“Io sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo”[1].
Se penso a certi cosiddetti santi a ceti santi presunti capisco bene Nietzsche.
“Il suo grido di omaggio non è “osanna” ma “evoè”[2].
C’è in Nietzsche una “sopravvalutazione coribantica”[3] della vita istintiva.
In Socrate “l’istinto diviene il momento critico, la coscienza quello creatore. Il disprezzo socratico per ciò che è istintivo ha suggerito anche a un secondo genio, oltre che a Euripide, una riforma dell’arte a dire il vero ancor più radicale. Perfino il divino Platone su questo punto è caduto vittima del socratismo: egli…ridusse la sublime e altamente apprezzata tragedia all’ambito delle arti adulatorie, le quali si curano solo di rappresentare il piacevole…Su questa base del tutto deliberatamente egli fa un solo fascio dell’arte tragica con quella dell’abbigliamento e della culinaria”[4].
nella Repubblica di Platone, Socrate manifesta la sua diffidenza nei confronti di Omero e di tutta la poesia che non consista in “inni agli dèi” ed “elogi dei buoni”, attaccando in particolare la Musa drogata (th;n hjdusmevnhn[5] Mou`san, 607) dei canti lirici o epici che insediano piacere e dolore nel trono della città. Poi però il filosofo abbozza una scusa, dicendo che tra la poesia e la filosofia c’è un’antica ruggine (palaia; mevn ti~ diaforav, 607b) e cita alcuni sberleffi dei comici nei confronti dei filosofi.
Platone critica gli agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d); di conseguenza le càvee dei teatri divennero, da silenziose, vocianti, e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).
Certamente Nietzsche è più vicino ai poeti.
I filosofi sono-“sacerdoti dissimulati”.
“L’umanità è stata finora nelle mani peggiori: è stata governata dai disgraziati, dagli astuti –vendicativi, dai cosiddetti “santi”, questi calunniatori del mondo e infamatoi del mondo. Il segno decisivo, da cui si rivela che il sacerdote (e anche i sacerdoti dissimulati i filosofi) ha preso il comando in genere , e nob solo all’inteno di una ceta comunità religiosa, che la morale della décadence , la volontà della fin, vale come morale in sé, ci è dato dal fatto che il valore assoluto viene conferito a tutto ciò che non è egoistico, e che dovunque viene dimostrata ostilità per tutto ciò che è egoistico”[6].
Devo aggiungere che oggi, se alcuni dimostrano ostilità nei confronti dell’egoismo, nei fatti lo praticano quasi tutti. Quanto ai filosofi sacerdoti dissimulati si ricordi i già citati “Kant un cristiano scaltro” e “il cristianesimo è un platonismo per il “popolo” e la storia quale teologia camuffata.
“La storia della filosofia è una furia segreta contro i presupposti della vita…E’ stata questa finora la grande scuola della denigrazione…trattando questo mondo come mondo apparente, questa catena causale come meramente fenomenica”[7].
Talora i filosofi vengono bollati dai poeti come morti di fame.
Socrate in primis.
Si pensi a come le Nuvole di Aristofane canzonano e infamano con Socrate tutti i suoi seguaci che sarebbero stati brutti, sporchi e cattivi.
Aristofane fa dire a Strepsiade che nessuno degli uomini del pensatoio di Socrate per economia si è mai fatto tagliare i capelli o si è unto il corpo o è andato nel bagno a lavarsi:"oujd j eij" balanei'on h\lqe lousovmeno"" (Nuvole[8] , v. 837). Il Coro degli Uccelli [9] più specificamente qualifica Socrate come a[louto" (v. 1553), non lavato.
nei Memorabili di Senofonte Socrate si difende con queste parole dall'accusa, mossagli da Antifonte sofista, di essere un pezzente: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto; io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno di niente è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10).
Di Zenone stoico, Filemone nella commedia Filosofi scrisse: una strana filosofia è questo suo modo di filosofare: un solo pane, un fico secco (ijscav~) per companatico, un bicchier d’acqua. Costui insegna ad avere fame (peinh`n didavskei) e cattura i discepoli (Diogene Laerzio VII 26).
Leopardi sostiene addirittura che la filosofia causò la fine della grandezza di Roma: “Or bene che giovò a Roma la diffusione, l’introduzione della virtù filosofica, e per principii? La distruzione della virtù operativa ed efficace, e quindi della grandezza di Roma (11 Dicembre 1821)”[10].
Ma forse è vero piuttosto che l’epoca moderna è troppo vecchia e disincantata per provare alcuna forma di meraviglia e di incanto: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto”[11].
Riportiamo anche il giudizio, sui filosofi, di uno scrittore autorevole che suscita meraviglia per quanto è malevolo: “Egli non era un filosofo. I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema”[12].
Secondo Nietzsche il demone dissuasivo di Socrate ebbe la forza di cambiare il corso della cultura greca, di snaturarla: “Chi è costui, che osa da solo negare la natura greca, quella che attraverso Omero, Pindaro ed Eschilo, attraverso Fidia, attraverso Pericle, attraverso la Pizia e Dioniso, attraverso l’abisso più profondo e la cima più alta è sicura della nostra stupefatta adorazione? Quale forza demonica è questa, che può ardire di rovesciare nella polvere un tal filtro incantato? Quale semidio è questo, a cui il coro degli spiriti dei più nobili fra gli uomini deve gridare”Ahi! Ahi! Tu lo hai distrutto, il bel mondo, con polso possente; esso precipita, esso rovina!”[13].
Il coro di spiriti- Geister –Chor è quello del Faust di Goethe (Parte prima, Studio II, 1607-1610) . Essi si rivolgono allo stesso Faust che ha scagliato anatemi universali, dopo avere detto a Mefistofele :“Così tu ti opponi alla forza eternamente attiva, salutare e creatrice, il pugno di ghiaccio del diavolo, che invano si serra maligno! Tròvati da dar qualcos’altro, bizzarro figlio del Caos!- Des Chaos wunderlicher Sohn! (Studio I, 1380- 1384)”
I cinici “cercheranno nei più marcati contrasti stilistici e nell’oscillazione tra forme prosaiche e forme metriche[14] di rispecchiare anche quell’aspetto esteriore di Socrate che lo faceva simile a un Sileno, quei suoi occhi da granchio, quelle sue labbra a cuscinetto e quel suo ventre cadente”[15].
Socrate con “la superfetazione del logico e quella cattiveria del rachitico che lo contraddistingue”[16] puntò sulla tragedia “l’unico grande occhio ciclopico…quell’occhio in cui non arse mai la dolce follia dell’entusiasmo artistico”[17]. Egli nell’arte tragica vedeva qualche cosa di “assolutamente irrazionale…inoltre il tutto era così variopinto e vario, che a un’indole assennata doveva riuscire ripugnante mentre per le anime eccitabili e sensibili era una miccia pericolosa”[18].
Socrate comprendeva solo la favola esopica, quindi indusse Platone, che voleva diventare suo scolaro, a considerare l’arte tragica tra quelle lusingatrici, e a bruciare tutta la poesia che aveva composto da giovane. Ma la necessità artistica spinse questo discepolo di Socrate a una nuova forma d’arte: il dialogo che avrà un seguito nella satira menippea e nel romanzo[19]: “Il dialogo platonico fu per così dire la barca in cui la poesia antica naufraga si salvò con tutte le sue creature; stipate in uno stretto spazio e paurosamente sottomesse all’unico timoniere Socrate, entrarono ora in un mondo nuovo…Realmente Platone ha fornito a tutta la posterità il modello di una nuova forma d’arte, il modello del romanzo, questo si può definire come una favola esopica infinitamente sviluppata, in cui la poesia vive rispetto alla filosofia dialettica in un rapporto gerarchico…cioè come ancilla. Questa fu la nuova posizione della poesia, in cui Platone la spinse sotto la pressione del demonico Socrate. Qui il pensiero filosofico cresce al di sopra dell’arte, costringendola ad abbarbicarsi strettamente al tronco della dialettica. Nello schematismo logico si è chiusa in un involucro la tendenza apollinea: così in Euripide abbiamo dovuto constatare qualcosa di corrispondente, e inoltre una traduzione del dionisiaco nella passione naturalistica”[20].
Negli scritti di Nietzsche prevale la poesia: “in lui la poesia ribalta e scalza il pensiero ed è piuttosto questo che serve a quella”[21].
Bologna 9 gennaio 2022 ore 11, 45 giovanni ghiselli
Sempre1309864
[1] Ecce homo, Prologo.
[2] T. Mann, La filosofia di Nietzsche, in Nobiltà dello spirito, p. 824.
[3] T. Mann, Op. cit., p. 825.
[4] F. Nietzsche, Socrate e la tragedia, conferenza tenuta a Basilea il 18 gennaio del 1870. In verità e menzogna, p. 58.
[5] Da hJduvnw, “condisco”.
[6] Ecce homo, Aurora, 2
[7] Frammenti postumi primavera 1888 14 (134).
[8] Del 423 a. C.
[9] Del 414 a. C.
[10] Zibaldone, 2246.
[11] Leopardi, Zibaldone, 527.
[12] Musil, L’uomo senza qualità, p.243.
[13] La nascita della tragedia , capitolo 13. il coro di spiriti è quello del Faust di Goethe. Essi si rivolgono allo stesso Faust che ha scagliato anatemi universali, dopo avere detto a Mefistofele :“Così tu ti opponi alla forza eternamente attiva, salutare e creatrice, il pugno di ghiaccio del diavolo, che invano si serra maligno! Tròvati da dar qualcos’altro, strano figlio del Caos!”
[14] Si può pensare alla satira menippea menzionata sotto. ndr.
[15] Nietzsche, Socrate e la tragedia, in Op. cit., p. 59.
[16] Crepuscolo degli idoli, Il problema di Socrate, 4
[17] La nascita della tragedia , capitolo 14.
[18] La nascita della tragedia , capitolo 14.
[19] M. Bachtin individua un collegamento tra satira menippea e romanzo, nella fattispecie quello di Dostoevskij. M. Bachtin, Dostoevskij, p. 222. Ndr.
[20] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 14,
[21] Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 399.
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