Ad ogni modo per Nietzsche, come per Goethe o per il Settembrini, personaggio della Montagna incantata di T. Mann, Prometeo è un eroe e l’eroe è “la forma più ammissibile della vita umana”[1]
Ancora Nietzsche con formula schopenhaueriana: “L’eroe, la più alta apparenza della volontà”[2].
L’eroe, come il genio, sa afferrare l’occasione.
“Forse il genio non è affatto così raro: sono rare le cinquecento mani che gli sono necessarie per dominare il kairov~, “il momento opportuno”, per afferrare per i capelli il caso!”[3].
L’occasione infatti è calva di dietro.
Il dandismo come l’ultimo atto di eroismo.
L’ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza, secondo Baudelaire è il dandismo.
Baudelaire[4] compila una breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[5]. Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia"[6].
Nietzsche mette Alcibiade nel numero ristretto dei seduttori:"allora nascono quegli uomini magicamente inafferrabili ed impenetrabili, predestinati alla vittoria e alla seduzione, le cui più belle espressioni sono Alcibiade e Cesare (ai quali aggiungerei di buon grado Federico II di Hohenstaufen, che secondo me è il primo Europeo), e forse Leonardo da Vinci, tra gli artisti. Essi fanno la loro comparsa proprio in quelle epoche, il cui proscenio è occupato dal tipo più debole col suo desiderio di riposo: i due tipi sono in stretto rapporto e vengono originati dalle medesime cause"[7].
Il debole è quello che danneggia se stesso. “Una natura forte si riconosce dalla sua capacità di aspettare e differire la reazione: una certa ajdiaforiva[8] le è propria come alla natura debole è propria l’automaticità della reazione…Il debole danneggia se stesso. E’ questo il tipo della decadenza”[9].
Shakespeare e Sofocle
I poeti e “in particolar modo Shakespeare, sono innamorati delle passioni in sé…Non sta loro a cuore la colpa e il suo triste epilogo, si tratti di Shakespeare oppure di Sofocle (nell’Aiace, nel Filottete, nell’Edipo): per quanto sarebbe stato facile, nei casi suddetti, fare della colpa la leva del dramma, proprio questo è senz’altro evitato. Altrettanto poco si cura il poeta tragico di creare con le sue immagini della vita un senso di ostilità contro la vita! Egli grida invece: “è un’avventura la vita,-prendiate questo o quel partito, manterrà sempre questo carattere!”. Così egli parla secondo la prospettiva di un tempo inquieto e colmo di forza, un tempo che è quasi ebbro e stordito dalla sua sovrabbondanza di sangue e d’energia, un tempo più malvagio di quanto non sia il nostro: per cui siamo costretti innanzitutto a predisporre e ad adattare, per noi, il fine di un dramma shakespeariano, vale a dire, a non comprenderlo”[10].
I versi di Sofocle si distinguono per la loro densità, chiarezza e profondità.
“Essere profondi e sembrare profondi. Chi si sa profondo, si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrar profondo alla moltitudine, si sforza d’essere oscuro. La moltitudine infatti prende per profondo tutto quello di cui non può vedere il fondo: è così timorosa e va in acqua così a malincuore”[11].
Euripide e il socratismo estetico.
Sotto il segno della sofistica, Euripide aveva imparato a dubitare di tutto.
La storia del sodalizio con Socrate e addirittura della loro complicità, che Nietzsche considera foriera di morte per la tragedia classica, parte da Aristofane il quale nelle Rane [12] fa dire al coro soddisfatto per la vittoria di Eschilo su Euripide:" bella cosa è dunque non stare seduto a chiacchierare (lalei'n) con Socrate disprezzando la musica (ajpobalovnta mousikhvn) e trascurando la grandezza dell'arte tragica" (vv. 1492-1496).
Sentiamo la rielaborazione di Nietzsche: “ Se abbiamo dunque riconosciuto che Euripide non riuscì in genere a fondare il dramma soltanto sull’apollineo, che anzi la sua tendenza antidionisiaca si sviò in una tendenza naturalistica e non artistica, potremo ormai avvicinarci all’essenza del socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un dipresso: “Tutto deve essere razionale per essere bello”, come proposizione parallela al socratico: “solo chi sa è virtuoso”. Con questo canone alla mano Euripide misurò ogni particolare, rettificandolo secondo tale legge: la lingua, i caratteri, la costruzione drammaturgica, la musica corale. Ciò che noi sogliamo tanto spesso imputare a Euripide come difetto e regresso poetico in confronto alla tragedia sofoclea, è per lo più il prodotto di quell’incalzante processo critico, di quella temeraria razionalità…Euripide si accinse a mostrare al mondo, come anche fece Platone, l’opposto del poeta “irragionevole”; il suo principio estetico “tutto deve essere cosciente per essere bello” è, come ho detto, la proposizione parallela al precetto socratico “tutto deve essere cosciente per essere buono”. Per conseguenza Euripide può essere da noi considerato come il poeta del socratismo estetico. Ma Socrate era quel secondo spettatore che non capiva la tragedia antica e perciò non l’apprezzava; in lega con lui Euripide osò essere l’araldo di una nuova creazione artistica. Se a causa di essa la tragedia antica perì, il principio micidiale fu dunque il socratismo estetico; in quanto peraltro la lotta era rivolta contro il dionisiaco dell’arte antica, riconosciamo in Socrate l’avversario di Dioniso, il nuovo Orfeo che si leva contro Dioniso e, benché destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe alla fuga lo stesso potentissimo dio. Quest’ultimo, come nel tempo in cui era fuggito[13] di fronte al re degli Edoni Licurgo, si salva nelle profondità del mare, cioè nei flutti mistici di un culto segreto, che a poco a poco invaderà il mondo intero”[14].
Invero Dioniso è una di quelle figure mitiche e divine che assumono diversi aspetti. Arriano avverte che gli Ateniesi venerano un altro Dioniso, rispetto a quello tebano figlio di Zeus e Semele. Il dio ateniese è figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo , non a quello tebano (Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3).
Anche Nietzsche riconosce questa duplicità: “Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue lacrime gli uomini. In quell’esistenza in quanto dio smembrato Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce” (La nascita della tragedia, capitolo 10)
Così forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero cui allude Nietzsche, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno, spaventato e tremante per le grida dell’uomo feroce. Poi c’è il Dioniso pauroso e ridicolo delle Rane di Aristofane. Questo dio fugge, terrorizzato da Empusa, tra le braccia del suo sacerdote (v. 297), quindi viene apostrofato dal servo Xantia con:" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486). Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (v. 479)
‘Tutto deve essere consapevole, per essere bello’, ecco la formula di Euripide, parallela a quella socratica: ‘Tutto deve essere consapevole per essere buono’. Euripide è il poeta del razionalismo socratico”[15].
“Questa filosofia si era dispiegata, a partire dal libro giovanile su La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), come una critica della decadenza che, secondo Nietzsche, caratterizza la cultura europea dalla fine dell’epoca tragica dei greci. Il 2 gennaio 1872 apparve nelle librerie La nascita della tragedia; l’editore era Ernst Fritzsch di Lipsia, lo stesso che aveva pubblicato le opere di Richard Wagner. Il disegno nel frontespizio mostrava Prometeo liberato”[16].
Wilamowitz demolì La nascita della tragedia del 1872 con un violento pamphlet dello stesso anno: Filologia dell’avvenire! Replica a La nascita della tragedia di Friedrich Nietzsche.
Rohde controreplicò in ottobre con Afterphilologie, Filologia deretana. In favore di Nietzsche.
Nietzsche pensa che la vera vitalità del mondo greco antico, il suo significato di modello per ogni cultura successiva, vada riconosciuto nel periodo che si chiude con la tragedia euripidea e con l’insegnamento di Socrate. La grande tragedia greca (Eschilo, Sofocle) era infatti l’espressione di una civiltà ancora profondamente radicata nel mito, che nelle storie degli dèi e degli eroi tragici costruiva una immagine luminosa della vita umana la quale però aveva senso nella misura in cui manteneva un sentimento totale del destino umano. La tragedia, sosteneva Nietzsche, era nata come sintesi di spirito (o elemento) apollineo-l’impulso alla forma definita, che dà luogo per esempio all’arte della scultura; e di spirito (o elemento) dionisiaco-che è invece l’immediato sentirsi all’unisono con la vicenda incessante della vita e della morte, dove i confini dell’individualità e della coscienza sono travolti come da un fiume in piena.
“Di arti figurative ci ha parlato pochissimo, ed evidentemente non ne ha mai ricevuto folgorazioni decisive”[17].
“Con Euripide (il cui teatro è tutto permeato di motivi razionalistici[18]) e soprattutto con Socrate, che oppone al mito un’idea del mondo come ordine razionale in cui “non c’è nulla da temere” , purché ci si faccia guidare dalla ragione, l’equilibrio tra elemento apollineo e elemento dionisiaco si rompe, a favore del primo. Succede un po’ quello che, nel nostro secolo, pensatori profondamente influenzati da Nietzsche come Horkheimer e Adorno chiameranno la “dialettica dell’illuminismo”: l’imporsi di una visione razionale del mondo fa perdere il contatto con la vera realtà della vita umana, e soprattutto uccide la capacità di creare, la libertà dell’immaginazione poetica, in definitiva anche la libertà nel senso più pieno della parola. Decadenza, per il Nietzsche del libro sulla tragedia, è dunque la scienza che si sviluppa a partire dal razionalismo socratico, e che si armonizza perfettamente con la morale cristiana, per la quale il mondo reale con cui abbiamo da fare quotidianamente è solo provvisorio e apparente (come erano le cose sensibili per Platone, solo immagini delle idee eterne), e ha la sua autentica verità nel mondo dell’aldilà promesso ai fedeli dopo la morte. La decadenza della civiltà europea è un effetto dell’atteggiamento ascetico che è imposto sia dal razionalismo socratico-platonico sia dal cristianesimo: ascesi è infatti lo sforzo del cristiano di non lasciarsi dominare dalla passione per le cose di quaggiù, come ascesi è lo sforzo dello scienziato di prescindere dalle immagini mobili delle cose cercando la verità, cioè le leggi permanenti della natura, attraverso una messa tra parentesi dei propri interessi e dei propri punti di vista “soggettivi” [19].
L’ascesi pagana.
C’è un’ ascesi cristiana, ma c’è anche un’ascesi pagana e naturale: “Voglio anche l’ascesi nuovamente naturale; invece di mirare alla negazione, mirare al rafforzamento; una ginnastica della volontà”[20].
“Fino ad oggi ogni scienza crebbe accanto alla cattiva coscienza. Spezzate, spezzate, ve ne prego, le antiche tavole, uomini della conoscenza!”[21].
Viene da pensare alle armi fino alla bomba atomica.
Insomma ogni conoscenza deve servire al progresso e al benessere dell'uomo. La scienza, come la storia e tutta la cultura, deve servire alla vita.
Il Galileo di Brecht nell'ultima scena del dramma[22] afferma il dovere morale di rendere il sapere funzionale al bene dell'umanità:"Che scopo si prefigge il nostro lavoro? Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare le fatiche dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo".
L'egoismo degli affaristi invece vuole una scienza e una scuola che portino al profitto monetario. Secondo questa gente "l'educazione sarebbe definita come l'esatta cognizione per cui si diventa completamente attuali, nei bisogni e nella loro soddisfazione, per cui però, in pari tempo, si dispone, nel modo migliore, di tutti i mezzi e le vie per guadagnare il più facilmente possibile del denaro. Formare il maggior numero possibile di uomini correnti- a quel modo per cui si dice corrente di una moneta- questo dunque sarebbe il fine; e un popolo, secondo questa concezione, sarà tanto più felice quanti più uomini correnti del genere possederà…Qui si odia ogni educazione che renda isolati, che ponga dei fini al di là del denaro e del guadagno…Secondo la moralità che qui è valida, si apprezza…una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna denaro e una istruzione approfondita quanto basta per diventare un essere che guadagna moltissimo denaro"[23].
Leopardi pone Socrate vicino ai sofisti, come farà Isocrate a proposito della scuola socratica : “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[24] e de' fuchi [25] e d'ogni ornamento ascitizio[26] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).
La stessa opinione espressa da Isocrate nel manifesto della sua scuola: Kata; tw`n sofistw`n.
Bologna 6 gennaio 2023 ore 18, 58
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[1] Nietzsche, Epistolario, Santa Margherita Ligure primi di dicembre 1882.
[2] La nascita della tragedia, cap. XVI.
[3] Di là dal bene e dal male, Che cos’è aristocratico, 274
[4] 1821-1867,
[5]Curiosità estetiche (uscite postume nel 1869).
[6] In Guglielmino/Grosser, Il sistema letterario. Ottocento, p. 1152.
[7]Di là dal bene e dal male , Per la storia naturale della morale, 200.
[8] Indifferenza ndr.
[9] Frammenti posumi, primavera 1888, 14 (102).
[10] Aurora, IV, 240.
[11] La gaia scienza, III, 173
[12] Del 405 a. C.
[13] Invero Dioniso è una di quelle figure mitiche e divine che assumono diversi aspetti. Arriano avverte che gli Ateniesi venerano un altro Dioniso, rispetto a quello tebano figlio di Zeus e Semele. Il dio ateniese è figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo , non a quello tebano (Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3). Anche Nietzsche riconosce questa duplicità: “Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue lacrime gli uomini. In quell’esistenza in quanto dio smembrato Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvagio e di un dominatore mite e dolce” (La nascita della tragedia, p. 72)
Così forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero cui allude Nietzsche, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno, spaventato e tremante per le grida dell’uomo feroce. Poi c’è il Dioniso pauroso e ridicolo delle Rane di Aristofane. Questo dio fugge, terrorizzato da Empusa, tra le braccia del suo sacerdote (v. 297), quindi viene apostrofato dal servo Xantia con:" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486). Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (v. 479) n.d. r.
[14] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. XII
[15] Nietzsche, Socrate e la tragedia, conferenza tenuta il primo febbraio del 1870
[16] Nolte, op. cit., p. 39.
[17] T. Mann, Prolusione a un concerto in onore di Nietzsche in Nobiltà dello spirito e altri saggi, p. 1294
[18] Secondo Nietzsche. Invece secondo Murray e Dodds invece Euripide è piuttosto il poeta dell’irrazionalismo greco. Ndr.
[19] Gianni Vattimo, Dialogo con Nietzsche, pp.244-245.
[20] Frammenti postumi, autunno 1887, 93.
[21] Così parlò Zarathustra, Di antiche tavole e nuove, 7.
[22] Vita di Galileo, del 1957. Cito dalla traduzione di Emilio Castellani.
[23] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore, 6. Del 1874,
[24] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[25] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[26] Da ascisco, “annetto” (ndr).
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