giovedì 14 aprile 2022

Helena 27 La festa al casinetto del tennis. Josiane: la tentazione.

 

La sera in cui Elena mi insegnò a essere onesto e buono con lei, con le mie donne future, con tutte le creature viventi, e con me stesso, era il quattro di agosto dell’anno di mia salvazione 1971.

C’era una festa nella palazzina del tennis; eravamo in molti sulla terrazza del primo piano: mentre Dioniso guidava la danza degli astri brillanti,  Fulvio corteggiava la sua futura moglie con serietà, con un certo successo che allora gli pareva progresso; gli altri maschi italiani, Danilo, Alfredo, Ezio, Claudio,  Bruno e Silvano, bevevano chi più chi meno e cialtroneggiavano assai, motteggiando non finemente le femmine non italiane, in italiano.

Confesso che facevo parte della brigata che diceva parole poco belle .

 Si ballava, ma ogni tanto ci si riuniva in un angolo per schernire la gente, soprattutto le ragazze straniere. Non era santa la danza, non si cantavano inni agli dei, peani o ditirambi. Nemmeno epinici si intonavano bensì lugubri epicedi sulla tomba del buon gusto e della moralità .

Imperversava la frustrazione del giovane maschio italiano.

Parlando tra noi, designavamo le ragazze con epiteti impietosi e oltraggiosi: “il grugno da scrofa, la sfregiata, la vecchia, il cercopiteco dalla fronte inverecondamente bassa, la Megera dall’occhio che strega, la pessima tra le Forcidi, la più feroce delle tre Erinni; poi la calva, la canuta, l’epilettica, la lebbrosa, la più consumata delle volpi, la più svergognata pantera dell’Università estiva di Debrecen”, secondo la consuetudine infame del ragazzo italiano sessualmente affamato e frustrato.

Un giovane mongolo di Ulan Bator applaudiva continuamente, freneticamente. Ogni tanto lanciava un incomprensibile grido belluino. Concluse la serata del tutto sfiatato. Un Samoiedo assisteva senza fiatare, con un sorriso da mummia. Sembrava però ferocemente attaccato alla vita ancora più di noi altri.

 

Noi italiani eravamo anche imbevuti dell’antifemminismo illogico e immorale della tradizione cristiana[1] e pure greca purtroppo, raccolta e riproposta da diversi scrittori moderni malevoli verso la vita, per esempio il suicida Weininger, e il suicida Pavese che qualche anno prima era stato di moda. “Chi si prende in casa una donna, si prende un ladro”[2]. “Sono un popolo nemico le donne”[3] e così via.

Infamare le donne, come dire male degli dèi, è odiosa sapienza.

Nelle scuole si dovrebbe insegnare qualche cosa sul rapporto tra i generi.

Si irridevano dunque le ragazze e si rideva sguaiatamente, con allegrezza pazza e deforme. Lo “scellerato sesso”[4]veniva oltraggiato in vari modi.

Uno gridava con voce squillante e gesti da trombettista: “cerco piteco, cerco piteco” alludendo a un paio di ragazze dall’aspetto vagamente scimmiesco che facevano sesso con una certa disinvoltura. E il coro degli altri bruti: “Trovo piteco, trovo piteco”.

E subito dopo: “scopo piteco, scopo piteco”

Quindi il solista: “schifo piteco, schifo piteco”.

C’era un colpo e un contraccolpo, e il vociare stupido si posava su altro vociare scemo e cattivo.

Poi tutto quel gruppo di gaglioffi imbestiati urlava un “peròòòò” di ripensamento, che riapriva l’orrendo canto nuziale, un imeneo zoofilo: “cerco piteco, cerco piteco. Rendiamo felici le scimmie!”.

E così via in un girotondo assolutamente bestiale.

Claudio, arrivato in ritardo, reduce da un incontro con il suo inesausto “porcone” diceva di volere rifarsi la bocca con una quaglia vergine e appena un po’ cicciosetta. Le avrebbe insegnato la modestia.

Il fetore del coro raggiungeva la luna che i più profani arrivavano a sfottere, irridendo la sua castità violata dagli astronauti un paio di anni prima. “Che fai tu luna in ciel? Dimmi che fai, lussuriosa luna” e giù due risate.

Beceri e sacrileghi assai. Io fingevo di vergognarmi e davo a vedere una compunzione ipocrita.  Provavo anche a dire: “ma no, quali scimmie? Sono gatte mammone, creature generose!”. Oppure cercavo di istruire un secondo coro cantando l’aria di Figaro: "Guardate queste femmine, /guardate cosa son. /Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion. /Son streghe che incantano/per farci penar, /sirene che cantano/per farci affogar; /civette che allettano/per trarci le piume, /comete che brillano/per toglierci il lume. /Son rose spinose, /son volpi vezzose, /son orse benigne, /colombe maligne, /maestre d'inganni, /amiche d'affanni/che fingono, mentono, /che amore non sentono, / non senton pietà. /Il resto nol dico. /Già ognuno lo sa"[5].

Mi divertivo assai. Ogni tanto, di nascosto e sottovoce, suggerivo battute infernali ai gaglioffi più osceni, se rinculavano per andare a bere altre palinke alla prugna, o “brugna” come si diceva con un pun oscenamente allusivo.  Si Beveva, si brindava e si continuava a canzonare tra stridule risa

Ero uno sconcio demonio anche io, forse il più assatanato di tutti. Ma cercavo di coprire la mia nuda scelleratezza con scampoli di letteratura, e volevo sembrare tanto più raffinato quanto più, sotto ero un vero demonio[6].

 Elena mi osservava con cupa meraviglia. A un tratto la donna bella e fine trovò insopportabile quel comportamento volgare e cretino. Disse che era stanca e voleva andare in camera per riposarsi; più tardi, se si fosse sentita meglio, sarebbe tornata. Tanto, quelle feste al casotto del tennis duravano fino all’aurora. Non me lo chiese, ma forse sperava che la seguissi, che fossi stanco anche io di quei fescennini obbrobriosi fatti di lazzi plebei, battute volgari, offese crudeli lanciate vigliaccamente, anonimamente, in una lingua incomprensibile alle ragazze straniere dell’Università estiva di Debrecen. Disse che se io fossi rimasto lì a lungo e lei non fosse tornata, ci saremmo visti il giorno dopo, negli intervalli tra le lezioni. Molto scortesemente non l’accompagnai, poiché provavo un piacere perverso nell’osservare quegli anatemi pieni di risentimento contro le femmine umane, il sale della terra invero.

Veniva presa di mira questa o quella donna e, il coro empio e stonato, molto peggiore di uno stormo di rochi corvi gracchianti, ripeteva “la sfregiata, la culona cellulitica, appena scopabile[7], il labbro leporino, la tetta smunta, la ruffiana di se stessa, la sfigata di Debrecen”.

Non si finiva più: “è gobba, zoppa, debole di mente” gridava un semicoro indicando una bruttina assai.

E il secondo semicoro: “fuggiamo: come amante non varrebbe niente!”.

Il più studioso e addottrinato, Luigino, un diavolo travestito da uomo anche lui, se ne vedeva tre insieme non proprio belle che parlottavano tra loro, anche perché nessuno le invitava a ballare, alludeva alle Forcidi[8] dicendo: “a voi tre basta un occhio, basta un dente! E magari aggiungeva, battendo le palpebre con aria indolente: “Gebt mir das Auge, Schwestern dab es frage![9]. Poi aggiungeva con un sorriso mellifluo: “datemi quel dente vi prego: mi è venuto un po’ di appetito”.

Io, l’arcispietato, aggiungevo: “non siete voi le vecchie ragazze già nate con chiome canute, che trine in alterna vicenda, usate soltanto un occhio cisposo, un dente cariato soltanto?”[10].

Oppure indicando un ragazzo francese carino, lo scampato al fuoco di Sodoma canticchiava con un sorriso leonardesco: “apriti, apriti Sesamo!”

“Cioè?” domandai. E l’amico:” ieri sera gli ho detto Je t'aime"  e lui ha risposto "Je t'aime aussi».

Mi chiesi se avrei potuto fare altrettanto sul terreno dell’amabilità.

E giù due sghignazzate.

Quando adocchiai  una ragazza baquvkolpo" e gliela indicai, l’amico cantò

Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur
[1] 

“Bravo- gi feci- molto bravo! Sei capace di scagliare frasi brevi e piene di significato in grado di colpire a fondo come dei giavellotti!”.

“Io sì”  assentì . La sapeva lunga quel ragazzo.

Gli altri sghignazzavano. Ma noi due raffinati, l’etero assatanato e l’omosessuale, lo sdilinquito cinedo, no, noi non ci scompisciavamo dalle risate. Facevamo sghignazzare gli altri con signorile sprezzatura. Ogni tanto lanciavamo occhiate canzonatorie. Volevamo distinguerci dai visi rossi e ignoranti degli altri, alterati dall’alcol e dal godimento.

Pensavamo che un  abisso separasse noi dionisiaci dai barbari orgiastici le cui  feste consistevano in una indecente sfrenatezza verbale, un orrendo miscuglio di ignoranza e crudeltà un beveraggio per diavoli e  streghe riuniti in un sabba infernale.

 Oosservavo assai divertito, finché, pur nella mia stolta ed empia ingratitudine all’ottimo e massimo dio che ha creato le donne proprio come sono fatte e che per giunta mi aveva donato la bella Elena, a un tratto ebbi un senso di fastidio prima, poi di nausea e vergogna; ma non tanto, come avrei dovuto, per ragioni morali, quanto per una questione di stile, di gusto che sentivo marcio e velenoso, quasi fisicamente e fin dentro la bocca; perciò cercai e trovai l’occasione per cambiare attività.

Sentivo che il tempo passato in quel modo e il caos cui era associato mi divoravano, e distruggevano la parte migliore di me.

Mi accorsi che una ragazzina francese, conosciuta solo di vista e di nome, una diciottenne piuttosto bellina e fine, Josiane[11], fresca e profumata come una rosa, mi stava guardando con occhi splendenti di simpatia. L’amabile esca del suo sguardo crepitava di vita e di grazia vivace. Mi sorrideva quasi ammiccando.

 “Per niente timida - pensai - sana come un pesce, liscia come una susina, lieta e graziosa come un’uccellina passeriforme, e magari pure lasciva.

La sorte a volte raddrizza, a volte invece butta giù. Vedremo.

Vado a dirle che se non mi amerà morirò come una farfalla cui sono state sciupate le ali.  Se non mi vorrà, da giovane uomo che sono, diventerò un cadavere che respira. Non sono inesperto di sventure. In ogni caso non si può impedire al sole di sorgere, a me e a lei di amare”.  Ero mezzo brillo, mi dicevo idiozie  e volevo provarci. Volevo vedere a quale punto poteva arrivare la ricchezza inventiva della mia vita. Continua a seguirmi lettore: ti piacerà.  

 

Note

[1] “Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio” Nietzsche., Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.

[2] Questo è Esiodo, il caposcuola.

[3] Questo è Pavese che, non per caso, si è ammazzato, come Weininger.

[4] Cfr. Ariosto, Orlando furioso, 27, 119.

[5]Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro, IV, 8.

[6] Cfr. Shakespeare, Riccardo III, I, 3. -And seem a saint, when most I play the devil

[7] Non mancavano le ragazze di Berlino est, ma Angela Merkel non c’era; all’epoca era una giovanissima comunista, anche piuttosto carina. Questa nota è per Silvio Berlusconi.

[8] Sono le figlie di Forco: tre sorelle orribili che avevano un solo occhio e un dente solo tra tutte e tre.

[9]Datemi l’occhio, sorelle, perché veda! Goethe, Faust, II, 2, Notte di Valpurga classica.

[10] Cfr. Goethe, Faust II parte, atto III Davanti al palazzo di re Menelao a Sparta.

[11] La incontrerò di nuovo nel 1974, come racconto in un episodio della sroria di Päivi.

 

 

 

Bologna 14 aprile 2022 ore 9, 50

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Sono parole di Schiller musicate da Beethoven nell’inno Alla Gioia  (IX sinfonia: Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;

)

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