NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 6 aprile 2022

Edipo re XI parte Il culto del sole


 

Il culto del sole nella letteratura antica, in Dante e nel neoclassicismo.

Si può inserire sotto i versi 660-661 to;n pavntwn qew'n  qeo;n provmon-  {Alion-

 

Fa parte di quell'elogio del sole che percorre la letteratura greca e prosegue oltre in quella europea; proviamo ad indicarne alcune espressioni. Già Omero nell' Iliade  III, 277 gli attribuisce, attraverso Agamennone,  la facoltà di vedere e ascoltare tutto:"  jHevliov" q j, o}" pavnt j  ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei"".

 Una formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109) :"  jHelivou,  o"}    pavnt j ejfora'/ kai; pavnt j ejpakouvei". Qui è Tiresia che parla a Odisseo.

 

 Nell'inno omerico A Demetra  infatti, quando Persefone viene rapita, solo Ecate ed Elio , splendido figlio di Iperone

( " jHevliov" te a[nax JUperivono" ajglao;" uiJov""v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.

 

Se ne ricorderà Ennio nella Medea (fr. 148, v. 1):"Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis ", Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto.

  Il sole onniveggente torna  all'inizio dell'Asino d'oro  di Apuleio il quale giura al lettore che sta per raccontare la verità (I, 5):"sed tibi prius deierabo solem istum omnividentem deum ".

 

L'espressione si ritrova in Romeo e Giulietta  di Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match, since first the world begun "(I, II), il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo.

 

Nelle Supplici  di Eschilo il coro delle Danaidi   chiede aiuto a "i raggi del sole che danno salvezza"(kalou'men aujga;" hJlivou swthrivou", v. 213).

Nel Prometeo incatenato   il Titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.

 

 

Vediamo il sole in Sofocle

Nella Parodo dell'Antigone  il coro invoca un "raggio di sole " come "la luce/più bella apparsa su Tebe dalle sette porte/tra quelle di prima"(100-102) e più avanti (vv.879-880) lo splendidissimo disco   viene chiamato: "lampavdo" iJero;n-o[mma", santo volto di luce.

 Il coro delle Trachinie (102) prega il sole che tutto vede perché riveli dove si trova Eracle: "w\ kratisteuvwn kat j o[mma", o tu che domini con lo sguardo.

Nell'Edipo re  il sole oltre essere  " pavntwn qew'n provmo""(660),  il primo fra tutti gli dei, è anche la fiamma che nutre la vita , "th;n pavnta bovskousan flovga"(v.1425).

nell'Edipo a Colono (v.869) il sole è, con una ripresa dell'idea omerica,"oJ pavnta leuvsswn   {Hlio"", Elio che vede tutto.

 

 La luce del sole è sacra per quanti sono iniziati ai misteri nelle Rane  di Aristofane (hJmi'n h{lio"-kai; fevggo" iJerovn ejstin,-o{soi memuhvmeq  j ",454-456).

 

L'"ateo" Prodico di Ceo chiama dèi i quattro elementi e poi il sole e la luna. Infatti affermava che da questi ha esistenza per tutti la vitalità:"ta; tevssera stoicei'a qeou;" kalei' ei\ta h{lion kai; selhvnhn. ejk ga;r touvtwn pa'si to; zwtiko;n e[legen uJpavrcein"[1].

 

 Nella Repubblica  di Platone dove si narra il mito della caverna, il sole è l'immagine dell'idea del bene(hJ tou' ajgaqou' ijdeva, 517c) che a fatica si vede, ma, una volta vista, va considerata quale causa per tutti di tutte le cose rette e belle.

 

Cicerone nel Somnium Scipionis (IV, 9) lo chiama"dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et temperatio ", guida e principe e governatore degli altri astri, mente del mondo e forza regolatrice, seguendo un misticismo solare di origine pitagorica.

 

Virgilio, nella prima Georgica (463-464), afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere falsum/audeat? ", il sole chi oserebbe chiamarlo falso?

 

Nelle Metamorfosi  di Ovidio, il sole identificato con Febo, vede per primo l’adulterio di Venere con Marte[2].

 videt hic deus omnia primus (IV, 172). Ne ebbe dolore e denunciò la tresca a Vulcano che incatenò i due amanti i quali si trovarono a giacere ligati- turpiter (186-187) oscenamente legati. Allora Venere volle vendicarsi e dice: “Nempe, tuis omnes qui terras ignibus uris/ureris igne novo, quique omnia cernere debes,/Leucothoën spectas et virgine figis in una,/quos mundo debes, oculos” (194-197), certo, tu che con i tuoi fuochi bruci tutte le terre, sei infiammato da insolito fuoco, e tu che devi vedere ogni cosa, Leucotoe[3] contempli e fissi solo su quella ragazza gli occhi che devi puntare sul mondo.

Quindi il Sole va a corteggiare la ragazza  con queste parole :"ille ego sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV, 226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutto la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia , mi piaci!". La fanciulla, vinta dallo splendore del dio si arrese senza lamentarsi

 Ancora Ovidio

Quando Circe, figlia del Sole cerca, invano, di indurre Pico ad unirsi con lei, gli chiede di accogliere come suocero il Sole che  vede tutto con chiarezza ("et socerum, qui pervidet omnia, Solem/accipe ", Metamorfosi,  XIV, 375-376),

Pico era figlio di Saturno e padre di Fauno. Era bello e sposò la ninfa Canente. Circe lo vide e lo corteggiò. Ma Pico la rifiutò. Circe si infurò: “laesaque quid faciat, quid amans, quid femina disces/rebus- ait- sed amans et laesa et femina Circe” (Ovidio, Metamorfosi, XVI, 384-385), imparerai con i fatti che cosa può fare una donna amante offesa, disse, e l’amante offesa è Circe.

 Quindi trasformò Pico in picchio (pennas in corpore vidit)

Poi Circe convoca la Notte e gli dèi della Notte dall’Erebo e dal Caos e prega Ecate con ululati lunghi

Convocat et longis Hecaten ululatibus orat (405). Infine trasforma I compagni di Pico in mostri.

 

 

 

  Seneca in una lettera a Lucilio (73, 6)  esprime personale riconoscenza al sole e alla luna che pure sorgono per tutti:"Soli lunaeque plurimum debeo, et non uni mihi oriuntur ".

 

Uno degli autori del romanzo greco, Longo Sofista (probabilmente del II secolo d. C.) fa del sole un esteta che per volontà di bellezza spoglia tutti i belli:"ei[kasen a[n ti"...to;n h{lion filovkalon o[nta pavnta" ajpoduvein", Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , 1, 23. sembrò che il sole, amante della bellezza, spingesse tutti a spogliarsi. Il romanzo greco che " ha usato e rifuso nella propria struttura quasi tutti i generi della letteratura antica"[4] non ha tralasciato l'elogio del sole.

 

Giuliano Augusto l'imperatore calunniato dai Cristiani con l'infamante epiteto di "Apostata" riassume questi elogi dell'antichità in termini neoplatonici nella orazione A Helios re  dedicata a Salustio. Questo "sermone natalizio" fu redatto alla fine del 362 d. C. per  celebrare il 25 dicembre, dies natalis Solis invicti . Elio  è visto come il signore del mondo intelligente e viene definito dio mediatore e potentissimo assai simile al Bene preesistente a tutte le cose. Giuliano cita  la Repubblica  di Platone dove (508c) si dice che il Sole è figlio del Bene ("tou' ajgaqou' e[kgonon") che il Bene generò simile a sè ("oJ;n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/") e ciò che è il Bene nel mondo intellegibile rispetto all'intelletto e agli intellegibili è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose visibili (5, 17-21).   L’Uno (e{n) o il Bene (tajgaqovn), come lo chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio potentissimo del tutto simile a sé. Quindi Elios viene identificato con Zeus e con Apollo (31)

Alla fine (44) Giuliano prega Elio, to;n basileva tw̃n o{lwn, di accordargli una vita virtuosa, una intelligenza più piena e una mente divina. E alla fine della vita di congiungersi a lui.

 

 

 

 

 Se diamo una rapida occhiata alla letteratura moderna, vediamo che "Santo Francesco" nel Cantico delle creature  definisce "messèr lu frate sole", "bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione". Questa riconoscenza per il sole interpretato quale Dio, o quale immagine visibile di Dio, come si vede, percorre vari momenti della letteratura europea.

 

Dante ne fa il simbolo della grazia divina: il sole è il “pianeta/che mena dritto altrui per ogni calle” (Inferno, I, 17, 18), La luce del sole è il simbolo della grazia divina e guida verso la salvezza; infatti la lupa simbolo dell’avarizia risospingeva Dante “là dove il sol tace” (v. 61)

Nel Purgatorio torna questa identificazione del sole con la grazia divina in questa preghiera di Virgilio:

" O dolce lume a cui fidanza[5] i’ entro

Per lo novo cammin, tu ne conduci,

-dicea-, come condur si vuol quinc’entro

Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:

s'altra ragione in contrario non pronta,

essere dien sempre li tuoi raggi duci"(Purgatorio , XIII, 19-21).

 

   Anche nel Convivio Dante esprime questa idea:  

Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che’l sole (…)

Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica (…) così Iddio tutte le cose vivifica in bontade ” ( III, 12).

 

"Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:

s'altra ragione in contrario non pronta,

essere dien sempre li tuoi raggi duci"(Purgatorio , XIII, 19-21).

 

 

Facciamo solo pochi altri esempi tratti dal neoclassicismo. F. Hölderlin in Iperione  scrive:" l'eroica luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra"(p.76); poi "il sacro sole sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine, che spesso, con un solo sguardo, mi ha guarito da un profondo dolore e ha purificato la mia anima dallo scontento e dalle preoccupazioni"(p.111).

 

Foscolo, nell'Ortis , lo chiama"ministro maggiore della natura"(20 novembre 1797) e "sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il creato"(3 aprile 1798).

 

Nell'Adelchi  di Manzoni, il diacono Martino, raccontando la sua prodigiosa traversata delle Alpi, compiuta non senza l'aiuto divino ("Dio gli accecò, Dio mi guidò", III, 2, v. 167), riconosce di essersi avvalso, di fatto, della guida del sole:"Era mia guida il sole/Io sorgeva con esso, e il suo viaggio/Seguia, rivolto al suo tramonto"(III, 2, vv. 207-209).

 

 

 Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) scrive :" Or gl’Inca adorarono unicamente o principalmente il sole (…) Quando gli Europei scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi(ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i templi del sole erano come il segno della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa(5 Nov. 1823.).

Nel Cantico del Gallo Silvestre infine leggiamo:" Io dimando a te, o sole, autore del giorno e preside della vigilia: nello spazio dei secoli da te distinti e consumati fin qui sorgendo e cadendo, vedesti tu alcuna volta un solo infra i viventi essere beato?" 

 

Infine:Il sole è invocato dalle creature morenti come ultima immagine della vita terrena: nell’ Alcesti  di Euripide la donna morente cerca la luce:" blevyai pro;" aujga;" bouvletai ta;" hJlivou"(v. 206), vuole rivolgere lo sguardo ai raggi del sole, come i moribondi Foscolo

("perché gli occhi dell'uom cercan morendo/ il Sole", i Sepolcri , 121) o di Ibsen:"Mamma, il sole...dammelo, dammi il sole", chiede Osvald nell'ultimo atto degli Spettri  e, chiudendo il dramma, ripete:'il sole, il sole". 

Mi sono soffermato a lungo su questo argomento perché ho  amato il sole fin da bambino, lo amo ancora e lo amerò fino a quando mi trasferirò nella sua luce.

 

Bologna 6 aprile 2022 ore 19, 47

giovanni ghiselli

Sempre1236073

Oggi419

Ieri474

Questo mese2468

Il mese scorso13426

 



[1] Frammenti da Scritti incerti in Sofisti Testimonianze e Frammenti , a cura di Mario Untersteiner, fasc. II, p.195)

[2] Viene raccontato da Demodoco nell’VIII canto dell’Odissea (vv. 266 ss.)

[3] Principessa persiana, figlia di Orcamo

[4]              M. Bachtin, Estetica e romanzo , p. 235.

[5] Cfr. Solem quis dicere falsum/audeat? ", citato sopra

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