martedì 17 gennaio 2023

Nietzsche 69. Il mito

 

La nascita della tragedia Capitolo XXIII

C’è dunque l’ascoltatore estetico e quello socratico-critico incapace di comprendere il mito “immagine concentrata del mondo che come abbreviazione dell’apparenza non può fare a meno del miracolo” (p. 151).

 

Il mito

Senza mito ogni civiltà perde la sua sana e creativa forza di natura: solo un orizzonte circoscritto da miti può raccogliere in unità tutto un movimento di civiltà. Solo dal mito le forze della fantasia e del sogno apollineo vengono salvate dal loro vagare senza direzione.  Il mito garantisce la sua connessione con la religione, il suo crescere da rappresentanze mitiche. Le immagini del mito devono essere i demonici custodi, inosservati e presenti, sotto la cui vigilanza cresce l’anima del giovane e neppure lo Stato conosce leggi non scritte che siano più potenti del fondamento mitico.

Il socratismo tende alla distruzione del mito e a questo annichilimento segue l’educazione astratta, il costume astratto, il diritto astratto, il vagare senza regole della fantasia artistica non frenata da alcun mito patrio, una cultura che non ha un fondamento ma è condannata a nutrirsi affannosamente di tutte le culture. L’uomo senza miti, eternamente affamato, cerca radici in mezzo a tutti i passati. L’enorme bisogno storico della cultura moderna , l’affastellarsi di innumerevoli culture, l’insoddisfazione perenne dipende dalla perdita del mito, della patria mitica, del mitico grembo materno (p. 152).

 

Personalmente credo che non solo le società ma anche i singoli abbiano bisogno di miti. I miei personali sono la cultura greca, Debecen, le tre ragazze, finlandesi in particolare, il sole, la bicicletta e la buona forma.

 

La cultura non mitica non ha nulla a che vedere con la nobile essenza del nostro popolo (p. 152)

La fine del mito viene messa in rilievo da Pasolini  nella dodicesima scena del film "Medea" dove si vede un Chirone, non più Centauro e non più mitico, bensì in figura di uomo razionale.

Egli parla a Giasone, oramai adulto, e gli dice che dovrà andare in cerca del vello d’oro, in un paese antico, dove il mito è ancora vivo: " per l'uomo antico i miti ed i rituali sono esperienze concrete, che lo comprendono anche nel suo esistere corporale e quotidiano". Il giovane allievo dovrà andare a prendere il vello d'oro “in un paese lontano al di là del mare. Qui farai esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico”[1]. 

"Il mio parere preciso, su questo punto, è che è realista solo chi crede nel mito, e viceversa. Il "mitico" non è che l'altra faccia del realismo"[2].

 

 

Ora devo contraddire Nietzsche che del resto è sempre stato segno di contraddizione.

 Socrate non è ascrivibile senz’altro a questa cultura antimitica deprecata dal Nostro.

Nel prologo del dialogo platonico Fedro  Socrate dice a Fedro  che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo,  come non ci credono oiJ sofoiv,  non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi  o dall’Areopago. E’ un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. Per questo ci vuole molto tempo libero e io non l’ho proprio: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee- ta; ajllovtria skopei`n . Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice,  partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).

 

 Torniamo a Nietzsche

Tutte le nostre speranze tendono a riscoprire, sotto questa vita civilizzata una forza antichissima, magnifica e intimamente sana, quella forza da cui è scaturita la Riforma tedesca  dal cui corale cominciò a risuonare la musica tedesca (p. 153).

Ora dobbiamo attenerci alle nostre luminose guide, i Greci. Da loro abbiamo imparato l’apollineo e il dionisiaco, e il tramonto della tragedia è dovuto al disgiungersi di questi due istinti artistici originari. La fine della tragedia si accorda con una degenerazione del carattere greco e questo mostra come l’arte e il popolo, il mito e il costume, la tragedia e lo Stato siano connessi.

Il tramonto della tragedia fu nello stesso tempo il tramonto del mito (p. 154).

Congiungendo al mito il presente, questo appariva sub specie aeterni, e in questo fiume del senza tempo si tuffavano lo Stato e l’arte. Un popolo e anche un uomo vale solo in quanto sa imprimere nelle sue vicende l’impronta dell’eterno. Il contrario avviene quando un popolo comincia concepirsi storicamente e ad abbattere il mito (cfr. il to; mh; muqw`de~ di Tucidide I, 22, 4).

La tragedia greca ostacolò soprattutto la distruzione del mito. Quindi intervenne una febbrile ricerca che accumulò superstizioni e miti raccattati da ogni parte; in mezzo a questo il Greco si arrestò e mascherò quella febbre con serenità greca divenendo greculo oppure si stordì in qualche cupa superstizione orientale. In età moderna continua la stessa mostruosa mondanizzazione, un avido accalcarsi a tavole straniere, una frivola divinizzazione del presente tutto sub specie saeculi , sempre con la distruzione del mito.

La moda distrugge il mito.

Trapiantare un mito straniero significa danneggiare l’albero. Lo spirito tedesco deve rigettare gli elementi trapiantati che consumano l’albero ammalato e intristito o snaturato in un morboso lussureggiare. La vittoria cruenta nell’ultima guerra può far pensare che abbiamo cominciato a espellere l’elemento neolatino.

 

Cfr. Scopenhauer sul francese: questo miserrimo gergo romanzo, questa pessima mutilazione di parole latine, con la peculiarità di un disgustoso suono nasale, come pure il singhiozzante accento così indicibilmente ripugnante sull’ultima sillaba. Invoco il biasimo dell’Europa tutta contro gli spudoratissimi fanfaroni che la definiscono langue classique (Parerga e Paralipomena. p. 723).

 

 I primi che lottarono su questa via furono Lutero e i nostri grandi artisti e poeti. Ma soprattutto il Tedesco deve ascoltare il richiamo dell’uccello dionisiaco che si libra su di lui.

 

Tutt’altro parere su Lutero in Ecce homo: “Lutero, questo monaco fatale, ha restaurato la Chiesa e, quel che è mille volte peggiore il cristianesimo, nel momento in cui questo soccombeva. Il cristianesimo, questa negazione della volontà di vita divenuta religione! ( Il caso Wagner, 2) 

Bologna 17 gennaio 2023 ore 10, 06. giovanni ghiselli

Sempre1312927

 



[1] P. P. Pasolini, Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545-

[2] Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1463.

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