venerdì 13 gennaio 2023

Nietzsche 54. La nascita della tragedia Capitolo VII


 

 

 

Origine della tragedia.

La tragedia è sorta dal coro tragico. Lo scrive Aristotele nella Poetica.

Tragedia e commedia nacquero da un principio di improvvisazione (ajp j ajrch'~ aujtoscediastikh'~, Poetica, 1449a, 10), ma la tragedia da coloro che guidavano il ditirambo:"ajpo; tw'n ejxarcovntwn to;n diquvrambon[1], mentre la commedia da quelli che dirigevano i canti fallici i quali rimangono ancora oggi in uso in molte città"(Poetica , 1449a, 12).

 

Nietzsche condivide questa ipotesi mentre rifiuta le frasi retoriche correnti : che il coro era lo spettatore ideale o che doveva rappresentare il popolo di fronte alla regione regale della scena, come se il coro rappresentasse l’immutabile legge morale dei democratici ateniesi. Ma da quelle origini puramente religiose e umane va esclusa la contrapposizione tra popolo e re e in genere qualsiasi sfera politico sociale.

 

Non sono d’accordo: le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide hanno contenuti schiettamente e fortemente politici (cfr. p. e. i Persiani (472) e l’Orestea (458) di Eschilo, l’Edipo a Colono (rappresentata postuma nel 401) di Sofocle,  le Supplici (422) e le Fenicie (411) di Euripide. Lo chiarirò parlando.

 

Bestemmia è parlare di un presentimento della rappresentanza costituzionale del popolo che non era conosciuta in praxi nemmeno dalle costituzioni statali.

A.W. Schlegel[2] ci raccomanda di considerare il coro “lo spettatore ideale”, come fosse il compendio e l’estratto della folla degli spettatori.

“insomma il Coro era lo spettatore ideale; egli moderava le impressioni eccessivamente violente o dolorose di un’azione talvolta troppo vicino alla realtà, e offrendo al vero spettatore il riflesso delle sue proprie commozioni, gliele tramandava addolcite dalla vaghezza di un’espressione lirica e armoniosa, e lo immergeva nella regione più tranquilla della contemplazione” ( Corso di letteratura drammatica,  trad. di Giovanni Gherardini[3], il Melangolo, p. 61)

 

Un’affermazione rozza e non scientifica ma brillante commenta Nietzsche. Ha avuto fortuna grazie al pregiudizio germanico favorevole a tutto ciò che è chiamato ideale  e grazie al nostro stupore momentaneo. Il pubblico  è consapevole di assistere a un spettacolo e prova un godimento estetico, mentre il coro delle Oceanine del Prometeo, p. e. crede di vedere davanti a sé Prometeo e ritiene reale anche se stesso. Tanto più che il coro, la forma primitiva della tragedia, era senza scena, senza spettacolo e senza spettatori.

 

Più apprezzato da Nietzsche è  Schiller che nella prefazione alla Sposa di Messina (1803)  “considerava il coro come un muro vivente che la tragedia tracciava intorno a sé, per isolarsi nettamente dal mondo reale e per serbare il suo terreno ideale e la sua libertà poetica (…) L’introduzione del coro è il passo decisivo, con il quale viene dichiarata apertamente e lealmente la guerra a ogni naturalismo in arte...Certo è un terreno "ideale" quello su cui, secondo la giusta veduta di Schiller, suole muoversi il coro greco dei Satiri, il coro della tragedia originaria; è un terreno  molto al di sopra del sentiero reale dei mortali... La tragedia si è sviluppata su questo fondamento e certo già per questo è stata fin dal principio dispensata da una penosa riproduzione della realtà…Il satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta sotto la sanzione del mito e del culto ...il Satiro, il finto essere naturale, sta rispetto all'uomo civile nello stesso rapporto in cui la musica dionisiaca sta rispetto alla civiltà. Di quest'ultima Richard Wagner dice che viene annullata dalla musica, come il lume della lampada dalla luce del giorno. In ugual maniera, io credo, l’uomo civile greco si sentiva annullato al cospetto del coro dei Satiri; e l'effetto immediato della tragedia dionisiaca consiste in questo,  che Stato e la società, e in genere gli abissi  fra uomo e uomo, cedono a un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura.  La consolazione metafisica, lasciata alla fine in noi da ogni vera tragedia-lo dico fin d’ora- per cui la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze,  indistruttibilmente potente e gioiosa, questa consolazione, appare in corposa chiarezza come coro dei Satiri, come coro di esseri naturali, che per così dire vivono incorruttibili dietro ogni civiltà, e, nonostante ogni mutamento delle generazioni e della storia dei popoli, rimangono eternamente gli stessi  "[4].

 

Veramente il coro è quasi sempre  costituito da vecchi e da donne per lo più dolenti.

 

Insomma l'uomo moderno "non è se non un centauro storpio e mutilato il quale ricostituisce il mito primitivo riconnettendo indissolubilmente il suo genio all'energia atroce della natura"[5].

Sentiamo ancora il vate abruzzese nella poesia La morte del cervo (Alcyone,1902)

Lo conobbi tremando foglia a foglia.

Ben era il generato dalla Nube

Acro e bimembre, uomo fin quasi al pube,

stallone il resto dalla grossa coglia (vv. 21.24)

 

Bellissimo m’apparve. In ogni muscolo

gli fremeva una vita inimitabile.

Repente s’impennò. Sparve ombra labile

Verso il Mito, nell’ombra del crepuscolo. (vv. 157-169)

 

Né è falso quanto afferma Bernardin De Saint-Pierre che noi Europei sin dall'infanzia abbiamo "la mente piena di pregiudizi contrari alla felicità" e non possiamo più comprendere "quanti lumi e piaceri possa dare la natura"[6].

Il fatto è che dobbiamo comprare anche quanto non ci serve, anche quello che la natura ci presenta e offre gratis e con amore.

La “consolazione metafisica” in questo lavoro giovanile viene considerata un pregio della tragedia e Nietzsche biasima Euripide di averla meccanizzata o macchinizzata[7];  nel Tentativo di autocritica aggiunto nel 1886, invece , essa verrà ripudiata come un errore dovuto alla prolissità della giovinezza appunto, all’influenza del romanticismo e del cristianesimo: “metafisicamente consolati, insomma come finiscono i romantici, cristianamente…No! Dovreste prima imparare l’arte della consolazione dell’al di qua”.

Ma torniamo alle pagine e alla consolazione metafisica della stesura del 1872

“Con questo coro trova consolazione il Greco profondo, dotato in modo unico per la sofferenza più delicata e più aspra, che ha contemplato con sguardo tagliente il terribile processo di distruzione della cosiddetta storia universale, come pure la crudeltà della natura, e corre il pericolo di anelare a una buddistica negazione della volontà. Lo salva l’arte, e mediante l’arte lo salva a sé la vita…In questo senso l’uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nell’essenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all’agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell’essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini [8]. La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione"[9].

L'arte però ci salva dalla negazione della volontà:"Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell’atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l’assurdo. Il coro dei satiri del ditirambo, ecco l'azione salvatrice dell'arte greca "[10].   

 Il coro "può essere inteso soltanto come causa  della tragedia e del tragico in genere"[11].

Bologna 13 gennaio 2022 ore 10, 56

giovanni ghiselli

 

p. s

sono presenti qui e altrove concetti che vanno spiegati. Lo farò parlando. Ma se intanto qualcuno dei partecipanti al prossimo corso vuole dei chiarimenti, glieli manderò ghiselli.giovanni@gmail.com

 

 

 

 



[1] Definito da Archiloco :"il bel canto di Dioniso signore" fr. 120 West.

[2] A. W. Schlegel,  Corso di letteratura drammatica, (1808) Lezione X

[3] che nel 1817, su incitamento di V. Monti, suo caro amico, volse in italiano e commentò il Corso di letteratura drammatica di A.W. Schlegel, confutando, da buon classicista e conoscitore dell'arte drammatica italiana, i severi giudizi di quel teorico del romanticismo sul Metastasio, sull'Alfieri e sul Goldoni nel 1817 compose il libretto di La gazza ladra, derivato dal melodramma francese di T.-B. d'Aubigny e L.-Ch. Caignez, La pie voleuse (1815), e musicato da G. Rossini)

 

[4]La nascita della tragedia , pp. 52 sgg.

[5] G. D'Annunzio, Faville del maglio, La resurrezione del centauro (1907).

[6] Paul e Virginie (del 1788), p, 135.

[7] Con Euripide "Al posto della consolazione metafisica è subentrato il deus ex machina ...ossia il dio delle macchine e dei crogiuoli" (La nascita della tragedia , p. 117 e p. 118.)

[8] "The time is out of joint" (Amleto, I, 5)., il tempo si è disarticolato, dice il principe di Danimarca dopo avere visto e sentito lo spettro del padre che chiede vendetta del turpe e snaturato assassinio Così pure il mondo del Thyestes di Seneca è uscito dai cardini. Il retrocedere del sole suggerisce  queste parole al quarto coro atterrito:"Nos e tanto visi populo/digni, premeret quos everso/cardine mundus;/in nos aetas ultima venit./O nos dura sorte creatos,/seu perdidimus solem miseri,/sive expulimus!" (vv. 876-882), noi tra tanta gente siamo sembrati degni di essere schiacciati dal mondo dopo il rovescio dei cardini; l'ultima era è arrivata su di noi. O creati con dura sorte, sia che abbiamo perduto il sole, disgraziati, sia che l'abbiamo cacciato (ndr).

 

 

[9] La nascita della tragedia, p. 55.

[10] La nascita della tragedia, p. 56.

[11]La nascita della tragedia , p. 96.

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