giovedì 7 aprile 2022

Edipo re XIII Attraverso la sofferenza la comprensione nella letteratura europea.

Legge fondamentale di tutta la tragedia greca è quella formulata nella Parodo dell'Agamennone  di Eschilo con le parole:"tw'/ pavqei mavqo"", attraverso la sofferenza, la comprensione(v.177).

E' uno degli insegnamenti che gli eroi tragici ricavano dalle loro pene e trasmettono agli spettatori affinché tornino a casa, non peggiorati, come lamentava Seneca dopo avere assistito ad uno spettacolo circense ("avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior, immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno più ambizioso, più dissoluto, anzi addirittura più crudele e disumano poiché sono stato in mezzo agli uomini. Lettere a Lucilio, 7, 3). Nell'opera di Sofocle questa concatenazione di delitto-castigo -riconoscimento degli errori, è messa in evidenza alla fine dell'Antigone, quando Creonte riceve la notizia del terzo suicidio provocato da lui e riconosce la propria colpa che lo ha annichilito:"a[getev m j ejkpodwvn,-to;n oujk o[nta ma'llon hj; mhdevna", portatemi via, io non sono altro che nulla (vv.1324-1325).

Nel poeta di Colono questa comprensione tardiva non salva dalla catastrofe chi ha sbagliato.

 

Lo stesso accade alla famiglia di Penteo nelle Baccanti di Euripide. Leggiamone alcuni versi (1344-1349)

 

Cadmo

Dioniso, ti preghiamo, abbiamo sbagliato.

Dioniso

Troppo tardi ci avete riconosciuti- o[y j ejmavqeq hJma'", e quando era necessario non volevate saperne 1345.

Cadmo

Questo lo abbiamo capito; ma tu punisci in maniera eccessiva.

Dioniso

E infatti io che sono un dio venivo oltraggiato da voi.

Cadmo

Non si addice agli dèi assimilarsi nell'ira ai mortali. 1348

Dioniso

da tempo Zeus il padre mio ha accordato questo.

 

 

Un caso di lieto fine in seguito a resipiscenza invece possiamo trovarlo nell'Alcesti  di Euripide. Admeto,  sentendo il peso della  solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita squallida: ora comprendo(v.940).

In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.

Tale legge  non si trova solo nella tragedia, ma in tutte le espressioni letterarie collegate all'oracolo delfico; quindi certamente in Erodoto. Nel primo libro delle Storie, Creso, il pacchiano re di Lidia che si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprende che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I,207).

 

Carlo Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico. E' il caso di Carisio negli  jEpitrevponte" :   il marito che aveva ripudiato la moglie per un  presunto errore sessuale di lei,  quando si accorge dell'amore della sposa,  ironizza sulla propria innocenza di uomo che guarda solo alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn", io l'uomo senza peccato (v.588, e si pensi al Vangelo di Giovanni,8,7:" oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqon) e comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna (v.594).

Sulla medesima linea naturalmente si trova il Duvskolo" : il vecchio Cnemone solitario e misantropo, in seguito a una caduta nel pozzo, comprende che nessuno è tanto autosufficiente da potere vivere senza l'aiuto del prossimo, e deve ammettere:" eJvn d j i[sw" h{marton o{sti" tw'n aJpavntwn wj/ovmhn-aujto;" aujtavrkh" ti" ei\nai kai; dehvsesq j oujdenov"", in una cosa probabilmente ho sbagliato: a credere di essere il solo autosufficiente tra tutti, e di non avere bisogno di nessuno(vv.713-714).

In Menandro dunque rimane vigente la legge tragica per la quale attraverso le proprie sofferenze si impara e si diventa più comprensivi.

Anche il "pragmatico" e "universale" Polibio  riconosce valore educativo al dolore: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due vie: quella dei patimenti propri e quella delle sofferenze altrui (te dia; tw'n ijdivwn sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima è più efficace ("ejnargevsteron"), la seconda meno dannosa ("ajblabevsteron", Storie , I, 35, 7).

 

Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la sofferenza ma anche la bellezza:"Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore(…) la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore”[1]

“quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[2].

Sulla sofferenza positiva Nietzsche ritorna in Di là dal bene e dal male[3]:"il grado gerarchico di un uomo è quasi determinato dal grado di profondità cui è capace di giungere la sofferenza degli uomini,-la sua raccapricciante certezza (…) di sapere di più grazie alle sue sofferenze"[4]  

 

 

Nell'Eneide, Didone incoraggia i Troiani giunti naufraghi sulle coste della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I,630).

 

F. Dostoevskij in Ricordi del sottosuolo (del 1864) scrive:" In realtà io continuo a pormi una domanda oziosa: che cos'è meglio, una felicità da quattro soldi o delle sublimi sofferenze? Dite su, che cos'è meglio?" (p. 320).

 

Lo stariez Zossima dice le sue ultime volontà ad Alioscia: “ Avrai molto da fare. Ma non dubito di te, e perciò ti mando nel mondo. Cristo sarà sempre con te. ConservaLo nel tuo cuore, ed anche Lui ti conserverà. Conoscerai grandi sofferenze, e nel dolore troverai la felicità. Eccoti il mio testamento: nelle sofferenze cerca la felicità. E lavora, lavora senza tregua”[5].

 

 

 H. Hesse in Siddharta (p.135) esprime con altre parole l'antica legge eschilea del tw/' pavqei mavqo":"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce". 

 

Dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.

Su questo possiamo sentire Proust:" "Perché solo la felicità è salutare al corpo, ma è il dolore a sviluppare le energie dello spirito (…) Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere...Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!"[6].

 

La sofferenza si confà alla chiarezza della visione e pure all'arte:"Spesso solo per mancanza d'ingegno creativo non ci spingiamo abbastanza oltre nella sofferenza. E la realtà più atroce suol dare, insieme con la sofferenza, la gioia d'una bella scoperta, perché non fa che dare una forma nuova e chiara a quello che andavamo rimuginando da un pezzo senza rendercene conto"[7].

 

Sentiamo  qualche altra  testimonianza.

 

“La sofferenza, per quanto ti possa apparire strano, è il nostro modo di esistere, poiché è l’unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita; il ricordo di quanto abbiamo sofferto nel passato ci è necessario come la garanzia, la testimonianza della nostra identità”[8].

 

 

D'Annunzio attribuisce al piacere, non al dolore, grande efficacia pedagogica:"Ella[9] ci persuade ogni giorno l'atto che è la genesi stessa di nostra specie[10]: lo sforzo di sorpassar sé medesimo, senza tregua; ella ci mostra la possibilità di un dolore trasmutato nella più efficace energia stimolatrice; ella c'insegna che il piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura e che colui il quale molto ha sofferto è men sapiente di colui il quale molto ha gioito"[11].

 

Sentiamo anche il vecchio Malavoglia di Verga: “Hanno imparato presto perché hanno visti guai assai!-diceva padron  jNtoni:-il giudizio viene colle disgrazie”[12].

 

Infine  C. Pavese:" la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente"[13]. 

“Soffrire non serve a niente (26 novembre ‘37).

Soffrire limita l’efficienza spirituale (17 giugno ‘ 38).

Soffrire è sempre colpa nostra (29 settembre ’38)

Soffrire è una debolezza (13 ottobre ’38)

Almeno un’obiezione c’è: se non avessi sofferto non avrei scritto queste belle sentenze”[14].

“Qualunque sofferenza che non sia anche conoscenza è inutile[15].

 

Due visioni contrapposte

Esiodo afferma che la giustizia quando si giunge alla fine supera la prepotenza e soffrendo anche lo stolto impara (divkh d j uJpe;r u{brio" i[scei-ej" tevlo" ejxelqou'sa: paqw;n  dev te nhvpio" e[gnw,  Opere e giorni, vv. 217-218).

 

Viceversa Pavese: “Non bastano le disgrazie a fare di un fesso una persona intelligente”[16].

 

Bologna 7 aprile 2022 ore 11, 21

 

giovanni ghiselli

 



[1]Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 4

[2] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 25

[3] Del 1875

[4] Che cos’è aristocratico? 70

[5] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 123.

[6]M. Proust, Il tempo ritrovato , pp 238, 239 e 242.

[7] M. Proust, Sodoma e Gomorra, p. 549.

[8] O. Wilde, De Profundis, in Oscar Wilde Opere, p. 653.

[9] La vita.

[10] " Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì" (C. Pavese, Il mestiere di vivere , 25 dicembre, 1937.)

[11] Il fuoco (del 1900) p. 95.

[12] G. Verga, I Malavoglia, p. 221.

[13] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 novembre 1937.

[14] Il mestiere di vivere, 27 ottobre 1938.

[15] Il mestiere di vivere, 19 gennaio 1939.

[16] Il mestiere di vivere, 2 novembre 1938.

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