Di nuovo su Cristo l’idiota.
Nietzsche antepone comunque Socrate a Cristo quanto a saggezza: “Rispetto al fondatore del cristianesimo, Socrate ha in più la gioconda forma di serietà e quella saggezza piena di birbonate, che costituisce per l’uomo lo stato d’animo migliore. Inoltre aveva intelletto più grande”[1].
Ricordete L’Anticristo dove Gesù è presentato come il tipo psicologico dell’idiota. Un mite idiota. Tutt’altro che eroe o genio come volle presentarlo “ il signor Renan, questo pulcinella in psychologicis” Aggiungo qualche parola: “Ma se c’è qualcosa di poco evangelico , questo è il concetto di eroe. Esattamente il contrario di ogni lotta, di ogni sentirsi in battaglia è qui divenuto istinto: qui diventa morale l’incapacità di opporre resistenza (”non opporti al male, “ è la parola più profonda dei Vangeli, in un certo senso la loro chiave, la beatitudine nella pace, nella dolcezza, nel non poter essere ostili”[2].
Qui devo contraddire questo mio maestro per certi versi: Cristo è stato ammazzato perché si è opposto al male esercitato dal potere, come Giovanni Battista. Questi due anzi sono dei prototipi dei “delinquenti politici” giustiziati come assurdamente si dice di tanti oppositori, di fatto assassinati summa cum iniuria dal potere. Francesco d’Assisi se l’è cavata perché è stato più cauto e accomodante come si vede nel recente film Chiara di Susanna Nicchiarelli.
“Nietzsche è e rimane-scrive Löwith-un compendio dell’antiragione tedesca”[3].
Nietzsche L’antimistico Socrate e il sacrilego Euripide.
Il mito era già stato messo in discussione dalla “pretesa della religione alla fondatezza storica”. Poi con la tragedia, quella di Eschilo, esso si risollevò: “Questo mito morente fu afferrato allora dal rinato genio della musica dionisiaca; e in mano sua esso fiorì ancora una volta, con colori quali non aveva mai mostrati, con un profumo che suscitava uno struggente presentimento di un mondo metafisico” Ma poi giunse il sacrilego Euripide a dargli il colpo di grazia che aprì la strada a tutti “i beffardi Luciani” dell’antichità: “Che cosa volevi, empio Euripide, quando cercasti di costringere ancora una volta questo morente a servirti? Morì tra le tue braccia violente, e allora sentisti il bisogno di un mito imitato, mascherato, che come la scimmia di Ercole sapeva oramai soltanto adornarsi con l’antica pompa. E come per te moriva il mito, moriva per te anche il genio della musica: per quanto tu saccheggiassi con avide mani tutti i giardini della musica, anche così giungesti solo a una musica imitata e mascherata. E poiché avevi abbandonato Dioniso, anche Apollo abbandonò te” [4].
E’ vero quanto ha scritto B. Croce, che La nascita della tragedia è “un libro scientifico sì, nell’assunto, ma circonfuso d’arte; una filosofia veramente poetica, in cui non mancano né la lirica né il dramma né la satira. Eschilo, Euripide e Socrate, rappresentati da Nietzsche, sono vere dramatis personae”[5].
Sono tanto dramatis personae che Aristofane li aveva presentati in maniera simile a questa di Nietzsche nelle Rane.
Euripide è un personaggio anche degli Acarnesi e delle Tesmoforiazuse, Socrate è satireggiato nelle Nuvole. Chi vorrà sapere di queste commedie mi farà domande durante il corso.
Per quanto concerne Euripide antimitico e antieroico è un fraintendimento completo. Per quanto riguarda Socrate corruttore dei giovani e negatore degli dèi il fraintendimento è per lo meno parziale. Che Socrate fosse anche un sofista però non è possibile negarlo. Cfr. Leopardi Zibaldone, 3474 citato sopra.
Nietzsche ravvisa una connessione tra Euripide e Socrate, una collaborazione cui già alludevano gli antichi : “Che Socrate avesse uno stretto legame di tendenza con Euripide, non sfuggì nell’antichità in quel tempo; e l’espressione più eloquente di questo fiuto felice è quella leggenda circolante ad Atene, secondo cui Socrate aiutava Euripide a poetare”[6]. Diogene Laerzio riporta questa credenza diffusa per la quale Socrate avrebbe collaborato con Euripide nella composizione delle tragedie. L’autore delle Vite dei filosofi cita alcuni autori, tra i quali Aristofane delle Nuvole prime (fr. 376 Kock) che denunziano questo fatto[7].
Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice-una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[8].
Questa affermazione può essere convalidata da quanto dice il Socrate di Platone: c’è in me una voce (fwnhv ti~) dissuadente: quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me tou'to o} a]n mevllw pravttein, protrevpei de; ou[pote, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, non mi esorta mai. ( Apologia di Socrate, 31d)
Dunque un istinto che frena, non spinge avanti, un anti-istinto. “Dover combattere gli istinti-ecco la formula della décadence: sino a che la vita si innalza, felicità è uguale a istinto”[9].
Quest’idea non verrà rinnegata più avanti da Nietzsche come altri aspetti[10] di questo scritto giovanile. In Ecce homo[11] il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita!”[12].
In Ecce homo “quasi alla fine della sua vita lucida, Nietzsche scrive: “Io non sono un uomo, sono dinamite”[13].
Anche in un frammento postumo della primavera 1888 Nietzsche riassume i pregi del suo scritto giovanile
14 (25) Sulla “Nascita della tragedia”.
“Ciò che contraddistingue questo libro è il nuovo modo di concepire i Greci; abbiamo già accennato agli altri due suoi meriti-la nuova concezione dell’arte come grande stimolante della vita, che incita a vivere; parimenti la concezione del pessimismo, di un pessimismo della forza, di un pessimismo classico; il termine classico usato qui non nel senso di una delimitazione storica, bensì psicologica. Il contrario del pessimismo classico è quello romantico: quello in cui si formula, in concetti e giudizi di valore, la debolezza, la stanchezza, la decadenza della razza: il pessimismo di Schopenhauer[14], per esempio, e così anche quello di de Vigny, di Dostoevskij, di Leopardi, di Pascal, quello di tutte le grandi religioni nichilistiche (brahmanesimo, buddhismo, cristianesimo-si possono chiamare nichilistiche per aver glorificato, tutte, il concetto opposto alla vita, il nulla, come fine ultimo, come sommo bene, come “Dio”)”[15].
Leopardi nelle sue ultime poesie è tutt’altro che rinunciatario alla critica, all’opposizione, alla denuncia delle malefatte del potere e dei servi del potere. Sebbene tali critiche gli siano costate misconoscimento almeno in vita e povertà nonostante i suoi grandi talenti. Rileggiamo quanto scrive nel canto testamentario: non taccio il disprezzo che sento per questo “secol superbo e sciocco (…) ben ch’io sappia che obblio/preme chi troppo all’età propria increbbe” (La ginestra, v. 53 e vv. 67-68).
Nietzsche dichiara la sua opposizione “al pessimismo romantico, cioè al pessimismo dei rinunciatari, dei falliti, dei vinti: c’è una volontà di tragicità e di pessimismo, che è segno in pari misura di rigore e di forza dell’intelletto (del gusto, del sentimento, della coscienza). Con questa volontà nel petto non si teme ciò che di terribile e di ambiguo è proprio di ogni esistenza; lo si ricerca persino” [16].
“Quarta proposizione. Suddividere il mondo in “vero” e “apparente” , sia al modo del cristianesimo, sia al modo di Kant (in fondo, un cristiano scaltro) è soltanto una suggestione della dècadence –un sintomo di una vita in declino. Che l’artista stimi più l’apparenza che la realtà, non costituisce un’obiezione a questa tesi. In questo caso infatti l’apparenza significa ancora una volta realtà, ma selezionata, rafforzata, corretta L’artista tragico non è pessimista-dice appunto sì a ogni cosa problematica e anche terribile, è dionisiaco”[17].
. “L’uomo tragico afferma anche il dolore più aspro: è abbastanza forte, ricco e divinizzatore per ciò. Il cristiano nega anche il destino più felice in terra: è tanto debole, povero e diseredato da soffrire ogni forma di vita. “Il dio in croce” è una maledizione della vita, un’esortazione a liberarsene”[18].
Bologna 9 gennaio 2022 giovanni ghiselli
p. s
Sempre1309832
[1] Umano, troppo umano II, Parte seconda, il viandante e la sua ombra 86-
[2] L’Anticristo, 29
[3] E. Nolte, Nietzsche, p. 65.
[4] Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 10
[5] B. Croce, “Le “Origini della tragedia” di F. Nietzsche, in Saggio sullo Hegel, Bari 1967, p. 407 sg. Ricavo il suggerimento e la citazione dal libro di Sossio Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 42.
[6] La nascita della tragedia , capitolo 13
[7] Vite dei filosofi (risale alla metà del III secolo d. C.), II, 5, 18.
[8] La nascita della tragedia , capitolo 13.
[9]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), Il problema di Socrate,11.
[10] Hegeliani e schopenhaueriani
[11] Del 1888.
[12] F. Nietzsche, Ecce homo, La nascita della tragedia, p. 49.
[13] Ecce homo, “Perché sono un destino”, 1
[14] Cfr. quanto abbiamo citato sopra di Lukács. Ndr.
[15] Frammenti postumi, Primavera 1888 14-25.
[16] Umano troppo umano, II, Prefazione, 7.
[17] Crepuscolo degli idoli o Come si filosofa col martello, La “ragione” nella filosofia, 6
[18] Frammenti postumi Primavera 1888 14 (89).
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