Dodds considera Euripide il poeta dell’irrazionalismo.
Dodds vede in Euripide addirittura “il principale rappresentante dell’irrazionalismo del V secolo : “Euripides remains for us the chief representative of fifth-century irrationalism; and herein, quite apart from his greatness as a dramatist, lies his importance for the history of Greek thought”[1], e in questo, del tutto a parte dalla sua grandezza come drammaturgo, sta la sua importanza per il pensiero greco.
Leggiamo un paio di espressioni di Neitzsche che contrastano la logica. Del resto spesso è la vita stessa che contraddice la logica. Una contraddizione consentita alla vita e a grandi personaggi pieni di vita come Nietzsche, Cristo e altri positi in signum cui contradicetur (cfr. N.T. Luca, 2, 33.)
“Voglio, una volta per tutte, non sapere molto. La saggezza pone dei limiti anche alla conoscenza”[2].
“A furia di cercare gli inizi si diventa gamberi. Lo storico guarda all’indietro ; finisce anche per credere all’indietro[3].
Questo succede se lo sguardo retroattivo non si sposta poi sul presente pee capirlo e sul futuro per prevederlo
“Essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente”[4].
Insomma: la sapienza deve avere il sapore della vita e deve giovare alla vita, non solo all’intelligenza della vita ma anche al sentimento della vita, al sentire la vita.
Questa idea si trova anche nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi e anzi esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua dicendo: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.
“Si leggano ad es. le sue considerazioni sull’effetto avvilente della macchina: “La macchina è impersonale, essa toglie al prodotto del lavoro il suo orgoglio, il suo frammento di umanità. In passato ogni acquisto da un artigiano costituiva un contrassegno personale, con cui ci si circondava; le suppellettili domestiche e gli abiti divennero in tal modo il simbolo di reciproca stima e di personale comunione, mentre noi ora viviamo, a quanto sembra, in mezzo ad una schiavitù anonima e impersonale. Non si deve pagare a troppo caro prezzo il fatto che il lavoro diventi più facile” [5]. Il filosofo ungherese rivolge il suo attacco principale contro le conseguenze della divisione capitalistica del lavoro, disastrose per la civiltà e la cultura.
La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”[6].
“Nella visione di Niezsche, comunque, la vita non è niente di calmo e di rassicurante. E’ un selvaggio e indomito groviglio di creazione e distruzione, gioia e dolore, significato e insignificanza E’ un fiume rapinoso che fa e disfa ogni meta, è un’espansione di potenza che continuamente celebra e dissipa se stessa”[7].
Un capitolo (46) della mia metodologia[8].
Sommario
La cultura contribuisce alla crescita della persona e sa trattare come vivo ciò che è vivo. Tolstoj, Nietzsche e l’uomo alessandrino[9]. il Museo, la biblioteca di Alessandria e gli “scarabocchiatori libreschi” canzonati da Timone di Fliunte. Cicerone: gli inutili individui sepolti negli studi letterari, e l’ umbraticus doctor di Petronio. Luciano nella Storia Vera si prende gioco della “questione omerica”. Platone: la rivolta dei poveri snelli e abbronzati contro i ricchi pallidi e grassi fa cadere l’oligarchia. Seneca: il De brevitate vitae e la “morbosa” filologia omerica. Quintiliano: il ragazzo non deve impallidire a ammuffirsi in una vita umbratile e solitaria. Aristofane: le Nuvole contro i maestri pallidi. Annoiare è il crimine degli imbecilli. Goethe. Nietzsche: Zarathustra contro i dotti. Fellini: contro uno studio di tipo catastale. Hesse: il maestro deve avere la capacità di attirare e influenzare. Leopardi e la reputazione degli Italiani quali “custodi di musei”.
La gestione e l'esposizione delle nostre materie non deve essere fredda, da erudito senza anima. "La cultura, secondo noi, rappresenta l'insieme di tutti gli elementi che contribuiscono alla crescita dell'individuo, che gli forniscono una più ampia concezione del mondo, che gli danno nuove conoscenze. Tutto produce cultura: i giochi infantili, le sofferenze, le punizioni dei genitori, i libri, il lavoro, lo studio libero e lo studio imposto, l'arte, la scienza, la vita[10]".
"La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo"[11].
La sapientia , sostiene Seneca "res tradit, non verba" [12] insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula: "Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108, 35), cerchiamo di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni.
Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore"[13].
Noi insegnanti dobbiamo prendere le distanze dal pedante estraneo al mito e alla vita, quello che Nietzsche definisce "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino[14], che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[15].
“Se devo parlare anch’io per metafore, dirò che la filologia è un aborto della dea filosofia che la generò assieme a un idiota o a un cretino. Peccato che Platone non abbia già escogitato questo mito: a lui crederesti, più che a me, e con ragione”[16]
La filologia in effetti non può prescindere dal buon gusto letterario, dalla conoscenza della filosofia e da quella della storia. La filologia cretina è quella che si limita ai tecnicismi. In questa maniera viene praticata in diversi licei e università, ma fatta così usurpa anche il nome di filologia.
Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus (1947): "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (...) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[17]. E’ il caos che si fa cosmo. E’ quello che aveva fatto Eschilo nell’Orestea.
Massimo Cacciari considera “un’opera straordinariamente fortunata, fin dall’età carolingia, il De nuptiis Philologiae et Mercurii del retore cartaginese Marziano Capella, di cui abbiamo le prime citazioni tra il 440 e il 480” La mente inquieta Saggio sull’Umanesimo, p. 37) E’ un trattato didattico, misto di prosa e di versi in metro vario, indirizzato al figlio. Quest’opera ebbe una grande importanza in tutto il Medio Evo. Venne commentata da Giovanni Scoto[18]
Il De nuptiis Philologiae et Mercurii ha esercitato un’influenza determinante “sull’iconografia delle artes liberales, dai rilievi del campanile di Giotto fino, in pieno Umanesimo, a quelli di Agostino di Duccio nel tempio albertiano di Rimini.
A noi qui interessa brevemente analizzarla come possibile icona di quel nesso tra filologia e filosofia che ci sembra centrale per intendere il pensiero dell’Umanesimo” (p. 37)
Filologia ha nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare l’insieme delle arti liberali. Filologia è amore per ogni forma del logos.
Scoto legge le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete della mente divina, colui che conduce al Nous.
La filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum in supera”. Filologia dovrà sposare l’interprete Mercurio che conduce a comprendere la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima però deve vomitare “coactissima egestione” tutto ciò di cui è piena, ossia della erudizione umana, troppo umana.
“Marziano dice questo mystice poiché fino a quando l’animo umano è gonfio della scienza terrena e ne è oppresso non può in alcun modo essere capace della vera sapienza che eleva al cielo” (Remigio di Auxerre, IX secolo)
Poi quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza. “passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”. (Massimo Cacciari, La mente inquieta, Saggio sull’Umanresimo, cap. terzo Philosophica Philologia, p. 38)
Dunque Filologia corre da Filosofia omni studio affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le faccia da guida e da sposo.
Scoto commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia subisce una metamorfosi dalla facies terrestre che vomita la disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle arti dalle Muse.
Mercurio interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal cumulo di saperi le arti si trasfigurano in Armonia. E Filologia terrestre diventa celeste. Ermete è metaxuv tra Filologia e Filosofia “dialettizza l’ordine dei grammata con quello della philìa o eros per la sapienza del Bene, che costituisce la timé di Donna filosofia”. (La mente inquieta, p. 39)
Insomma la filosofia è quel supremo sapere raccomandato da Socrate ad Alcibiade nel dialogo Alcibiade II di Platone
SW. `Or´j oân, Óte g' œfhn kinduneÚein tÒ ge tîn ¥llwn
™pisthmîn ktÁma, ™£n tij ¥neu tÁj toà belt…stou ™pist»mhj
kekthmšnoj Ï, Ñlig£kij mn çfele‹n, bl£ptein d t¦ ple…w
tÕn œconta aÙtÒ, «r' oÙcˆ tù Ônti Ñrqîj ™fainÒmhn lšgwn;
vedi dunque, dice Socrate ad Alcibiade, quando dicevo di questo rischio: che il possesso delle altre scienze se uno non possiede la scienza di quanto è ottimo (l'idea del Bene), di rado giova, mentre per lo più danneggia chi ce l'ha, non ti sembra che io parlavo dicendo quanto è sostanzialmente corretto?
Alcibiade dà ragione a Socrate il quale aggiunge
Ð d d¾ t¾n kaloumšnhn polumaq…an te kaˆ polutecn…an
kekthmšnoj, ÑrfanÕj d ín taÚthj tÁj ™pist»mhj, ¢gÒ-
menoj d ØpÕ mi©j ˜k£sthj tîn ¥llwn, «r' oÙcˆ tù Ônti
dika…wj pollù ceimîni cr»setai, ¤te omai ¥neu kubern»tou
diatelîn ™n pel£gei, crÒnon oÙ makrÕn b…ou qšwn; éste
sumba…nein moi doke‹ kaˆ ™ntaàqa tÕ toà poihtoà, Ö lšgei
kathgorîn poÚ tinoj, æj ¥ra poll¦ mn ºp…stato
œrga, kakîj dš, fhs…n, ºp…stato p£nta. (Alcibiade II 147b)
e chi possiede la cosiddetta conoscenza enciclopedica e politecnica , ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da ciascuna delle altre, non farà uso sostanzialmente di una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti a proposito quello che dice il poeta criticando uno che effettivamente sapeva molte cose ma le sapeva tutte male
Un aspetto negativo della cultura museale, e della poesia “dotta” di tipo callimacheo, è la sua separazione dall’anima popolare: “Questa separazione-che in Atene era stata motivo di incomprensione e di diffidenza tra i filosofi e la città ed ora era totale estraneità – fa sì che un poeta satirico e filosofo scettico, Timone di Fliunte, contemporaneo dei primordi del Museo, ne parli come di una “gabbia”: la gabbia delle Muse. “Nella popolosa terra d’Egitto-così si esprime Timone-vengono allevati degli scarabocchiatori libreschi che si beccano eternamente nella gabbia delle Muse” (fr. 12 Di Marco)”[19].
Agli studiosi separati dalla vita allude Cicerone nell'orazione Pro Archia [20] e proclama la necessaria diversità del poeta da tale genìa che ha tutte le ragioni per vergognarsi :" Ceteros pudeat, si qui ita se litteris abdiderunt, ut nihil possint ex iis neque ad communem adferre fructum neque in aspectum lucemque proferre" (6, 12), gli altri si vergognino se si sono seppelliti negli studi letterari in modo che da questi non possono recare niente all'utilità comune, né presentare alcunché alla vista e alla luce.
Su questa linea procede Luciano il quale si prende gioco della cosiddetta questione omerica, e del sentimento nazionale dei Greci, immaginando un incontro con Omero che afferma di essere un Babilonese di nome Tigrane, nome poi cambiato in Omero per essere stato in ostaggio presso gli Elleni (oJmhreuvsa~ para; toi'~ {Ellhsin), quindi aggiunge che i versi espunti dai filologi Alessandrini invero erano autentici (Storia vera, II, 20). Sicché i grammatici seguaci di Zenodoto e Aristarco vengono accusati di yucrologiva, di fare delle fredde chiacchiere.
Del resto Luciano premette alla sua storia la confessione che è una favola mentita, essendo lui un seguace dell’ Odisseo omerico divdaskalo~ th'~ toiauvth~ bwmolociva~ (I, 3), maestro di tale ciarlataneria.
L’umbraticus doctor non può essere un educatore.
L’ombra aduggia la forza della vita. E' interessante notare che nell’VIII libro della Repubblica di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh" hJliwvmeno" (556d) il quale, schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta carne altrui (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà, e capisce che non vale nulla, quindi che non deve obbedirgli poiché il potere di quell’individuo pallido e grasso non è naturale.
Il maestro pallido, ossia tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche fisica nel giovane discepolo.
Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi', ponhroiv g' oi\da. tou;" ajlazovna"-tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (Aristofane, Nuvole, vv. 102-103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Nella Pace[21] è pallida addirittura la città di Atene paralizzata dal terrore della guerra, dei demagoghi e dei sicofanti:"hJ povli" ga;r wjcriw'sa kajn fovbw/ kaqhmevnh" (v. 642).
Di certo gli studenti proveranno simpatia per le parole dei grandi autori contro i cattivi maestri. Possiamo aggiungere queste parole di Mefistofele a Faust: " Che è questo luogo di martirio? E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i giovani?"[22].
Quanti di noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli. Dobbiamo avere il terrore di annoiare chi ci ascolta.
“Colui che di fronte a Sofocle e ad Aristofane non è mai riuscito a ricevere un'impressione insolita, ad avere un pensiero decente, viene posto al telaio dell'etimologia, o viene invitato a raccogliere residui di dialetti remoti... I nostri licei allevano un'erudizione micrologica e arida che in ogni caso rimane lontana dall'educazione”[23] .
Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"
Inoltre: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"[24].
L’insegnante bravo è quello che non solo ha studiato molto ma ha vissuto, gioito e sofferto e amato molto. A lui molto sarà perdonato.
Sentiamo i ricordi di Fellini studente: "La scoperta, la conoscenza del mondo pagano che si acquisisce a scuola, ad esempio, è di tipo catastale, nomenclativo, favorisce con quel mondo un rapporto fatto di diffidenza, di noia, di disinteresse, al massimo di una curiosità casermesca, abietta, un po' razzistica, comunque di cosa che non ti riguarda"[25]. In un altro libro il regista riminese racconta di un insegnante impreparato che si riempiva di ridicolo:" Il professore era comicissimo quando pretendeva che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo perché lui declamava con la sua vocina l'unico verso rimasto di un poeta:"Bevo appoggiato sulla lancia"[26]; e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli"[27].
La chiave è proprio questa: far capire e sentire ai giovani che quel "mondo pagano" li riguarda. Certamente l'attenzione degli studenti ha un prezzo molto alto, quello della nostra preparazione, e il loro consenso non va cercato a tutti i costi. Josef Knecht durante il suo apprendistato nel mondo spirituale della Castalia "imparò che un po' di questa capacità di attirare e d'influenzare gli altri è parte essenziale delle doti di un insegnante e di un educatore, e che nasconde pericoli e impone certe responsabilità"[28].
Infine Leopardi che considera malinconicamente la reputazione che hanno gli Italiani all’estero di essere “tanti custodi di un museo”, quando va bene: “Quegli tra gli stranieri che più onorano l’Italia della loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili; e ci hanno quella stima che si suole avere a questo genere di persone; quella che noi abbiamo in Roma agli usufruttuarii, per così dire, delle diverse antichità, luoghi, ruine, musei ec. (31 Marzo 1827)”[29].
Leopardi probabilmente non frequentava i Musei: leggendolo ho trovato nei suoi scritti ancora meno che in quelli di Nietzsche il quale per lo meno ha commentato La trasfigurazione di Raffaello nel IV capitolo di La nascita della tragedia. Vi ha riconosciuto la sapienza silenica- nel fanciullo ossesso- e l’apollineo nell’ascesa di Cristo.
“Raffaello ci ha rappresentato in un dipinto simbolico…il processo originario dell’artista ingenuo e insieme della cultura apollinea. Nella sua Trasfigurazione[30] la metà inferiore col ragazzo ossesso, li uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario…l’illusione è qui un riflesso dell’eterno contrasto…Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione di cui quelli illuminati dalla prima visione non vedono niente-un luminoso fluttuare in purissima delizia…Qui abbiamo davanti agli occhi quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza del Sileno e comprendiamo la loro reciproca necessità”[31].
Bologna 7 gennaio 2023 ore 18, 46
giovanni ghiselli
Sempre1309364
[1] Dodds, Euripides the irrationalist in The ancient concept of progress, p. 90.
[2] Crepuscolo degli idoli, Detti e frecce, 5.
[3] Crepuscolo degli idoli, Detti e frecce, 24.
[4] B. Snell, Poesia e società, p. 151.
[5] G. Lukács, Contributi alla storia dell’estetica, p. 333.
[6] La nascita della tragedia , capitolo 18.
[7] Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 399.
[8] Si trova in Punto Edu Neoassunti Indire. Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino.
Essere e Divenire del “Classico”. Atti del Convegno Internazionale (Torino-Ivrea 21-22-23 Ottobre 2003). L’arte dei luoghi nella didattica del latino (pp. 241-256). Utet, Torino, 2006.
[9] La cultura alessandrina fiorì sotto il patrocinio dei Tolomei, a partire da Tolomeo I Sotèr che divenne satrapo dell’Egitto dopo la morte di Alessandro Magno (323 a. C.), assunse il titolo di re nel 305, e morì nel 283. Ulteriore impulso venne dato dal suo successore Tolomeo II Filadelfo che fu correggente dal 285, regnò dal 283 al 246 a. C., poi da Tolomeo III Evergete (246-221 a. C.).
[10] L. Tolstoj, Educazione e formazione culturale in Lev Tolstoj, Quale scuola? , p. 77.
[11] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, Seconda conferenza del 1872
[12]Seneca, Epist. ad Luc. , 88, 32.
[13] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 116.
[14] Ad Alessandria d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno nella primavera del 331 a. C., i Tolomei istituiscono un Museo dove “vengono a confluire strumenti di lavoro, collezioni di animali, raccolte di libri” Inoltre “dentro il Museo vivono in koinonia gli scienziati e i letterati: lì studiano, lì impartiscono il loro insegnamento, lì consumano i pasti in comune”. (L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 15). Viene in mente la Castalia di Il gioco delle perle di vetro di H. Hesse. Oltre al Museo i Tolomei fondarono una “ grande biblioteca “mirante –secondo l’ambizioso progetto-a contenere tutti i libri del mondo… Tutte le fonti concordano nell’attribuire al II Tolomeo, il Filadelfo (285-246 a. C.), figlio e successore dopo due anni di correggenza, del Soter, l’iniziativa della grande biblioteca ed il merito di averla incrementata in modo ammirevole e rapido. E nondimeno le medesime fonti pongono accanto al Filadelfo, come principale esecutore e ordinatore di questa impresa, Demetrio Falereo, che invece dal Filadelfo fu eliminato non appena questo poté regnare da solo (fr. 69 Wehrli)” Luciano Canfora, op. cit., p. 20.
Demetrio del Falero era l’allievo di Teofrasto che Cassandro impose nel 317 al governo di Atene: nel 307 fu costretto, da Demetrio Poliorcete, a fuggire: si rifugiò in Egitto dove rimase fino alla morte.
[15]Nietzsche, La nascita della tragedia , p. 123.
[16] Nietzsche Lettera a Paus Deussen, Lipsia, circa il 20 ottobre 1868.
[17] T. Mann, Doctor Faustus, pp. 12 e 14.
[18] Conosciuto anche con l'epiteto di Doctor Subtilis (Duns, 1265/1266 – Colonia, 8 novembre 1308), è stato un filosofo e teologo scozzese
[19] L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 16.
[20] Del 62 a. C.
[21] Del 421 a. C.
[22] Goethe, Faust , Prima parte (del 1808), Studio II, vv. 1835- 1837
[23] Sull’avvenire delle nostre scuole, III conferenza.
[24] G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.
[25] F. Fellini, Fare un film, p. 101.
[26] Si tratta di una parte del pentametro del fr. 2D. di Archiloco costituito da un distico elegiaco. Non è "l'unico verso rimasto" del poeta vissuto nel VII secolo a. C.
.
[27] F. Fellini, intervista sul cinema, p. 136.
[28] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 155.
[29] Zibaldone, 4267.
[30] 1518 ca. PinacotecaVaticana..
[31] La nascita della tragedia, p.36.
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