Nietzsche 75
La filosofia nell’età tragica dei greci
Capitoli 7 e 8.
Capitolo 7 pp. 63-66
Eraclito pensa che vi sia colpa, ingiustizia e u{bri~ soltanto per l’uomo limitato che vede parti staccate: infatti chi ha la visione d’insieme vede che ogni contraddizione concorre a un’unica armonia, invisibile per il comune occhio umano ma comprensibile per chi è simile al dio contemplativo- aJrmonivh ajfanh;~ fanerh`~ kreivsswn- (fr. 27 Diano), l’armonia invisibile è più forte della visibile
Kai; ejk tw`n diaferovntwn kallivsthn aJrmonivhn (24 Diano), e dai contrari bellissima armonia.
Personalmente credo che la mia vita significhi qualcosa, anche di bello, non a dispetto delle sue parti peggiori, dei miei dolori, ma anche grazie a questi. Non sarei come sono, contento e pure fiero di essere così, se non avessi sofferto oltre che gioito tanto.
Ma torniamo a Nietzsche e al suo testo
“Dinanzi al suo sguardo fiammeo, nel mondo che gli si effonde intorno, non una goccia di ingiustizia sopravvive” p. 63,
Eraclito vedeva nell'uomo maggiore o minore quantità di lovgo".
Gli uomini non lo capivano ed egli scriveva:"kuvne" ga;r kai; bau?zousin o{n a[n mh; gignwvskwsi (102 Diano), i cani abbaiano a quelli che non conoscono. Quindi: “ u{e" borbovrw/ h{dontai ma'llon h] kaqarw'/ u{dati” (99) i porci godono più del fango che dell'acqua chiara.
Ritiratosi nel tempio di Artemide, giocava a dadi con i fanciulli. Meditava sul gioco di Zeus.
Eraclito disprezzava l'illusione del progresso storicamente necessario e obbediva al precetto delfico:
" ejdizhsavmhn ejmewutovn" (126 Diano) , ho indagato me stesso.
Vedeva Un divenire, edificare, distruggere senza alcuna imputazione morale, unicamente nel gioco dell’artista e del fanciullo-
aijw;n pai`~ ejsti paivzwn, pesseuvwn, paido;~ hJ basilhivh ( 48 Diano), il tempo eterno è un bambino che gioca sulla scacchiera, è il regno di un bambino.
aijwvn (cfr, ajeiv e lat. aevum, è il tempo, la vita, l’eternità.
La forza formatrice del mondo “viene paragonata da Eraclito l’oscuro a un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi mucchi di sabbia e di nuovo li disperda (La nascita della tragedia, capitolo 24)
“E così come giocano il fanciullo e l’artista, gioca il fanciullo semprevivente, costruisce e distrugge con innocenza. Tramutandosi in acqua e in terra, a somiglianza di un fanciullo, innalza cumuli di sabbia sul lido marino, ammonta e fa ruinare: di tempo in tempo riprende il gioco dapprincipio. Un attimo di sazietà: poi la vita di nuovo lo afferra il bisogno, così come il bisogno spinge l’artista a creare” (La filosofia nell’età tragica dei Greci, p. 63)
E’ l’impulso sempre risorgente del gioco che chiama altri mondi alla vita. Se succede che il fanciullo getti via il suo trastullo, ricomincia presto con estro innocente. L’artista sa che conflitto e armonia devono coniugarsi per generare l’opera d’arte.
Eraclito era indifferente davanti alle reazioni che suscitava.
Pensava che l’asino, se gli fosse dato di scegliere, all’oro preferirebbe lo strame (98 Diano).
Eraclito è chiaro, luminoso nello scrivere ma ha la fama di scrittore oscuro. E’ molto stringato e denso. Gli Stoici lo hanno arbitrariamente semplificato attribuendogli un grossolano ottimismo, “una volgare considerazione per la struttura finalisica del mondo, cioè per i vantaggi degli uomini”
Capitolo 8 pp 67-69
Eraclito era superbo: andava solitario per la propria strada
Anche Pitagora ed Empedocle ebbero una sovrumana considerazione di sé ma li ricondusse agli altri uomini il legame della compassione e la fiducia nella metempsicosi. Eraclito fu l’eremita Efesio del tempio di Artemide.
“Il mondo che ha eternamente bisogno di verità, ha eternamente bisogno di Eraclito, mentre Eraclito non ha bisogno del mondo. Che importa a lui della sua gloria? Della sua gloria importa in qualche modo agli uomini, non a lui, l’immortalità degli uomini ha bisogno di lui, non lui dell’immortalità dell’uomo Eraclito. Quel che lui vide, la dottrina della legge nel divenire e del gioco nella necessità,. deve starci eternamente davanti agli occhi: egli ha levato il sipario davanti a questo grandioso spettacolo”.
Un paio di riflessioni mie
Un sipario aperto sul divenire che, come vedremo nel capitolo seguente, verrà abbassato da Parmenide e rialzato solo fino a metà da Platone, poi dal platonismo divulgato dalla chiesa cristiana e dal nostro Dante: noi siamo tombe, siamo vermi, insetti, gusci e così via.
Nel Fedro di Platone, Socrate dice che vedendo la bellezza, ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv, senza dolori e puri, e contemplanti, ejpopteuvonte", le idee intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata , in pura luce e anche noi eravamo puri e non marchiati da questo guscio che ora portiamo in giro e chiamiamo corpo, chiusi al modo di ostriche (- ojstrevou trovpou dedesmeumevnoi, 250 C).
E Dante:
“O superbi cristian, miseri lassi,
che, della vista della mente infermi,
fidanza avete ne’ ritrosi passi,
non v’accogete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola alla giustizia senza schermi?
Di che l’animo vostro in alto galla,
poi siete quasi entomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla? (Purgatorio, X, 121-129)
Entomata è un plurale sbagliato di ta; e[ntoma (insetti, in Aristotele, HA historia animalium, peri; ta; zw`a iJstorivai, 487a
Dunque: “Dante: ovvero la iena che fa poesia nelle tombe” (Nietzsche, Crepuscolo degli idoli-1888- Scorribande di un inattuale, 1
Questa prima parte è intitolata I miei impossibili. Il quarto di questi è Dante. Il primo è “Seneca: ovvero il toreador della virtù”. L’ultimo è Zola: ovvero “il piacere di puzzare”.
Bologna 19 gennaio 2023 giovanni ghiselli ore 10, 58
p. s.
Il catalogo è questo, non delle donne però
Sempre1313696
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