’estate”.

L’avevo chiamata tesoro per rabbonirla lasciando uno spiraglio all’amore, ma non le bastò.

 

Bologna 19 gennaio 2023 ore 17, 30 giovanni ghiselli

p. s

Adesso il catalogo dei miei lettori è questo

Sempre1313843

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