martedì 5 aprile 2022

Edipo re VIII parte La responsabilità del capo nei confronti della collettività.

Si può inquadrare sotto i versi 58-61.

Il protagonista dunque è padre e capo della sua gente: dalla incomparabile potenza e dalla integrità di lui, dipendono la vita e il benessere della povli".  

 La religiosità antisofistica e il tradizionalismo della concezione sofoclea ci inducono a richiamare alcuni versi dell'Odissea   (XIX,108-114): "Raggiunge l'ampio cielo la tua fama,/ come quella di un re irreprensibile che pio, regnando su molti uomini forti,/tenga alta la giustizia; allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti,/figliano continuamente le greggi e il mare offre i pesci,/per il suo buon governo, insomma prosperano le genti sotto di lui". Costituiscono un elogio rivolto a Penelope da Odisseo non ancora riconosciuto.

 

Questa citazione e l'accostamento dei due autori, simili anche per altri aspetti, non deve farci però dimenticare che nella versione omerica del mito, Edipo  seguitava a regnare su Tebe dopo la scoperta delle sue colpe.(Cfr. Odissea, XI, 275-276:" ajll j oJ me;n ejn Qhbh/ poluhravtw/ a[lgea pavscwn-Kadmeivwn h[nasse", ed egli nell'amabile Tebe, pur soffrendo dolori,/ regnava sui Cadmei".

 

“In effetti, secondo una tradizione mitica attestata nell’epos arcaico e ripresa anche dalle Fenicie di Euripide, Edipo aveva continuato a vivere nella propria casa, come un uomo screditato e reietto, privato del potere.

In Omero, Edipo continua a ragnare su Tebe “per quanto angosciato; nella Tebaide epica (PEG, fr. 2), era ancora nel suo palazzo (anche se esautorato) quando maledisse i figli che gi avevano recato oggetti e vivande interdetti”[1].

 Dodds (I greci e l'irrazionale)  dà la notizia, ricavata da Deubner,  che"l'uomo del dolore sofocleo fu una creazione di un poema epico posteriore, la Tebaide."

 

L'altro lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo ridondano in favore e in danno di un  popolo intero , per il principio della responsabilità collettiva, lo troviamo nel secondo archetipo della poesia greca, cioé in Esiodo (Opere, vv.240-244:"Pollavki kai; xuvmpasa povli" kakou' ajndro;" ajphuvra-o{" ti" ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala mhcanavatai.-Toi'sin d& oujranovqen meg j ejpevgage ph'ma Kronivwn-limo;n oJmou' kai; loimovn: ajpofqinuvqousi de; laoiv.-Oujde; gunai'ke" tivktousin, minuvqousi de; oi|koi", spesso anche un'intera città risentì di  un uomo malvagio,/uno che si rende colpevole e architetta scelleratezze./Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare grandi malanni,/fame e peste insieme,e le genti vanno in rovina,/le donne non fanno figli e le case diminuiscono".


Solone: Il buon governo e il governo cattivo

 

Solone nel frammento (3 D) solitamente chiamato il Buon governo esprime la medesima concezione:"e ingiusta è la mente dei capi del popolo cui è destinato/ soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza (u{brio" ejk megavlh").

 Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste, non risparmiando le ricchezze sacre né alcuna di quelle/pubbliche, rubano arraffando chi da una parte chi dall'altra/né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia,/che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente,/e con il tempo in ogni caso arriva a far pagare (....) questi precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi/ che il Malgoverno (Dusnomivh) procura moltissimi mali alla città/mentre il Buongoverno (Eujnomivh) mostra ogni cosa ordinata e armonizzata/e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti:/leviga le asperità, fa cessare l'arroganza, oscura la prepotenza,/dissecca i fiori nascenti dell'accecamento,/raddrizza i giudizi tortuosi, mitiga le azioni/ superbe, fa cessare le opere della discordia,/e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e sono sotto di lui/tutte le cose umane armonizzate e assennate"(vv. 7-8, 11-16, 30-39).

 

Cfr. la Allegoria del Buon governo  affresco di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339), Palazzo pubblico di Siena.

 

Nel IV secolo Isocrate chiama i despoti che cercano di dominare con la forza sui concittadini, non capi ma pesti delle città (oujk a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn, Encomio di Elena , 34).

 

 In A Nicocle , un discorso esortativo che tratta l'educazione del principe, afferma che questo"filavnqrwpon dei' ei\nai kai; filovpolin"(15), deve amare gli uomini e la città;

 "deve essere" commenta Jaeger(Paideia , III, p. 166) "per così dire, Creonte e Antigone ad un tempo".

Più avanti(31) Isocrate esorta il principe a porsi come modello agli altri"ben sapendo che i costumi di tutta la città sono simili a quelli di coloro che la governano".


 

Con questo non vogliamo dire che  Edipo è il re guasto senz'altro; egli è un personaggio carico di significati anche contraddittori. Lo affermano pure alcune voci della critica. V.Eherenberg in Sofocle e Pericle  ( pag. 97) sostiene che " è un re buono, un padre del proprio popolo, un sovrano retto e grande e, insieme, un intelletto d'eccezione". Più avanti però (pag.104) chiarisce che Edipo, come Giocasta, appartiene al mondo, cui  Sofocle si oppone, regolato da norme meramente umane.

 

J.P.Vernant nel saggio Edipo senza complesso  del volume Mito e tragedia nell'antica Grecia (pag.82) scrive:"Edipo è doppio come la parola dell'oracolo: re salvatore, che all'inizio del dramma tutto un popolo implora come se si rivolgesse a un dio...ma anche macchia abominevole, mostro di impurità, che concentra su di sé tutto il male, tutto il sacrilegio del mondo, e che bisogna cacciare come un farmakov", un capro espiatorio, perché la città, ritornata pura,si salvi".

 

 Su questa doppia facies di Edipo sentiamo anche Bettini:"Edipo re mette in scena la vicenda di un personaggio che è doppio, possiede due diverse identità e non ha mai avuto modo di accorgersene: perché sino al fatidico momento in cui l'inchiesta ha avuto inizio, quest'uomo ha sperimentato la parte buona di sé, la sua facies fortunata…Ma poi, come dicevamo, accade che la storia investigante si mette in moto. Passo dopo passo, Edipo scopre di essere un altro, o meglio anche un altro. Un mostro, un assassino, un patricida, un incestuoso che ha generato figli dalla propria madre. Edipo è una sorta di dr. Jekill/Mr Hyde che però, a differenza dell'eroe di Stevenson, non sa minimamente di esserlo"[2].

 

Anticipazioni appena percettibili della catastrofe di Edipo  sono  accennate attraverso sottili allusioni nel corso del prologo durante il quale però  si conclama a gran voce che il re di Tebe ha salvato i cittadini vessati dalla"cantatrice dura" (v.36), la "Sfinge dal canto variopinto"(v.130), e i sudditi lo considerano "il primo tra gli uomini"(v.34) poiché "ha raddrizzato la vita"(v.39) della comunità.

 

Vediamo la sottile allusione imbozzolata nel primo verso

Edipo entra in scena dicendo: “O figli -tevkna-, nuova stirpe dell'antico Cadmo".

 Edipo chiama figli miei, i sudditi tebani. E' una prima avvisaglia dell'ironia tragica per la quale chi parla dà informazioni diverse dalle sue intenzioni: se la discendenza del primo re e fondatore  di Tebe, Cadmo,  ha  come padre Edipo, l'ultimo re , allora anche questo discende dal fondatore della città,  e pertanto è "rea progenie"di Laio, figlio di Labdaco, figlio di Polidoro, figlio di Cadmo, figlio di Agenore (cfr.vv. 267-268). Insomma se i cittadini discendono da Cadmo e sono figli di Edipo, allora Edipo incosciamente sapeva di essere della stipe di Cadmo,  quindi figlio di Laio.

 E' un esempio di"quei ponti di parole sui quali passano le vie che portano all'inconscio", per dirla con Freud (L'interpretazione dei sogni, p. 346).

 

 

Edipo ritroverà la propria grandezza nella conclusione nell’ultimo dramma di Sofocle: “ Uscendo solennemente scortato da un dio, Edipo recupera, al congedo dalla vita, la dignità e l’onore con cui Sofocle lo aveva descritto, molti anni prima, nell’Edipo Re, del quale l’Edipo a Colono è l’ideale conclusione. Quell’Edipo splendido, potente, che appare davanti alla reggia di Tebe in tutta la sua gloria, e nel corso del dramma si scopre un maledetto e un contaminato, e che alla fine attende di essere espulso da Tebe come un capro espiatorio insieme alla contaminazione, riappare nel prologo dell’Edipo a Colono nelle vesti di un mendicante sradicato. La tragedia mostra la parabola opposta rispetto a quella dell’Edipo Re: da vagabondo senza patria Edipo assurge al ruolo di eroe cittadino, recuperando nel momento estremo della vita la grandezza che gli era stata strappata da un destino crudele e incomprensibile. Questa metamorfosi avviene sulla scena, e costituisce anzi la ragion d’essere dell’Edipo a Colono come opera teatrale: il dramma manifesta una continua crescita della figura e dei poteri di Edipo, che accompagna il suo progresso verso il mondo eroico. Prima esule, poi ospite, poi meteco, infine divinità sotterranea; e mentre questo avviene, progressivamente, l’energia (si potrebbe quasi dire il mana) del vecchio cieco si dilata. Edipo prima supplica, poi ammonisce, poi recupera il suo ruolo paterno con le figlie, poi ritrova un amico in Teseo che lo accoglie come ospite e lo tratta da pari a pari (entrambi infatti sono gennai`oi, “generosi”), poi fa esplodere la sua ira, maledice Creonte, maledice il figlio; infine si spoglia dei suoi stracci e si avvia da solo, senza che nessuno lo guidi, verso il luogo della scomparsa (…) Arrivando ad Atene, Edipo cieco e mendicante è soltanto un planhvth~ (cfr. vv. 3, 123-124): un vagabondo. Ma, progressivamente, questo errabondo diventerà un centro: il vecchio cieco, seduto su una pietra in mezzo alla scena (come nell’Edipo Re era stato al centro di Tebe davanti al portale della reggia), è il punto attorno a cui ruotano tutti gli altri personaggi del dramma (…) Quello che i Tebani vogliono non è raccogliere Edipo tra loro e restituirgli lo status di cittadino, ma semplicemente avere il controllo del suo corpo, come se fosse un oggetto. La reificazione di Edipo da parte dei suoi antichi concittadini si contrappone alla sua decisione di rimanere un essere libero, padrone della sua volontà che si esprime in primo luogo nella libertà di scegliere il luogo della morte: da quel momento, il corpo di Edipo diventerà appunto il corpo sacralizzato di un eroe che conferisce a chi lo possiede forza, vittoria e protezione[3][4]. 

Bologna 5 aprile 2022 ore 19, 40

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Avezzù Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 303.

[2] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 121.

[3] Proprio come Sparta si appropriò del corpo di Oreste per ottenere la vittoria in guerra, secondo il racconto di Erodoto, I 67-8.

[4] G. Guidorizzi (a cura di) Edipo a Colono, pp. XVIII-XIX.

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