Il XVIII libro racconta la battaglia di Cinoscefale tra Flaminino e Filippo che, sconfitto, fugge (197 a. C.). Viene confrontata l'avidità di bottino e la slealtà degli Etoli con l'integrità dei Romani, in particolare quella di Emilio Paolo e di suo figlio Publio Scipione che quando abbatterono rispettivamente la Macedonia e Cartagine non presero nulla per sé.
Nel 197 muore Attalo I, che viene elogiato. Durante i giochi Istmici del 196 Tito Quinzio Flaminino proclama la libertà della Grecia che sarebbe rimasta senza guarnigioni, esente da tributi e con le proprie leggi. I Greci presenti, per l'eccesso della gioia ("dia; th;n uJperbolh;n th'" cara'"", 29, 11) , nel ringraziare Tito per poco non lo uccisero.
Plutarco e Nerone. Un re matto rivalutato da Plutarco per il suo filellenismo
Anche Plutarco racconta questo episodio seguendo Polibio e aggiungendo altri particolari e la considerazione che a Corinto è capitato di vedere due volte lo stesso beneficio in favore dei Greci: prima da Tito, poi da Nerone che lo fece nel 67 d. C., anch'egli nel corso dei Giochi Istmici, ma non per mezzo di un araldo, bensì personalmente parlando al popolo su un palco nell'agorà ("Nevrwn d& aujto;" ejpi; th'" ajgora'" ajpo; bhvmato" ejn tw'/ plhvqei dhmhgorhvsa"", (Vita di Tito Flaminino , 12, 13). In questo modo viene rivalutato Nerone il quale non aveva compiuto solo un gesto da filelleno o "una stravaganza letteraria", ma concretamente aveva esentato i Greci dai tributi che dovevano a Roma. Un beneficio che però nel 73 Vespasiano ritolse dicendo che i Greci avevano disimparato la libertà. Così la Grecia divenne una provincia senatoria con il nome di Achaia . Perciò nei successivi anni 70 i sudditi orientali dell'impero aspettavano il ritorno di Nerone come Messia e vendicatore contro l'oppressione di Roma. E il greco, sacerdote delfico Plutarco, nel De sera numinis vindicta (567 F), immagina che l'anima di Nerone, già condannata a vivere nel corpo di una vipera, passi alla vita di un cigno poiché aveva fatto qualche cosa di buono liberando i Greci, la stirpe più insigne e cara agli dèi.
Del XIX libro non sono pervenuti frammenti diretti.
Del XX libro restano frammenti con le ostilità e le attività degl Etoli contro Achei e Romani. Gli Etoli erano insoddisfatti del trattamento ricevuto in seguito alla vittoria di Cinocefale su Filippo V cui avevano contribuito.
Nel XXI libro prosegue la guerra contro gli Etoli. Antioco III di Siria, altro nemico di Roma, viene sconfitto dai Romani, aiutati da Eumene II di Pergamo , a Magnesia al Sipilo nel 190. Gli Scipioni, Lucio Cornelio e suo fratello l'Africano, che avevano guidato l'esercito impongono la pace di Apamea (188) e tornano a Roma. Anche gli Etoli, perduta Ambracia, nel 188 devono accettare la pace che li rende vassalli di Roma.
Il XXII libro tratta di vari contrasti tra i Greci e dei loro rapporti con i sovrani ellenistici, senza fatti di particolare rilievo.
Il XXIII libro riferisce di varie ambascerie straniere a Roma, quindi presenta l'elogio di Filopemene, di Annibale e di Scipione.
IL XXIV libro racconta ancora di ambascerie a Roma e di un conflitto tra il sovrano di Pergamo Eumene II e Farnace I re del Ponto.
Nel XXV c'è la pace tra i due re in conflitto e l'inizio del regno di Perseo (179 a. C.), figlio e successore di Filippo V sul trono di Macedonia.
Un altro re matto
Gli scarsi frammenti del XXVI libro raccontano le stranezze di Antioco IV Epifane, chiamato anche Epimane per le sue stravaganze. Gli piaceva soprattutto fare baldoria con la gente comune: alcuni pensavano un semplice, altri un matto ("oij me;n ga;r ajfelh' tina aujto;n ei\nai uJpelavmbanon, oiJ de; mainovmenon", I, 7). Questo re di Siria (dal 175 a. C.) fa parte dunque di quella banda di sovrani eccentrici il più noto dei quali, per gli appassionati di cinema, è Ludwig II di Baviera sul quale Visconti ha fatto un film di rara bellezza. Di lui l'imperatrice Elisabetta, sua cugina, disse:" Non è abbastanza pazzo per essere chiuso in gabbia e, d'altra parte, è troppo anormale per potere intrattenere rapporti soddisfacenti con le persone sane di mente"[1]. Lo stesso forse poteva dirsi del lunatico re asiatico .
Altri re matti
Il re lunatico[2]: da Edipo tebano a Candaule di Lidia a Ludwig II di Baviera.
un re matto, abbiamo visto, è già quel Candaule di Erodoto (I, 8 e sgg.) che vuole mostrare la moglie nuda a Gige. Il re matto più famoso, almeno per chi ama il cinema e la letteratura moderna, è Ludwig II di Baviera. Lo ricorda D'Annunzio ne Le vergini delle rocce :"V'ha però un'anima veramente regale, e voi forse avete potuto considerarla da presso: è della stirpe di Maria Sofia. Quel Wittelsbach mi attrae per l'immensità del suo orgoglio e della sua tristezza. I suoi sforzi per rendere la sua vita conforme al suo sogno hanno una violenza disperata. Qualunque contatto umano lo fa fremere di disgusto e di collera; qualunque gioia gli sembra vile se non sia quella che egli stesso imagina. Immune da ogni tossico d'amore, ostile a tutti gli intrusi, per molti anni egli non ha comunicato se non con i fulgidi eroi che un creatore di bellezza gli ha dato a compagni in regioni supraterrestri. Nel più profondo dei fiumi musicali egli estingue la sua sete angosciosa del Divino, e poi ascende alle sue dimore solitarie ove sul mistero delle montagne e dei laghi il suo spirito crea l'inviolabile regno che solo egli vuol regnare. Per questo sentimento infinito della solitudine, per questa facoltà di poter respirare su le più alte e più deserte cime, per questa consapevolezza d'esser unico e intangibile nella vita, Luigi di Baviera è veramente un Re: ma Re di sé medesimo e del suo sogno. Egli è incapace di imprimere la sua volontà su le moltitudini e di curvarle sotto il giogo della sua Idea; egli è incapace di ridurre in atto la sua potenza interiore. Nel tempo medesimo egli appare sublime e puerile. Quando i suoi Bavari si battevano con i Prussiani, egli era ben lungi dal campo di battaglia: nascosto in una delle sue isolette lacustri, obliava l'onta sotto uno di quei ridicoli travestimenti ch'egli usava per favorire le sue belle illusioni. Ah, meglio sarebbe per lui, piuttosto che frapporre tra la sua maestà e i suoi ministri un paravento, meglio sarebbe raggiungere alfine il meraviglioso impero notturno cantato dal suo Poeta! E' incredibile ch'egli non si sia già partito dal mondo, trascinato dal volo delle sue chimere..."(pp. 151-152).
In questo discorso di Claudio Cantelmo c'è ammirazione mista a simpatia e compassione.
Sentimenti non tanto diversi esprime Thomas Mann nel Doctor Faustus dove si svolgono gite ai "castelli teatrali del pazzo popolare"(p. 278). Una di queste è ambientata a "Linderhof, il piccolo castello rococò di Luigi II...in una solitudine montana di grandiosa bellezza. Il desiderio regale di scansare gli uomini non avrebbe potuto trovare un rifugio più favoloso. Certo, nonostante gli elevati sentimenti che suscitava la magia del luogo, il gusto che si manifestava nell'irrequieta smania costruttiva del misantropo-espressione della sua brama di esaltare la propria regalità-era a volte imbarazzante. Ci fermammo e, guidati da un guardiano, visitammo le stanze sontuose e sovraccariche..."(p. 587). Segue una discussione sulla pazzia di Ludwig che da splendidissimo giovane salito sul trono di Baviera nel 1864, diciottenne, durante il regno si capovolse in mostro pazzo e deforme, quindi venne esautorato e rinchiuso in un castello "lacustre", sullo Starnbergersee dove fu trovato affogato in un metro d'acqua la sera del 13 giugno 1886.
T. Mann dunque riferisce la "controversia...circa la così detta follia, l'incapacità di governo, la detronizzazione e l'interdizione di Luigi-che, con grande stupore di Rudi, io consideravo un atto ingiustificato e brutale da meschini borghesi"(p. 587). Il narratore è Serenus Zeitblom, un "dottore in lettere"(p. 10) che trovava, come noi, un "nesso intimo fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo"(p. 12). Nella discussione con il suo antagonista, Rudi, che considera il re "matto da legare", Serenus replica che "la pazzia...è un concetto molto incerto, che l'uomo meschino maneggia troppo ad arbitrio, secondo criteri ambigui. L'uomo così fatto stabilisce il limite del comportamento ragionevole molto vicino a se stesso e alla propria volgarità, e ritiene che tutto quanto passa questo limite debba essere follia. Ora la vita regale, sovrana e circondata dalla devozione, largamente superiore alla critica e alla responsabilità e, nello sviluppo della sua dignità, consacrata a uno stile che è inaccessibile anche al più ricco uomo privato, offre alle inclinazioni fantastiche, ai bisogni e alle ripugnanze nervose, alle strane passioni e aspirazioni di un re, uno spazio così largo che, orgogliosamente sfruttato, può presentare l'aspetto della pazzia. A qual mortale, inferiore a questo livello, sarebbe mai concesso di crearsi solitudini dorate in regioni elette e stupende come fece Luigi? Quei castelli sono monumenti di regale misantropia, è vero: ma se nella media delle qualità umane, non è lecito considerare la misantropia come un sintomo di pazzia, perché dovrebbe esser lecito quando quel sentimento può esprimersi in forme regali?". Quanto ai medici che constatarono la sua pazzia, si trattava di "docili scienziati" i quali "lo avevano fatto per incarico...senza aver mai visto Luigi, senza averlo "esaminato" secondo i loro metodi, senza aver scambiato una parola con lui. D'altro canto, una conversazione che quei meschinelli avessero avuto con lui su musica o poesia li avrebbe certo convinti della sua follia. In base al loro verdetto quell'uomo che era evidentemente anormale, ma non per questo pazzo, era stato privato della facoltà di disporre di sé, umiliato a paziente da manicomio, chiuso in un castello lacustre, con le maniglie delle porte svitate e con le inferriate alle finestre. Se non era stato capace di sopportare queste umiliazioni, ma aveva cercato la libertà o la morte trascinando con sé nella rovina anche il medico-carceriere, ciò viene piuttosto a confermare il suo senso di dignità che la diagnosi di follia. A favore di questa, del resto, non depone nemmeno il contegno del suo seguito, che gli era attaccato al punto di essere disposto a battersi per lui, né l'affetto entusiastico della popolazione agreste per il suo re. Questi contadini, vedendolo passare di notte solo solo, avvolto nella pelliccia, alla luce delle fiaccole, sulla slitta dorata preceduta da guardie a cavallo, non scorgevano in lui un pazzo, ma un re secondo il loro cuore rude ma sognatore; e se fosse riuscito ad attraversare a nuoto il lago, come si era evidentemente proposto, lo avrebbero difeso all'altra sponda con le forche e coi correggiati contro la medicina e la politica"[3].
Secondo T. Mann quel lunatico sovrano fu vittima di una congiura. Un libro recente spiega la stravaganza del re con una sifilide contratta attraverso rapporti omosessuali, quindi doppiamente obbrobriosa e da doversi celare ad ogni costo:" Certamente vi era in Ludwig un'eccentricità latente che era, apparentemente, una caratteristica innata di alcuni membri della famiglia Wittelsbach, che annoverava così tanti matrimoni fra consanguinei. Ma eccentricità non vuole dire pazzia...All'epoca della morte del re, la sifilide era conosciuta come una malattia del sistema nervoso e veniva spesso trattata con dosi di mercurio e di potassio. Ciononostante, aveva una connotazione infamante che, nella pudica epoca vittoriana, ne impediva la franca ed aperta discussione...La teoria della sifilide...spiegherebbe anche il grande riserbo che circondò i suoi ultimi anni e, in particolare, la sua vita sessuale. Il danno che una tale rivelazione avrebbe potuto apportare al prestigio della famiglia Wittelsbach e al trono nella conservatrice e cattolica Baviera, fosse esso reale o soltanto supposto, era tale da comportare una copertura di proporzioni massicce, destinata a proteggere sia la memoria del re dopo la sua morte che la stabilità della corona"[4].
In ogni caso Ludwig peccò di dismisura. Io trovo molti aspetti comuni tra questo fantastico re che pochi giorni prima di morire scrisse:"Dalla posizione più alta che un uomo possa occupare nel mondo, sto per essere gettato negli abissi più profondi", e l'Edipo re della tragedia sofoclèa, il risolutore dell'enigma della Sfinge, il salvatore che si capovolge da capo carismatico a farmakov". Nella dramma di Sofocle il coro deplora che la prepotenza, quale si sta rivelando quella del tuvranno" di Tebe, fa crescere il tiranno, la prepotenza ("uJvbri"")/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa("ajpovtomon w[rousen eij" ajnavgkan").[5]. Del resto i due sovrani oltre il capovolgimento in capri espiatori hanno in comune la connessione con l'enigma: quello della Sfinge per Edipo di Tebe, e quello rappresentato dalla sua stessa persona per Ludwig II di Baviera che scrisse:"Voglio rimanere un eterno enigma, per me stesso e per gli altri". Parole che ricavo citate dal libro di King, Ludwig, Genio E Follia Di Un Re (p. 342) e che pure Visconti, nel suo splendidissimo Ludwig II,
fa pronunciare al protagonista in procinto di
affogare. Chi vuole capire questa scheda deve vedere il film. Un successivo
episodio della mia narrativa racconta il viaggio devoto che Ifigenia e io
facemmo nel 1981 ai castelli di Ludwig e al lago dove il re affogò. Pregammo
per la sua anima bella. Ifigenia disse che dopo tanti dissapori mi amava di
nuovo perché aveva visto in me un parente spirituale di Ludwig. Partimmo dopo
avere visto il film di Visconti, uno dei più belli di sempre. Forse anticiperò
il racconto del nostro pellegrinaggio in Baviera.
Il XXVII libro racconta la guerra macedonica per la quale il re Perseo cerca sostegni e adesioni trovandoli nei Beoti, mentre Rodi è favorevole a Roma.
Il XXVIII libro narra altri momenti della guerra macedonica. Polibio offre aiuti Achei al console romano del 169, Q. Marcio Filippo, ma questo rifiuta. Intanto Tolomeo VI e Antioco IV combattono per la Celesiria.
Nel XXIX libro troviamo, tra l'altro, la conclusione della guerra macedonica con la vittoria del console Emilio Paolo a Pidna, il 22 giugno del 68.
Il XXX libro racconta le conseguenze della sconfitta di Perseo: coloro che non avevano parteggiato per i Romani vengono perseguiti non solo dai vincitori ma anche dalla penna di Polibio il quale si sofferma in particolare su due cittadini di Rodi, Deinone e Poliarato. Costoro vengono accusati di stupidità e vigliaccheria; in particolare Poliarato che cercò di salvarsi la pelle in vari modi, uno dei quali mi interessa, poiché questo perseguitato politico, quando si trovò a Faselide, una città della Licia, prese dei ramoscelli verdi e andò come un supplice a rifugiarsi presso il focolare pubblico ("labw;n qallou;" katevfugen ejpi; th;n koinh;n eJstivan", XXX, 9, 4). Ebbene nel prologo dell'Edipo re dove Tebe è perseguitata dal male, il protagonista entra in scena e vede i suoi "figli"("tevkna", v. 1), "ijkthrivoi" klavdoisin ejxestemmevnoi"(v. 3), con i supplici rami incoronati.
Plutarco nella Vita di Teseo (18) racconta che l'eroe ateniese andò al Delfinio dove offrì ad Apollo il simbolo dei supplici, consistente in un ramo dell'olivo sacro avvolto di lana bianca, per impetrare l'aiuto del dio.
Come si vede lo stesso gesto compiuto da un grand'uomo vincente è un atto di pietà, fatto da un piccolo uomo perdente, è segno della sua "stupidità e vigliaccheria". Questo ci insegna molto sulla propaganda gestita dal potere per mezzo dei suoi servi.
Polibio del resto mette le mani avanti dicendo di non voler fare il corvo delle sventure il che sarebbe del tutto fuori posto ("kai; ga;r a[topon ge tou'to televw"", XXX 9, 21) ma solo mettere in evidenza la stoltezza di certe persone. Sappiamo come il nostro autore seppe destreggiarsi: mandato a Roma come ostaggio fu capace di ingraziarsene i signori e giustificò il loro imperialismo, umanistico fino a un certo punto, e nient'affatto umano: Strabone[6], dalla cui opera recuperiamo parti perdute di quella di Polibio, ci informa che Polibio afferma che Emilio Paolo, dopo la definitiva caduta di Perseo e dei Macedoni, distrusse settanta città dell'Epiro e ridusse in schiavitù centocinquantamila uomini ("pevnte de; kai; devka muriavda" ajnqrwvpwn ejxandrapodivsasqai", XXX 15). Del resto il vincitore manifestò il suo filellenismo visitando i luoghi più sacri della Grecia che tuttora sono frequentati da parte di chi ama quella splendidissima civiltà: Argo, Epidauro, e soprattutto Olimpia che in effetti è uno dei luoghi più ameni e suggestivi della terra: qui il console romano vide la statua di Zeus, rimase sbalordito("kai; to; a[galma qeasavmeno" ejxeplavgh", XXX 10 6) e disse che soltanto Fidia aveva saputo rappresentare lo Zeus di Omero e che la realtà superava di molto le sue attese. L'umanesimo di Emilio però non risparmia gli Epiroti che infatti vengono definiti da Polibio come simili agli Etoli, altri uomini messi al bando dall'umanità. Gente che prima aggrediva gli altri Greci, poi si dilaniava da sola: erano pronti a tutto e avevano raggiunto un tal grado di bestialità che neppure permettevano ai loro magistrati di deliberare.
Perciò l'Etolia era in preda al caos, alla criminalità e alla violenza assassina, e nulla di quanto vi si faceva era frutto di riflessione e di un progetto preciso, ma tutto veniva fatto a caso e alla rinfusa, come se si fosse abbattuto su di loro una sorta di uragano ("pavnta d& eijkh'/ kai; fuvrdhn ejpravtteto, kaqaperei; laivlapov" tino" ejmpeptwkuiva" eij" aujtouv"", XXX 11 6). Vediamo come "lo traduce" Livio:" Linguam tantum Graecorum habent sicut speciem hominum: moribus ritibusque efferatioribus quam ulli barbari, immo quam immanes beluae vivunt "(XXXIV, 24) (Gli Etoli) dei Greci hanno soltanto la lingua, come di uomini solo l'aspetto: vivono con usanze e costumi più selvaggi di tutti i barbari, anzi delle stesse bestie feroci.
Bologna 31 gennaio 2022 ore 9, 50
p. s
Sempre1318048
[1]G. King, Ludwig. Genio E Follia Di Un Re , p. 285.
[2]To whose hands have you sent the lunatic King? Speak ( Shakespeare, Re Lear , III, 7) in mano a chi avete messo il re matto? Parlate.
[3]T. Mann, Doctor Faustus , p. 589.
[4]Greg King, Ludwig, Genio E Follia Di Un Re , pp. 293 e 294.
[5]Edipo re , vv. 873-877.
[6]VII, 7, 3. Di questo autore della Geografia in 17 libri arrivati a noi quasi per intero, vissuto tra il 63 a. C. e il 23 d. C., voglio citare una splendida frase che trovo nell'ottimo commento alle Baccanti (1998, p. 9) dell'amico Fulvio Molinari:" eu[ me;n ei[rhtai kai; tou'to, tou;" ajnqrwvpou" tovte mavlista mimei'sqai tou;" qeouv", oJvtan eujergetw'sin: a[meinon d& a[n levgoi ti", oJvtan eujdaimonw'si"(X, 3, 9), è stato detto ottimamente anche questo: che gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene; ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici.
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