martedì 12 aprile 2022

Contro i seduttori ingannevoli


 

Il seduttore opportunista. Teseo, Giasone, Don Giovanni, e, secondo Ovidio, giustamente, pure Enea.

Arianna, cugina di Medea, nel carme 64 di Catullo, rimpiangendo le nozze mancate con Teseo, denuncia la malafede degli uomini che giurano, e la non credibilità dei loro giuramenti:"At non haec quondam blandā promissă dedisti/voce mihi, non haec, miserae, sperare iubebas,/sed conubia laeta, sed optatos hymenaeos./Quae cuncta aerii discerpunt irrita venti./Nunc iam nulla viro iuranti femina credat /nulla viri speret sermones esse fideles /quis [1] dum aliquid cupiens animus praegestit apisci,/ nil metuunt iurare, nihil promittere parcunt;/ sed simul ac cupidae mentis satiata libido est,/dicta nihil [2]metuere [3], nihil periuria curant " ( 64, vv. 139-148), Però non queste promesse mi facesti una volta con voce suadente, non questo mi inducevi, disgraziata a sperare, ma un matrimonio felice, ma le nozze desiderate. Tutte promesse che, vane, disperdono i venti nell'aria. Ora nessuna donna creda più nell'uomo che giura, nessuna speri che siano sincere le parole degli uomini; il loro animo libidinoso, finché agogna di ottenere qualcosa non teme di fare alcun giuramento, non risparmia le promesse; ma appena è sazio il piacere del desiderio amoroso, non hanno paura delle promesse, né si curano degli spergiuri.

 

Il topos dell’uomo che, dopo avere sedotto una donna ed essere stato aiutato da lei,  la abbandona si ritrova in El burlador de Sevilla y Convidado de piedra [4]: Tisbea soccorre Don Juan naufragato e ne viene ricompensata con l’inganno: “ Sperduto tra le onde,/mezzo annegato giunse a questa spiaggia/Don Giovanni Tenorio;/lo protessi e lo accolsi in quello stato/ e lui, l’ospite vile,/ mi morse come vipera tra l’erba./ Giurava di sposarmi/ed io, che sempre disprezzai gli amanti, /mi arresi a un imbroglione. /Mai si fidi degli uomini una donna!/Poi scappò e mi lasciò:/vedi se è giusto che io cerchi vendetta” (III, 10).

Nell’ottica controriformistica dell’autore, Don Juan finisce condannato, non tanto diversamente dai seduttori antichi del resto.

Apollonio Rodio (III sec. a. C.) rappresenta, non senza ironia, la perfidia ottusa dell' "eroe" greco quando Giasone, bisognoso del soccorso della ragazza barbara per la propria ajmhcaniva,  le promette gratitudine (cavrin, Le Argonautiche , III, v. 990): egli darà gloria (klevo~, v. 992) al suo nome; quindi fa l'esempio del tutto inopportuno di Arianna  la quale, per benevolenza, liberò Teseo dai cattivi travagli; quindi gli stessi dèi le vollero bene (vv. 1001-1002).

 

Cfr. Admeto su Orfeo nell’Alcesti di Euripide

 

Dante mette Iasòn tra i seduttori ricordando probabilmente le parole di Ipsipile nella Tebaide di Stazio: “blandus Iason/virginibus dare vincla novis” (5, 456-457), Giasone, seducente e capace di aggiogare le vergini inesperte. Non manca del resto in questo personaggio dell’Inferno,  formato su diverse fonti[5], un aspetto eroico non riscontrabile in Euripide né in Apollonio Rodio: “mi disse: “ Guarda quel grande che vene,/e per dolor non par lagrime spanda:/quanto aspetto real ancor ritene!/Quelli è Iasòn, che per cuore e per senno/li Colchi del monton privati féne./ Ello passò per l’isola di Lenno/poi che l’ardite femmine spietate/tutti li maschi loro a morte dienno./Ivi con segni e con parole ornate/Isifile ingannò, la giovinetta/che prima avea tutte l’altre ingannate[6]./Lasciolla quivi, gravida, soletta;/tal colpa a tal martiro lui condanna;/e anche di Medea si fa vendetta[7].

 Nelle Argonautiche c’è una lunga descrizione del mantello di porpora (I, 722) che Giasone si fissò sulle spalle per incontrare Issipile. L’e[kfrasi~ procede per una cinquantina di versi descrivendo gli episodi effigiati sopra ogni banda, e ricorda per contrasto la descrizione dello scudo di Achille nel XVIII canto dell’Iliade: “l’aristia di Giasone non è un’aristia guerresca come quella di Achille, ma erotica[8]. 

 

 Ovidio inserisce anche il pius Enea nel catalogo dei seduttori: "Tra gli amanti infedeli è menzionato Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli “famam pietatis habet “ (Ars  III 39): giocosa polemica con Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe"[9]. Nel proemio dell'Eneide[10] in effetti Virgilio domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?" (vv, 8-11), o Musa, dimmi le ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a passare per tante peripezie, ad affrontare tante fatiche. Così grandi sono le ire nell'animo dei celesti?

 Ebbene Ovidio trova la ragione delle grandi ire divine:  dopo avere affermato che gli uomini ingannano spesso, più spesso delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellae, Ars, III, 31) il poeta  aggiunge Enea al duetto famoso dei  perfidi ,  il fallax Iason  (Ars, III, 33) e Teseo[11]: "et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[12]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa.

Il poeta peligno dunque smaschera Enea e il vate che lo celebra come antenato di Augusto.

Note

[1]=quibus .

2accusativo dell'oggetto interno equivalente a non .

3Perfetto gnomico.

4Di Tirso de Molina, del 1630.

5Oltre Stazio, Ovidio e Valerio Flacco che tra l’80 e il 93 d. C.  scrisse  gli Argonautica in otto libri, di cui l’ultimo incompiuto e attribuisce a Giasone una dimensione eroica. 

6Facendo credere di avere ucciso il proprio padre Toante che invece risparmuò.

7Dante, Inferno, XVIII, 84-96.  Siamo nella prima bolgia  del cerchio VIII dove sono puniti seduttori e ruffiani.

8  Apollonio Rodio, Le Argonautiche, introduzione e commento di Guido Paduano e Massimo Fusillo, p. 177.

9A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 189.

10Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

11 Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini

12 Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide,  IV, 647,  dono richiesto non per questo uso. 

 

Bologna 12 aprile 2022 ore 16, 54.

giovanni ghiselli

 

 

 



[1]=quibus .

[2]accusativo dell'oggetto interno equivalente a non .

[3]Perfetto gnomico.

[4] Di Tirso de Molina, del 1630.

[5]Oltre Stazio, Ovidio e Valerio Flacco che tra l’80 e il 93 d. C.  scrisse  gli Argonautica in otto libri, di cui l’ultimo incompiuto e attribuisce a Giasone una dimensione eroica. 

[6] Facendo credere di avere ucciso il proprio padre Toante che invece risparmuò.

[7] Dante, Inferno, XVIII, 84-96.  Siamo nella prima bolgia  del cerchio VIII dove sono puniti seduttori e ruffiani.

[8]  Apollonio Rodio, Le Argonautiche, introduzione e commento di Guido Paduano e Massimo Fusillo, p. 177.

[9] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 189.

[10] Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

[11] Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini

[12] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide,  IV, 647,  dono richiesto non per questo uso. 

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