“La risposta di Anassagora sarebbe questa: “ il nus ha il privilegio dell’arbitrio (…) non ha alcun dovere e quindi neppure uno scopo che sarebbe costretto a perseguire (…) Lo spirito anassagoreo è un artista, cioè il genio più possente della meccanica e della architettura, che con i mezzi più semplici crea le forme e le orbite più grandiose, un’architettura volubile, sempre prendendo le mosse da quell’arbitrio irrazionale che si annida nel profondo dell’artista”. Nietzsche sembra identificare il Nou`~ di Anassagora con una divinità di tipo dionisiaco. E addirittura con se stesso. Lo identifica poco sotto pure con Fidia e il suo cosmo con il Partendone che ci fa gridare: “il divenire non è un fenomeno morale ma un fenomeno artistico”.
Di fatto un’opera come il Partenone non può non avere richiesto l’impiego della disciplina e della tecnica, del calcolo e della ragione oltre quella beninteso del genio. L’artista non è un capriccioso geniale, anzi è un genio molto esercitato
Nella Vita di Filippo Brunelleschi scritta da Vasari (di Arezzo 1511-1574) si legge di un’operazione filologica dell’architetto il quale attraverso uno studio comparativo arriva ad avere una visione d’insieme dei monumenti antichi come erano prima di andare in rovina.
Brunelleschi visse del tempo a Roma dove “datosi in preda agli studi, non si curava di suo mangiare o dormire: solo l’intento suo era l’architettura che già era spenta: dico gli ordini antichi (…) Fu adunque da lui messo da parte ordine per ordine, dorico, ionico e corintio; e fu tale questo studio, che rimase il suo ingegno capacissimo di poter vedere nella immaginazione Roma, come ella stava quando non era rovinata”. Ne seguì il suo capolavoro più conosciuto e diversi altri. Aveva appreso dai monumenti antichi a “voltare” la grande cupola senza bisogno di armature.
Nel campo della letteratura a parer mio è necessario il medesimo “darsi in preda agli studi” degli antichi per ottenere la chiarezza, l’ordine, la profondità e la densità di quanto si scrive e diventa degno di essere letto.
Anassagora diceva che l’esistenza gli era preziosa per contemplare il cielo e tutto l’ordine del cosmo.
Quando un tale gli domandò: “non ti curi della patria?” , Anassagora rispose: “Taci! Molto mi importa” e indicò il cielo (Diogene Laerzio, II, 3, 7)
“ Nella chiusa comunità dei seguaci ateniesi d’Anassagora la mitologia del volgo era ancora consentita soltanto come un linguaggio simbolico; tutti i miti, tutti gli dèi, tutti gli eroi erano quindi considerati unicamente come geroglifici di un’interpretazione della natura, e persino l’epos omerico doveva essere il canto canonico dell’imperio del nus e delle battaglie e leggi della physis. Qualche voce di questa società d’eminenti spiriti liberi penetrò qua e là nel popolo; e particolarmente il grande e sempre ardimentoso Euripide, teso nei suoi pensieri al nuovo, osò far sentire in vari modi la sua[1] parola attraverso la maschera tragica dicendo cose che come frecce trapassavano i sensi della massa e da cui questa si liberò soltanto con caricature buffonesche e burleschi stravolgimenti di significato".
Ma il più grande dei seguaci di Anassagora è Pericle.
Ne dà testimonianza Platone in termini però diversi
Nel Fedro, Socrate dice a Fedro: “ si dà il caso o carissimo che Pericle sia stato verosimilmente il più perfetto nell’oratoria- kunduneuvei, w\ a[riste, eijkovtw~ oJ Periklh`~ pavntwn telewvtato~ eij~ th;n rJhtorikh;n genevsqai. Aveva grandi doti naturali ma queste non bastano perché tutte quante sono grandi tra le arti hanno bisogno di discussione e di indagini celesti sulla natura “pa`sai o{sai megavlai tw`n tecnw`n prosdevontai ajdolesciva~ kai; metewrologiva~ fuvsew~ pevri”.
Imbattutosi dunque in Anassagora, Pericle si riempì di indagini celesti e giunse alla natura del Nus e dell’intelligenza trattate dal filosofo e di qui trasse quanto era utile per l’arte dei discorsi ejnteu`qen ei{lkusen ejpi; th;n tw`n lovgwn tevcnhn to; prosfovron (270 A-B).
Ripeto ancora quanto scrive Platone nel Timeo: “ dio ci ha donato la vista affinché, contemplando nel cielo i giri dell’intelligenza, ce ne giovassimo per i moti circolari della nostra mente- †na t¦j ™n oÙranù toà noà katidÒntej periÒdouj crhsa…meqa ™pˆ t¦j perifor¦j t¦j tÁj par j ¹m‹n diano»sewj che sono affini a quelli celesti i quali però sono ordinati mentre i nostri circuiti sono disordinati. Così noi, ammaestrati, possiamo correggere l’irregolarità dei nostri giri mentali imitando quelli della divinità che sono regolari (47 b-c)
Guardare la natura, osservare il cielo dunque, oppure fissare telefonini?
Insisto molto su questo concetto e queste parole perché il cielo è davvero un grande educatore e chi non lo osserva resta maleducato. In questi giorni piove e fa freddo. Il cielo ci insegna a uscire poco, mangiare poco dato che ci muoviamo poco, leggere, studiare, scrivere e imparare molto
L’esempio di Pericle è un modello per gli uomini politici di qualità mentre è un contromodello per quanti chiacchierano e cianciano ma non sanno parlare.
Quando Pericle parlava “ come pubblico oratore si levava dinanzi al suo popolo nella bella compostezza di un marmoreo olimpico e pacatamente avvolto nel suo mantello dall’inalterato panneggio, senza mutare l’espressione dl viso, senza sorridere, con invariabile ed energico timbro di voce, in maniera dunque diversa da quella di Demostene, parlava, tuonava, lampeggiava, annientava e redimeva e appariva come l’abbreviazione del cosmo anassagoreo, l’immagine del nus, che si è edificata la dimora più bella, l’incarnazione visibile di quella forza dello spirito che costruisce, muove, separa, ordina, scruta dall’alto.
Fu lo stesso Anassagora a dire che l’uomo è l’essere più razionale, ossia che deve albergare in se stesso il nus in pienezza maggiore di tutti gli altri esseri, già per il semplice fatto che possiede organi mirabili come le mani (…) L’'effetto dell'orazione periclea appariva spesso, all'orecchio di Anassagora, come un'immagine metaforica di quell'originario movimento circolare; anche qui, infatti, avvertiva un vortice di pensieri dalla forza terribile, pur tuttavia ordinato nel suo movimento, che in cerchi concentrici afferrava e trascinava poco a poco i più vicini e i più lontani e che una volta giunto al suo termine aveva plasmato, a forza di ordinare e sceverare, il popolo tutto in una forma nuova"
Anassagora dovette sempre ribadire nel modo più energico che
lo spirito agisce di proprio arbitrio e i suoi atti nascono da una volontà libera mentre viceversa il mondo dopo l’impulso originario si plasma in modo rigorosamente e meccanicamente determinato.
Conclusone: “Anassagora suppone il nus arbitario, unicamente dipendente da sé. Apprezzava in esso proprio la peculiarità di essere a proprio modo, di poter agire, dunque, incondizionatamente, in guisa non determinata senza guida di cause e di fini. Nietzsche ha interpretato il Nou`~ di Anassagora come un alto se stesso. Arbitrariamente.
Bologna 22 gennaio 2023 ore 17, 36 giovanni ghiselli
p. s
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