sabato 14 gennaio 2023

Nietzsche 57. Individuazione e Unità. Il mito.

 

La nascita della tragedia capitolo X (pp. 71-75)

Le figure famose della scena greca come Edipo e Prometeo sono tutte maschere di Dioniso. L’unico Dioniso dunque appare in una molteplicità di personaggi  che hanno la maschera dell’eroe in lotta preso nella rete della volontà individuale.

Dioniso appare come un individuo che combatte e soffre. Il dio che patisce il dolore dell’individuazione  è la fonte e la causa prima di ogni sofferenza.

Dalle lacrime di Dioniso sono nati gli uomini, dal suo sorriso gli dèi olimpici. Egli fu fatto a pezzi dai Titani e in questo stato venne venerato come Zagreus.  E’ la versione orfica della nascita di Dioniso-Zagreus. (in Nonno di Panopoli IV-V sec., Dyon. 6. 165-176 e in frammenti orfici).

   Le Dionisiache constano di 48 libri e più di 20 mila versi

In quanto dio smembrato, Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce (p. 72).

Cfr. Iliade VI, 130-140 Diwvnuso~ fobhqeiv~ (135) duvseq  j aJlo;~ kata; ku`ma, e, viceversa, le Baccanti di Euripide; poi  le Rane di Aristofane.

 

I vari aspetti di uno stesso mito e di Dioniso.

Per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa entra in un testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati.

Così avviene per Dioniso

Arriano (95-175) ci fa sapere che gli Ateniesi venerano un altro Dioniso,  figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo dio, non a quello tebano figlio di Zeus e Semele (Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3).

Così forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno spaventato e tremante per le grida dell’uomo. Poi c’è  il Dioniso ridicolo delle Rane di Aristofane. In questa commedia il dio  fugge terrorizzato da Empusa tra le braccia del suo sacerdote (v. 297). Più avanti Dioniso si caca addosso dalla paura di Empusa (v. 479) e viene apostrofato dal servo Xantia  con:" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486). Empusa era un fantasma del corteggio di Ecate. Beveva (cfr. ejmpivnw) il sangue degli uomini.

 

Hegel mette il Bacco delle Rane tra i personaggi “tratteggiati come stolti” delle commedie di Aristofane: “ Così per Strepsiade, che vuole rivolgersi ai filosofi per sbarazzarsi dei debiti; così per Socrate che si offre come maestro di Strepsiade e di suo figlio; egualmente per Bacco, che egli fa scendere nel mondo sotterraneo per ricondurre alla luce un vero tragico; e lo stesso dicasi di Cleone, delle donne, dei greci che vogliono trarre dal pozzo la dea della pace ecc.” Sono personaggi risibili per “la fiducia che tutte queste figure hanno in se stesse, fiducia tanto più incrollabile quanto meno si mostrano capaci di eseguire ciò che intraprendono. Gli stolti sono dei semplicioni…che non perdono mai questa sicurezza ingenua della soggettività”[1].

 

Woody Allen fa dire a un personaggio del film Crimini e misfatti (1989): “Comedy is tragedy plus time”, la commedia è la tragedia più del tempo, nel senso che con il passare del tempo i fatti tragici possono diventare ridicoli. 

 

  Dioniso era comunque uno dei modelli per Alessandro Magno,  che talora manifestava crudeltà e ferocia, talora delicatezza d’animo, talora anche volgarità. Lo era stato ancora di più per il triumviro Antonio.

 

Gli epopti, gli iniziati speravano nella rinascita di un terzo Dioniso come fine dell’individuazione. N. ricava forse ancora da Nonno che Demetra immersa in eterna tristezza si rallegra quando le si dice che può ancora una volta generare Dioniso.

La dottrina misterica della tragedia è la concezione dell’individuazine come causa prima del male. L’arte dà la lieta speranza che il dominio dell’individuazione possa essere spezzato, l’arte come presentimento di una ripristinata unità (p. 73).

 

Una cura mentale contro l’egoismo e l’odio.

 

 

"In nulla al mondo, infatti, io credo così profondamente, nessun'altra idea mi è più sacra di quella dell'unità, l'idea che l'intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore avevo sofferto in vita mia (…) L’unità che io venero dietro molteplicità non è un’unità noiosa, grigia, concettuale, teoretica. E’ la vita stessa, piena di gioco, di dolore, di risa, " H. Hesse, La Cura (del 1925, p. 77 e p. 137)

 

 

 

 

 

L’epos omerico, si diceva, è la poesia con cui la cultura olimpica intona il suo canto di vittoria sui terrori del Caos dominato da Titani e Giganti, gli eterni nemici del cosmo e della cultura

"Il sereno mondo omerico è libero da fantasmi...il vivo è lasciato in pace dai morti"[2], o, se vogliamo ricordare Carducci, "Non paure di morti ed in congreghe/diavoli goffi con bizzarre streghe"[3].

 

Ma nella tragedia i miti omerici appaiono trasformati da una concezione ancora più profonda. Alla fine della trilogia prometeica, Zeus si allea con il Titano così la cultura titanica viene riportata dal Tartaro  alla luce.

 

I miti del mondo omerico devono accogliere, come Eschilo, la mitologia inferiore e la filosofia della natura selvaggia.

 

Fu la forza erculea della musica a liberare Prometeo dai suoi avvoltoi e a trasformare il mito in un veicolo di sapienza dionisiaca. Il mito correva il rischio di rattrappirsi nella ristrettezza di una pretesa realtà storica.

 

Le religioni si estinguono quando i presupposti mitici vengono sistematizzati come eventi storici e il mito pretende di avere una fondatezza storica.

 

Allora il mito morente fu afferrato dal genio della musica dionisiaca e fiorì ancora una volta mandando un profumo  che suscitava il presentimento struggente di un mondo metafisico. Tuttavia dopo questa rinascita, il mito declina, le sue foglie appassiscono e i beffardi Luciani dell’antichità cercano di ghermirne i fiori scoloriti e inariditi. La tragedia giunta al suo significato più profondo si solleva ancora una volta come un eroe  ferito e nell’occhio gli arde un ultimo potente bagliore.

 

L’empio Euripide, il sacrilego Euripide. cercò di costringere ancora una volta questo eroe a servirlo e il mito morì tra le sue braccia violente. Lo sostituì, nel dramma euripideo un mito mascherato che cercava di adornarsi con l’antica pompa come la scimmia di Ercole. 

Con Euripide moriva il mito e moriva anche il genio della musica. Euripide la saccheggiava a piene mani da tutte le parti ma giunse a una musica imitata e mascherata. Aveva abbandonato Dioniso e anche Apollo abbandonò Euripide. I discorsi dei suoi eroi sono scritti nel linguaggio di una dialettica sofistica  e hanno passioni imitate e mascherate. Euripide conta e ragiona senza avere capito che la vita non è un conto o una figura geometrica, ma un prodigio.

 

A dire il vero molti tra i suoi personaggi, soprattutto femminili, lo hanno capito.

Bologna 14 gennaio 2022 giovanni ghiselli ore 10

 

Sempre1311774

 

 

 

 

 

 



[1] Hegel, Estetica, p. 1618.

[2]Rhode, op. e p. citata sopra.

[3] Il comune rustico , vv. 10-11.

 

1 commento:

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