NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 9 gennaio 2023

Nietzsche 41 Apollineo e Dionisiaco sono i due poli della tragedia, dell’arte europea e di tutta la nostra vita

Apollineo e Dionisiaco in Nietzsche e in altri autori


Il vino è un elemento fondante il dionisiaco. I Romani che cercarono di opporsi ai riti bacchici, senza successo nonostante la repressione scatenata dal senatoconsulto del 186 a. C., avevano anche la pretesa di proibire il vino alle donne.

“Presso gli antichi Romani c’era l’idea che una donna potesse peccare mortalmente soltanto in un duplice modo: in primo luogo con l’adulterio, indi col bere il vino. Catone il vecchio era d’avviso che fosse invalso il costume del bacio tra parenti solo per potere su questo punto tenere le donne sotto controllo; un bacio significava: “odora lei di vino?”…i Romani paventavano soprattutto lo spirito orgiastico e dionisiaco…ritenendolo un mostruoso esotismo che rovesciava dalle fondamenta il romano sentire[1].

 

Dionisiaco è  il sì alla vita nella sua totalità: “Il sì alla vita anche nei suoi problemi più scuri e avversi, la volontà di vita, che nell’immolare i suoi esempi più alti sente la gioia della propria inesauribilità-questo io chiamo dionisiaco, questo io ho inteso come ponte verso la picologia del poeta tragico. Non per svincolarsi dal terrore e dalla pietà , non per purificarsi da una passione pericolosa per mezzo di una violenta scarica-questo è stato l’equivoco di Aristotele-; bensì perché, al di là di terrore e pietà, siamo noi stessi la gioia eterna del divenire-quella gioia che comprende in sé anche la gioia dell’annientare”. Le persone che amano la vita gioiscono  nell’annientare soltanto quello che danneggia la vita commento io.

Ma torniamo a Nietzsche

 “L’affermazone del flusso e dell’annientare , che è il carattere decisivo in una filosofia dionisiaca, il sì al contrasto e alla guerra, il divenire, con rifiuto radicale perfino del concetto di “essere”-in questo io debbo riconoscere quanto di più affine a me sotto ogni aspetto sia mai stato pensato finora”[2].

Il sì alla guerra mi va bene se è guerra al male, guerra alla guerra che uccide.

Il sì alla guerra viene duramente, e giustamente confutato da T. Mann: quando si vedono le conseguenze di una guerra mondiale “quale rovina, in ogni senso, produce una guerra, sia pur condotta per l’umanità, quale decadenza dei costumi, quale avido prorompere di istinti egoistici e antisociali…allora le rodomontate di un Nietzsche sulla funzione culturale e selettiva della guerra ci appaiono come le fantasie di un ragazzo inesperto[3].

 

"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…Col termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte…La pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa…Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi-esse sono conquistate, volute, strappate- sono la sua vittoria"[4].

Apollineo è dunque anche principium individuationis e volontà di potenza. La volontà propria dell’über mensch  è la libertà creatrice che si erge al di sopra del caos e impone i propri valori alle cose.

Poco più avanti Nietzsche aggiunge che il greco dionisiaco ha bisogno di divenire apollineo, ossia di spezzare la sua inclinazione verso l'immane e l'incerto mediante una volontà di misura e ordine: L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.

Del resto l’apollineo è una illusione poiché “Il carattere complessivo del mondo è invece caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane”[5].

Se il caos è “il carattere complessivo del mondo”, nel mondo a parer esistono anche caratteri di uomini e donne capaci di mettere ordine nel caos o per lo meno di renderlo bello. Questi sono gli artisti.

Nietzsche mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[6].

Omero liberò i Greci dalla pompa asiatica; ma “sui Greci incombe sempre il pericolo di una ricaduta nell'asiatismo che di tempo in tempo si abbatte su di loro con oscuro, straripante fiume di emozioni mistiche. Noi li vediamo sommergersi, vediamo l'Europa come spazzata via, inondata, ma essi tornano sempre alla luce, da buoni nuotatori e tuffatori quali sono, essi, il popolo di Odisseo.[7]

Ciascuno di noi, individualmente, corre il rischio di una caduta o ricaduta nel caos, ogni giorno. Chi può ne riemerge con i mezzi che ha. I miei sono stati la bellezza della parola artistica, l’amore dell’umanità, della natura, della verità e della giustizia

 “Il culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea, quale si manifesta nel tempio, nella statua o nell’epos omerico, aveva il suo scopo più alto nell’esigenza etica della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della bellezza…La misura, sotto il cui giogo si muoveva il nuovo mondo di dèi (a fronte di un distrutto mondo di Titani), era quella della bellezza: il limite, cui il greco doveva attenersi, quello della bella apparenza”-

L’apparenza può, talora deve occultare la verità: “al ricercatore instancabile nel perseguirla così come al tracotante Titano viene rivolto l’ammonimento del medèn ágan. Nel Prometeo si mostra alla grecità un esempio di come un ampliamento eccessivo della conoscenza umana abbia effetti nefasti sia per chi lo promuove sia per chi ne risulti favorito…In un mondo così strutturato e protetto ad arte fece allora irruzione il suono estatico della festa di Dioniso, dove tutto l’eccesso della natura, in gioia e dolore e conoscenza si rivelò in un colpo solo. Tutto ciò che fino ad allora si era fatto valere in termini di limite e di misura, ri rivelò come apparenza artistica, mentre l’”eccesso” si rivelò come verità.” [8]

 

La bella apparenza spesso può nascondere il profondo ma può anche prefigurarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorreva arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali –per profondità! E non facciamo appunto ritorno a essi, noi temerari dello spirito…Non siamo esattamente in questo –dei Greci? Adoratori delle forme, dei suoi, delle parole? Appunto perciò…artisti”[9].

Quando si perde il culto della bella apparenza si diventa insignificanti anche personalmente.

 

Jung,  Hillman e Ortega y Gasset

Su Apollineo e Dionisiaco torna  C. G. Jung:"Esaminiamo i concetti di apollineo e dionisiaco nelle loro caratteristiche psicologiche… Prendiamo in considerazione anzitutto il dionisiaco. Secondo la descrizione di Nietzsche è chiaro che esso indica un espandersi, uno zampillare e uno scaturire…E' una fiumana di sensazioni paniche di grande potenza che erompe irresistibile e inebria i sensi come un vino gagliardo. E' ebbrezza nel significato più elevato del termine…Si tratta quindi di una estroversione di sentimenti indissolubilmente legata all'elemento sensoriale (…) Per contro, l'apollineo è la percezione delle immagini interiori della bellezza, della misura e di sentimenti armonicamente disciplinati. Il paragone con il sogno chiarisce il carattere dello stato apollineo: è uno stato d'introspezione, di contemplazione rivolta verso l'interno, verso il mondo di sogno delle idee eterne, quindi uno stato d'introversione"[10].

 

L’Apollineo è l’affermazione  della propria individualità che si manifesta somaticamente prima di tutto nella faccia: “ Pare che una volta Anna Magnani, la grande interprete del cinema neorealista italiano, avesse detto al truccatore che la stava preparando per una scena: “Non mi togliere nemmeno una ruga. Le ho pagate tutte care…Gli adolescenti ricorrono a frotte al chirurgo plastico per farsi cambiare la faccia…vogliono cambiare la faccia che ha incominciato a esteriorizzare la loro solitaria individualità”[11].

 

Infine Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta- la condotta conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza…Apollo è il dio danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[12].

Bologna 9 gennaio 2022 ore 17, 54 giovanni ghiselli

Sempre1310032

 



[1] La gaia scienza, libro primo, 73.

[2] Ecce homo, La nascita della tragedia, 3. 

[3]  La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito, p. 829.

[4] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888, 14.

[5] La gaia scienza, libro terzo, 109

[6] La nascita della tragedia,  capitolo 4,

[7] Cfr. Umano troppo umano II, Parte prima, Opinioni e sentenze diverse, 219.

[8] La visione dionisiaca del mondo ( del 1870) in Verità e menzogna e altri scritti giovanili, p. 76.

[9] Nietzsche, La gaia scienza (1886), Prefazione alla seconda edizione, 4

[10] C. G. Jung, Tipi psicologici,  (1921), p. 156.

[11] J. Hillman, La forza del carattere, p. 198 e p. 203.

[12] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro (del 1946) p. 93.

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