sabato 14 gennaio 2023

Debrecen estate 1976 Nefertiti I.


 

Dieci anni dopo l’approdo alla riva cui mi ero aggrappato nel luglio del 1966, in seguito al rovinoso naufragio dei miei atroci ventanni, tornai nella cittadina universitaria dove avevo trovato le amicizie e gli amori che ho raccontato non solo per riviverli e rigioirne, ma anche per mostrare ai giovani miei successori come sia possibile vivere senza rinnegare né celare la propria identità, il proprio bisogno di affetti, la propria cultura, e quanto sia meglio impiegarle con forza e metterne in risalto gli aspetti migliori per valorizzarli. Nel 1976 avevo già insegnato per un anno greco e latino in un liceo, il Rambaldi di Imola. Avevo dovuto studiare e imparare molto per farmi ascoltare, cioè accettare da quei ragazzi che potevano essere miei fratelli minori. Se non mi fosse riuscito bene, sarei tornato nella scuola media. Quell’anno scolastico studiai fino allo sfinimento. Le mie fatiche umanamente spese non andarono perdute.

Adesso le qualità intellettuali e morali che mi hanno salvato sono difficilmente riconosciute e apprezzate: vengono, anzi, spesso ignorate, talora derise come stravaganze, tanto sono rare, o persino colpevolizzate.

Ora è “normale”, cioè usuale, l’indifferenza, l’ignoranza, l’obesità, e simili lordure. Chi è capace di serietà, disciplina, spirito di sacrificio passa per matto.

Del resto già nel 1976 tante parole buone e molte immagini belle apparse e divulgate  tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta erano sparite o  mutate in peggio.

Infatti durante quel mese di vacanza incontrai una ragazza che non aveva lo spirito sul quale il mio potesse gettare un ponte dove creare un’ intesa sul tipo di quelle  vissute per un mese con ciascuna delle tre finlandesi di quella breve  età dell’oro oramai del tutto passata.

Con la donna incontrata alla festa della conoscenza del 1976 invero non mancò la mescolanza dei corpi grazie a Dio. Questa però da sola non crea la gioia. Quella sera, dopo poche parole, facemmo l’amore  in fretta e furia dentro la mia automobile.

La fusione delle anime non ci fu nemmeno nei giorni seguenti.

L’ultima amante trovata nell’ Università estiva di Debrecen era italiana e siciliana. Un poco esotica comunque. Una bruna di ventitrè anni, fine e carina. Studiava biologia. Si chiamava Anna ma la ricorderò come Nefertiti siccome mi dissero che assomigliava alla moglie del faraone eretico adoratore del sole, Amenofi IV-Ekhnaton: quasi un correligionario per me.

Questa ragazza pienamente mediterranea, di aspetto piacente, educata, elegante,  era però lontana dai miei gusti mentali. Durante quell’estate remota dunque imparai che una donna giovane  e carina non basta a evitarmi la sghignazzata del diavolo e la conseguente tristezza dopo la copula.

Ricordo un tardo pomeriggio di agosto quando oramai avevo capito bene che non stavo vivendo il quarto amore di Debrecen. Camminavo con Fulvio, l’amico che era tornato nella nostra amata accademia estiva dopo cinque anni di pausa. Cominciava a essere stanco della moglie mi disse. “Importante è non stancarsi del sole”, come Macbeth poco prima di andare in rovina, risposi.

 Eravamo sul ponte a nove arcate che a Hortobágy sormonta una palude di canne e zanzare.

Nefertiti era rimasta con un’amica dentro la csárda dove i violini zigani suonavano le danze ungheresi di Brahms accompagnati dai cembali.

Durante le settimane precedenti avevamo litigato assai spesso, siccome ci mancavano argomenti comuni di cui parlare senza noia e senza ira.

Voglio dire che l’unico modo per provare emozioni, forsanche per eccitarci sessualmente, già dopo i primi giorni era bisticciare con astio su questioni senza importanza, quisquilie che infatti nemmeno ricordo.

Qualche volte superavamo il limite dell’emozione cattiva ma comunque eccitante: quel pomeriggio la sensazione di entrambi era prossima alla nausea e non ci consentiva più di rimanere vicini.

Mentre camminavo con Fulvio sul ponte che attraversa la sottostante palude malsana, il cielo sopra di noi  nel tardo pomeriggio  era scuro, afoso, opprimente, e nella puszta davanti a noi si vedeva quell’Ungheria di maniera, piuttosto falsa, affollata di turisti avidi di fotografare i cavalli incalzati dalle fruste schioccanti dei butteri, i bovi dalle lunghe corna, i porci neri dalle candide zanne e i tipici pozzi del luogo muniti di antenne . Da tutte le parti soffiava un vento caldo che sollevava una polvere, o sabbia, di granelli neri, aguzzi e piccanti che mi si ficcavano dentro gli occhi dove le lenti a contatto li sfregavano contro la cornea infliggendomi un dolore e aggravando il mio strazio mentale

Bologna 14 gennaio 2023 ore 20, 02

giovanni ghiselli  

p. s

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