Contro l’ interpretazione che Nietzsche dà di Euripide, non assurda ma unilaterale, a tratti anche faziosa, è utilizzabile un capitolo del volume di B. Snell: La cultura greca e le origini del pensiero europeo (del 1963). Il capitolo che ci interessa è intitolato Aristofane e l'estetica.
Snell difende Euripide dalle accuse di realismo, razionalismo e immoralismo[1], che gli vengono fatte dalla triade critica Aristofane-A. W. Schlegel-Nietzsche, sottolineando prima di tutto l'importanza culturale della sua opera che non solo ha segnato un'epoca, ma ne ha anticipate e aperte altre, per lo meno nel campo dell'estetica e della poesia[2].
Infatti l'estetica di Callimaco prescrive quella Musa sottile ( Mou'san…leptalevhn, Aitia , fr. 1 Pfeiffer, v. 24) che il coro delle Rane attribuisce al personaggio Euripide, il cincischiatore di concettuzzi, la cui lingua aguzza, inquisitrice di versi, sminuzzerà (kataleptologhvsei ) le parole colossali di Eschilo, grande fatica di polmoni (pleumovnwn polu;n povnon, v. 829 ).
Non solo: lo stesso Euripide di aristofane più avanti si vanta di avere prima di tutto reso snella l'enfatica poesia di Eschilo ( i[scana me;n prwvtiston aujthvn ) e di averle tolto gravezza con parolette e rigiri (kai; to; bavro" ajfei'lon-ejpullivoi" kai; peripavtoi", Rane, vv. 941-942).
Anche l’ antifemminismo di cui le donne della commedia di Aristofane Tesmoforiazuse accusano Euripide è del tutto infondata.
"Medea si rivela fin dal principio come una donna non comune, di sinistra potenza, e di fronte ad essa il saggio e benpensante Giasone non è che un miserabile. Questa raffigurazione che Euripide ci dà dell'eroe del mito greco e della maga barbara, distribuendo luci ed ombre proprio all'opposto di come accadeva nella veneranda tradizione, ci permette di capire perché Aristofane rimproverasse al poeta di aver gettato nel fango le nobili figure del mito. Ma Euripide non lo fa per l'infame piacere di demolire ogni grandezza, al contrario (e qui Nietzsche ha visto più a fondo di Aristofane e di Schlegel) lo fa con un'intenzione morale: le credenze antiche vengono smascherate e demolite, ma per far posto a un senso di giustizia più vero e per porre un fondamento a questo nuovo dovere. E chi potrà sottrarsi all'impressione che questa Medea non abbia davvero la ragione dalla sua, di fronte a questo Giasone?"[3].
Nietzsche e Wagner. La fase dell’entusiasmo
Nella conferenza Il dramma musicale greco tenuta a Basilea il 18 gennaio 1870, Nietzsche scrive che il dramma antico si configura quale “arte totale”; quindi “la festa della rappresentazione drammatica è come la festa della riunificazione delle arti”[4]
Del resto il drammaturgo aveva una prospettiva sicura: “in un’Atene dove, per usare le parole di Lessing, anche la plebe aveva gusto fine e sensibile”[5].
Nella IV inattuale Richard Wagner a Bayreuth (del 1876), Nietzsche conserva l’entusiasmo per il compositore e per Schopenhauer che vengono accostati ad altri grandi personaggi della cultura europea (Kant, gli Eleati, Empedocle ed Eschilo). Wagner è “un artista globale e un animatore del materiale raccolto,un semplificatore del mondo (…) L’arte mostra dei conflitti “che sono semplificazioni delle reali lotte della vita” [6].
L’arte, come la filosofia, fa bene ai sani e male ai malati: “Quando in città popolose osservo come migliaia di persone mi passano davanti con l’espressione dell’apatia o della fretta, mi dico sempre che esse devono stare intimamente male. Ma per tutti costoro l’arte esiste soltanto perché si sentano ancora peggio e diventino ancora più apatici e insensibili, o ancora più frettolosi e bramosi. Giacché il sentimento falso li cavalca e li pungola senza posa e non permette mai che essi confessino a se stessi la loro miseria; se vogliono parlare, la convenzione sussurra loro qualcosa all’orecchio, per cui dimenticano ciò che veramente volevano dire; se vogliono intendersi fra loro, il loo intelletto è come paralizzato da incantesimi , sicché chiamano fortuna ciò che è la loro sfortuna, e per loro disgrazia si legano inoltre volontariamente fra loro. Così sono in tutto e per tutto trasformati e abbassati a schiavi abulici dal sentimento falsio (Richard Wagner a Bayreuth capitolo 5).
La voce dell’arte di Wagner “mostra soprattutto che la vera musica è un frammento di fato e di legge primordiale” (Op. cit. capitolo 6).
Sentiamo Wagner : “L’opera d’arte, lirica e drammatica, era un atto religioso vero e proprio; e in quest’atto, paragonato alla semplicità delle cerimonie religiose primitive, già s’affacciava il desiderio di rappresentare collettivamente e deliberatamente il ricordo comune…La tragedia fu dunque il trasformarsi di una cerimonia religiosa in opera d’arte”[7].
Nello scritto L'arte e la rivoluzione (1849), Wagner definisce il dramma " arte complessiva dove l'elemento maschile e intellettuale, la parola, feconda quello femminile, la musica che ha la risonanza dei tempi primordiali".
“Ben è vero, l’Italia ha preti e frati; non già sacerdoti: perché dove la religione non è inviscerata nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo, l’amministrazione del culto è bottega”[8].
Ebbene nell’Atene del tempo di Eschilo, Sofocle, Euripide, la religione era inviscerata nelle leggi e nei costumi del popolo ateniese che premiava sopra tutti Sofocle, il drammaturgo più religioso e devoto.
Cito ancora Wagner: “L’opera d’arte è la rappresentazione vivente della religione; ma la religione non l’inventa l’artista: essa deve le sue origini al popolo”[9].
Nietzsche vede nell’arte di Wagner il superamento della cultura che esclude la maggioranza del popolo: “ Se qualcosa distingue la sua arte da tutta l’arte dei tempi moderni , è questo: essa non parla più il linguaggio della cultura di una casta e in genere non conosce più il contrasto fra colti e incolti (…)Il Faust è la rappresentazione dell’enigma non popolare che i tempi moderni si sono imposti nella forma dell’uomo teoretico assetato di vita. Il suo poeta sapeva perché raccomandava con tanta serietà il suo pensiero: “Le mie cose non possono diventare popolari; chi pensa ciò e si sforza in tal senso è nell’errore”[10]..
Credo che la grande arte come la vera cultura debba essere comprensibile a tutti. Le citazioni dei classici che costellano i miei scritti e il mio parlare servono a semplificare chiarire e abbellire il discorso a renderlo perspicuo, non complicato , confuso e oscuro come fanno quanti cercano l’approvazione dei circoli degli scrittori che pochi leggono e nessuno capisce anche se sono pompati dai media. Io amo il bello con semplicità.
Bologna 10 gennaio 2022
giovanni ghiselli
Sempre1310335
[1] “Soltanto in un punto caratteristico Nietzsche si differenzia da A. Schlegel; Socrate non è per lui l’immoralista, ma piuttosto il moralista, e appunto come moralista e spirito teoretico distrugge quel che c’era di vivo e sacro nel mondo antico. La morale diventa qui un veleno dissolvitore” (La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 174).
[2] In questo punto Snell non è lontano da Nietzsche.
[3] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 178-179.
[4] In Verità e menzogna, p. 39
[5] Op. cit., p. 41.
[6] In Considerazioni inattuali, capitolo 4
[7] R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire (del 1849), p. 252.
[8] Cfr. U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis, 17 marzo 1798.
[9] R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, p. 133.
[10] R. Wagner a Bayreuth, cap. 10.
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