Lo spettatore vede l’eroe tragico in epica chiarezza e bellezza, e tuttavia gode del suo annientamento. Mentre rabbrividisce per i dolori dell’eroe, presagisce una gioia suprema. Il mondo dell’apparenza giunge agli estremi limiti poi si rifugia in grembo alla vera e unica realtà. Nietzsche cita ancora Tristano e Isotta (atto III) dove, secondo il metafisico canto del cigno, la gioia suprema è annegare e sprofondare nel flutto.
Lo spettatore veramente estetico immagina che l’artista tragico simile alla divinità dell’individuatio, crei le sue figure, poi però con il suo enorme istinto dionisiaco ingoi tutto questo mondo di apparenze, per fare intuire attraverso la sua distruzione una gioia primigenia in grembo all’uno originario.
I cultori di estetica non sanno dire nulla di questo ritorno alla patria originaria, e invece dicono che il vero elemento tragico è la lotta dell’eroe con il destino (cfr. A. W. Schlegel), la vittoria dell’ordinamento morale del mondo o lo scaricarsi di affetti prodotto dalla tragedia (cfr. Aristotele, Poetica).
Questi non sono uomini esteticamente eccitabili (p. 147).
Al massimo sono esseri morali davanti alla tragedia.
Schlegel: “Gli antichi vedevano nel Destino una divinità tetra e implacabile, abitatrice d’una sfera inaccessibile e molto al di sopra a quella degli Dei ( Corso di letteratura drammatica, p 57)
Nessuno ha spiegato invece l’attività estetica degli spettatori.
La catarsi di Aristotele sembra una scarica patologica di cui non è chiaro se sia da annoverare tra i fenomeni della medicina o quelli della morale (p. 148). Questo dubbio richiama una singolare intuizione di Goethe il quale scrisse a Schiller (9 dicembre 1797) di non riuscire a elaborare una situazione tragica senza un vivo interesse patologico; ed era un altro privilegio degli antichi “che per loro anche le cose più patetiche fossero solo un gioco estetico”, Nella tragedia musicale appunto le cose più patetiche diventano un gioco estetico.
L’ascoltatore estetico non è il critico “con pretese a metà morali a metà erudite”. Il critico è un essere pretenziosamente arido e incapace di godimento. I giornali predispongono il pubblico a questo atteggiamento. Gli autori dovettero adeguarsi a tale pubblico invocando l’ordine morale del mondo. Oppure l’autore presentava nel dramma l’attualità politica e sociale, in modo che lo spettatore provasse passioni simili a quelle che si provano davanti alla tribuna oratoria del parlamento o del tribunale.
Schiller volle impiegare il teatro come istituto per la formazione morale del popolo, ma questa tendenza è superata.
Il critico prendeva il sopravvento nel teatro, il giornalista nella scuola, la stampa nella società, e l’arte degenerava mentre la critica estetica veniva utilizzata come tessuto connettivo di una socievolezza egoistica il cui senso viene fatto capire dalla parabola dei porcospini di Schopenhauer , sicché si chiacchiera dell’arte e non la si considera.
In Parerga e Paralipomena (II, p. 884) i porcospini trovarono una moderata distanza reciproca per non sentire freddo e non pungersi.
Così gli uomini provano bisogno di compagnia per il vuoto della loro interiorità, ma del resto provano disgusto del prossimo. La distanza media con la cortesia e le buone maniere rende possibile la coesistenza.
“Colui però che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli”.
Bologna 16 gennaio 2022 ore 18, 39 giovanni ghiselli
Sempre1312741
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