sabato 28 gennaio 2023

Nietzsche 92

Nietzsche 92.

Crepuscolo degli idoli. Scorribande di un inattuale. 17

“Gli uomini più spirituali, premesso che sono anche i più coraggiosi, vivono anche le tragedie più dolorose: ma onorano la vita, appunto perché essa oppone loro la sua più forte ostilità”

Poche parole che vanno commentate.

La mia replica è che “gli uomini più spirituali” vivono anche le gioie più sublimi dense e profonde perché sono appunto ricchi di spirito: di intelligenza e sensibilità.

 

Schopenhauer addita al disprezzo "l'uomo privo di ogni bisogno spirituale (...) è per l’appunto ciò che viene chiamato un filisteo. Costui è e rimane cioè l' a[mouso" ajnhvr", ossia l'uomo estraneo alle muse. Di conseguenza le ostriche e lo champagne sono il punto culminante della sua esistenza, e lo scopo della sua vita consiste nel procurarsi tutto ciò che contribuisce al suo benessere materiale ( …) nulla lo rallegra, nulla lo eccita (…) Caratteristica di questo “filisteo”, è dunque una serietà ottusa e arida, prossima alla serietà animalesc”a (Parerga e Paralipomena , Tomo I, pp. 462 ss.)

Non solo ostriche e champagne: costui vince la noia e cerca di riempire il vuoto che ha dentro giocando a carte o guardando le partite di calcio: altro mai non desidera.

L’uomo ricco di spirito impara continuamente e può ricavare grandi gioie anche dalle difficoltà che affronta proprio perché vuole imparare sempre: da nuovi incontri, da nuovi libro, da nuove salite impervie.

Dio, chiunque egli sia è con lui: è il giobbe biblico, è il Seneca del De providentia è il Giove del Cimbelino di Shakespeare citati sopra.

Li cito di nuovo per chi non li avesse già visti o sentiti

Seneca nel De providentia[1]  trova un significato positivo non solo nel lavoro ma pure nelle disgrazie (incommoda),  nei dolori e nelle perdite, quali prove per esercitare e temprare la virtus :"Marcet sine adversario virtus" (2, 4), senza un avversario la virtù marcisce; e Dio nei confronti degli uomini buoni conserva l'animo di un padre, li ama con forza, e ha questi progetti:"Operibus, inquit, doloribus, damnis exagitentur, ut verum colligant robur" (2, 6), con lavori, disse, dolori, perdite, si affannino per raccogliere la vera forza. "Languent per inertiam saginata nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt", infiacchiscono nell'ozio i corpi ingrassati, e non solo per la fatica, ma per il movimento, e per lo stesso peso di sé vengono meno.

Tratta questo tema anche Shakespeare nel Cimbelino[2]  quando Giove “nella teofania che lo vede discendere cavalcando l’aquila fra tuoni e fulmini (l’equivalente pagano del “turbine” dal quale Dio parla a Giobbe), disegna con fermezza il confine fra le competenze umane e quelle divine, formulando la legge che governa l’insondabile giustizia e la segreta caritas provvidenziale della divinità: “Non v’angustiate di pene mortali:/non è vostra, ma nostra la cura./Chi più amo più metto alla prova,/per far che i miei doni, più attesi,/siano ancor più graditi (whom best I love I cross; to make my gift,/The more delay’d, delighted). Tranquilli,/la nostra grande divina potenza/solleverà vostro figlio umiliato”[3].  Questa non è più soltanto la comparsa in scena del tradizionale, risolutorio deus ex machina. Si tratta, invece, di una vera e propria teodicea. Le “pene mortali” sono preoccupazioni esclusive della divinità, e gli uomini non se ne devono angustiare. “Chi più amo, più metto in croce”, sembra dire Giove usando la parola “cross”, e offre la chiave teologica di tutto il dramma; la felicità si ottien soltanto dopo grandi, dolorose prove, ed è un dono gratuito di Dio, che lo ritarda perché gli uomini vi trovino ancor maggiore diletto”[4].

Bologna 28 gennaio 2023-

p. s.

Ieri sera ho visto un film brutto dal titolo bugiardo Un bel mattino. E’ un inno al’egoismo e alla prepotenza che umilia i deboli, compresi i genitori vecchi e malati per il proprio comodo. La nostra corrisponde alla bassa età del ferro di Esiodo.

 La prima fase  di questa era  è quella in cui visse l’autore il quale depreca il tempo della propria nascita. Il gevno~ sidhvreon (Opere e giorni, v. 176) è contrassegnato da fatica e miseria e duri affanni. Eppure tra i mali si troveranno misti dei beni. Più avanti però Zeus distruggerà anche questa razza e, nella bassa età del ferro, i beni spariranno del tutto.  Allora gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181), i figli non saranno simili al padre, né il padre ai figli i quali oltraggeranno i genitori che invecchiano, l’ospite non sarà caro all’ospite, né il compagno al compagno, nemmeno il fratello, come prima.

La protagonista di questo, film presentata come un’eroina senza macchia né paura, nella conclusione davvero “eroica” della vicenda non risponde al padre malato e ricoverato in ospedale che la chiama ripetutamente, e invece corre dall’amante, felicissima perché lui ha abbandonato la moglie e il figlio bambino per andare a vivere con lei e la bambina di lei, una vedova prima triste poi allegra. Abbastanza brava l’attrice ma il film oltre essere diseducativo è noioso.

 

Sempre1317019

 

 

 

 

 



[1] Risale ai primi anni del disimpegno politico (62-63 d. C.)

[2] 1609-1610

[3] V iv 99-103: “Be not with mortal accidents opprest;/No care of yours it is; You know ‘tis ours./Whom best I love I cross; to make my gift,/The more delay’d, delighted. Be content;/Your low-laid son our godhead will uplift”.

[4] P. Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 95.

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