martedì 17 gennaio 2023

Il viaggio in Grecia del 1978 V parte. Seconda versione

      Atene, Eleusi, il canale di Corinto, la via crucis verso Epidauro.

L’indomani mattina ripartìi di buonora. Giunsi presto ad Atene e non mi ci fermai: era troppo grande, chiassosa di  mercati e rumorosa di motori dal fumo profano per potermi raccogliere e pregare gli dèi. Ci sarei tornato in compagnia e mi sarebbe piaciuta. Ma non era quello tempo di farlo.

Quindi mi avviai sulla strada che porta a Corinto. Feci sosta però per pregare nella piccola Eleusi. Demetra vi aveva fondato i sui sacri  misteri quando cercava Kore, la ragazza, la figliola rapita dalla brama smodata dello zio signore dell’Ade, il sovrano del regno dei morti. Anche io cercavo una giovane donna che desse uno scopo alla mia vita randagia da sordido anacoreta. Al tramonto del sole arrivai sul canale. Ero stanco e sporco di nuovo. Chiesi una camera in un motel che sorge subito dopo il ponte sull’istmo tagliato dai lati scoscesi. Ma il dio scuotiterra mi aveva tolto il favore: non c’era posto lì né in tutta Corinto, mi dissero.

Sconsolato pensai: “gli dèi mi dicono che devo penare quanto Demetra per trovare la mia  kore”.

Dopo avere mangiato un panino con del formaggio sfatto dal caldo, nel self service del grande motel, e avere guardato  a lungo la televisione, per mancanza di alloggio andai a sedermi su una poltrona dell’atrio aspettando l’aurora per mettermi in viaggio. Mancavano diverse  ore tribolate. Trascorsi una notte insonne e con pena, tormentato da assilli continui di zanzare e altri insetti a me sconosciuti.

Appena il cielo schiarì, ripresi la via dirigendo la bici verso l’antico teatro di Epidauro. Credevo che fosse vicino e che vi sarei arrivato in un paio di ore. Invece ce ne vollero cinque o sei, non ricordo bene. In effetti i chilometri non sono più di cinquanta ma il sonno mi fece sbagliare strada e mi fuorviò su salite impervie, infuocate, deserte.  Oltre che assonnato e sporco ero assetato e ostacolato dal vento che mi gettava polvere aguzza negli occhi  dai quali gocciava un umore giallastro, denso, appiccicoso.

Per giunta, a un tratto scoppiò un tubolare: non rovinai a terra insanguinando la strada, ma  per sostituirlo mi sporcai ulteriormente buona parte del corpo e del viso con l’atra sugna della catena e con il masticione rossiccio, immondo e tenace.

Poi ripresi a pedalare.

Ogni volta che concludevo una discesa di quei saliscendi e pulendomi gli occhi con le nocche vizze e vedevo iniziare una nuova, ripida ascesa, dovevo darmi ordini perentori, duri spietati: “Avanti-gridavo- non puoi fermarti, anche se è una fatica tremenda. Devi acquistare meriti presso gli dèi se vuoi salvarti la vita prima di tutto. Poi magari la borsa di studio, la Kore giovane e bella. Ma ora devi forzare il corpo sfinito, carente di tutto e cadente, costringerlo a seguire lo spirito bisognoso di ascesi”. Arrivai a recitare, un verso e mezzo degli Eraclidi di Euripide: “-to; ga;r qanei'n-kakw'n mevgiston favrmakon nomivzetai (595-596), il fatto di morire  è considerato il rimedio ottimo dei mali.  Certo, per scaramanzia, come quando otto anni prima nel collegio di Debrecen, mentre spengevo la luce a notte fonda, dicevo ad alta voce: “Domani mi uccido!” per sentire i miei contubernali che reagivano ordinandomi  di farlo subito in modo che  loro potessero dormire. Reazione che mi metteva di buon umore più di un “buona notte” insignificante.

 In questo frangente assetato e desolato invece dovetti reagire da solo, con lo spirito mio, e gridai  al deserto la voce che mi restava, imitando l’onesto Giovanni da cui traggo il nome, seppure con tutt’altre parole: “No, il mio favrmakon sarà una bella ragazza, la splendida Kore che mi spetta e mi aspetta. Avanti, sbrigati, ché prima per lo meno devi lavarti, mangiare e dormire”. L’avrei trovata in novembre

 

 

Bologna 17 gennaio 2023 ore 9, 16

giovanni ghiselli

Sempre1312909

 

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