NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 13 aprile 2022

Sofocle, "Edipo re". 1. Traduzione e commento, vv. 1-13

Adolfo De Carolis, Edipo re

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Edipo re
Sommario del versi 1-30
Edipo esce dalla porta centrale della reggia e si rivolge al popolo in difficoltà con affetto paterno. La città ridonda di gemiti e preghiere; il re sa bene di cosa soffre, ma vuole sentirselo dire per promettere aiuto ed esplicare ancora un volta, dopo quella della Sfinge, le sue capacità non comuni. Indirizza una prima domanda ai figli-sudditi, poi una seconda a un vecchio sacerdote perché si faccia portavoce dei supplici afflitti.
 
“O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo 1
quali seggi mai sono questi dove state seduti
con i supplici rami incoronati?
La città è piena tanto del fumo dei sacrifici,
quanto di preghiere, quanto di gemiti; 5
e io che ritengo giusto ascoltare queste disgrazie, o figli, non da messaggeri,
da altri, sono venuto qua in persona,
io noto a tutti, chiamato Edipo.  
Su vecchio, racconta, poiché sei adatto
a parlare per questi: in quale modo siete disposti, 10
avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare
io ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano
se non avessi compassione di tale seduta (vv. 1-13)
 
v. 1 tevkna – figli - è la parola-chiave che allude al motivo centrale della vicenda: l’incesto da cui è nato Edipo.
Il figlio di  Laio e Giocasta chiama figli tevkna i sudditi tebani. E' una prima avvisaglia dell'ironia tragica per la quale chi parla dà informazioni diverse dalle sue intenzioni: se i cittadini tebani discendono del primo re di Tebe l’antico Cadmo, e  hanno  come padre Edipo, l'ultimo re , allora anche questo discende dal fondatore della città,  e pertanto è "rea progenie"di Laio, figlio di Labdaco, figlio di Polidoro, figlio di Cadmo, figlio del fenicio Agenore (cfr.vv. 267-268).
 E' un esempio di "quei ponti di parole sui quali passano le vie che portano all'inconscio", per dirla con Freud (L'interpretazione dei sogni, p. 346).
vv.2-3. tivna"... ejxestemmevnoi: "quali seggi mai sono questi dove state seduti/con i supplici rami incoronati?"
-e[dra" = seggi (cfr.e[zomai = seggo) è accusativo dell'oggetto interno di qoavzete. moi è dativo etico. -iJkthrivoi" kladoivsin e[xestemmevnoi ( participio perfetto passivo di ejkstevfw): è un'ipallage[1]: incoronati, ossia bendati di lana, in realtà sono i rami, non i supplici.
  
Plutarco nella Vita di Teseo (18) racconta che l'eroe ateniese , dopo l’estrazione a sorte dei giovani da portare a Creta "andò al Delfinio dove offrì ad Apollo il simbolo dei supplici, consistente in un ramo dell'olivo sacro avvolto di lana bianca (h\n de; klavdo~ ajpo; th`~ ijera`~ ejlaiva~ ejrivw/ leukw`/ katestemmevno~), per impetrare l'aiuto del dio".
Dopo il ritorno e la morte del padre, Teseo sciolse i voti fatti ad Apollo. Era il settimo giorno di Panepsione (la fine di ottobre). I giovani fecero un pasto comune, quindi portarono l’eijresiwvnh: klavdon ejlaiva~ ejrivw/ me;n katestemmevnon (Plutarco, Vita di Teseo, 22, 6), un ramo d’olivo fasciato di lana, come quello dei supplici, e coperto pure di primizie, in ricordo della fine della sterilità.
I rami di cui parla Edipo dunque  alludono al ramoscello di olivo o di alloro fasciato di lana che ragazzi giovanissimi portavano in giro per la città e appendevano alle porte delle case in ricordo della fne della sterilità (dia; to; lh`xai th;n ajforivan, Plutarco, Vita di Teseo, 22, 6 )  per allontanare la carestia e il disordine delle stagioni.
 
Per realizzare l'espulsione del guazzabuglio umano invece venivano cacciati due farmakoiv, vittime espiatorie scelte tra gli scellerati brutti e presi di mira dalla natura.
Ora sentiamo J.P. Vernant: “L’altra faccia di Edipo, complementare e opposta (il suo aspetto di capro espiatorio), non è stata così nettamente evidenziata dai commentatori. Si è bensì visto che Edipo, al termine della tragedia, è cacciato da Tebe come si espelle l’homo piacularis, al fine di “allontanare la macchia”, to; a[go~ ejlauvnein[2]Tebe soffre di un loimov~ che si manifesta con lo schema tradizionale con un isterilimento delle fonti della fecondità: la terra, gli armenti, le donne non procreano più, mentre una pestilenza decima i viventi…E’, come si sa, ciò che si produsse ad Atene, nel VII secolo, per espiare l’empia uccisione di Cilone, quando si cacciarono gli Alcmeonidi, dichiarati impuri e sacrileghi, ejnagei`~ kai; ajlithvrioi[3]. Ma esiste pure, ad Atene come in altre città, un rito annuale che mira ad espellere periodicamente la macchia accumulata durante l’anno trascorso. “E’ usanza ad Atene-riferisce Elladio di Bisanzio- portare in processione due farmakoiv in vista della purificazione, uno per gli uomini, l’altro per le donne…”[4]. Secondo la leggenda, il rito troverebbe origine nell’empia uccisione commessa dagli Ateniesi di Androgeo il Cretese: per cacciare il loimov~ fatto scoppiare dal delitto, si istituì l’usanza di una purificazione costante con i farmakoiv. La cerimonia aveva luogo il primo giorno della festa delle Targhelie, il 6 del mese Qarghliwvn[5]. I due farmakoiv, ornati di collane e fichi secchi (neri o bianchi secondo il sesso che rappresentavano) venivano portati in giro attraverso tutta la città; li si colpiva sul sesso con bulbi di scilla, con fichi e altre piante selvatiche[6], poi si espellevano; può anche darsi che, almeno alle origini, fossero messi a morte per lapidazione, i cadaveri bruciati, le ceneri disperse[7]. Com’erano scelti i farmakoiv?
Tutto lascia pensare che li si reclutasse tra la feccia della popolazione, tra i kakou`rgoi, gentaglia che i loro misfatti, la loro bruttezza fisica, la loro bassa condizione, le loro occupazioni vili e ripugnanti designavano come esseri inferiori, degradati, fau`loi, il rifiuto della società.        
  
In conclusione il v. 3 della tragedia prefigura la sorte di Edipo che verrà allontanato da Tebe in quanto mivasma, homo piacularis  che contamina la città
Oltre che da Plutarco, traggo l'idea dallo studio di J.P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento. Sulla struttura enigmatica dell'Edipo re, compreso nel volume Mito e tragedia nell'antica Grecia (pagg.105-106).
L'autore afferma pure (pag.112) che"la simmetria del farmakov" e del re leggendario, con il primo che assume dal basso un ruolo analogo a quello che il secondo interpreta dall'alto, chiarisce forse un'istituzione come l'ostracismo".
 
Del resto l'idea del capro espiatorio si trova anche tra i Romani i quali il 14 marzo cacciavano dalla città a colpi di bastone un uomo vestito di pelli rappresentante forse Mamurio Veturio.
Mamurius era il fabbro cui Numa aveva commissionato di fabbricare 11 scudi uguali all’ancile caduto dal cielo per scongiurare i tentativi di furto.
 I Salii eran sacerdoti di Marte cui dedicavano una danza il tripudium in ritmo ternario portando gli scudi e invocando Mamurio con il Carmen Saliare,  L’ancile era il  simbolo totemico dell’infallibilità dello Stato romano. Cfr. Ovidio, Fasti, III, 259-260.
Quindi Plutarco Vita di Numa, 13, 6
 
vv.4-5.povli"... stenagmavtwn"la città è piena tanto del fumo dei sacrifici,/quanto di preghiere, quanto di gemiti". -gevmei: la città ridonda di vapori, non di autentico spirito religioso, e risuona di pianti.-
 
Il primo coro dell’Oedipus di Seneca lamenta la peste:"stat gravis strages, premiturque iuncto/funere funus" ( Oedipus, vv. 131-132), sta dritta la pesante strage, e il funerale è incalzato dal funerale consecutivo.
 Nel decadere della vita dunque sta in piedi solo la strage, il mucchio di morti.
La città di Tebe è diventata una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " (IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E'  il nobile Ross che parla.
- v. 4 qumiamavtwn: il fumo dei sacrifici: genitivo di abbondanza, retto da gevmei. Anche nella Repubblica di Platone(373a) qumiavmata, nel senso di profumi, impregnano la città affetta da infiammazione (flegmaivnousan povlin, 372e).
 
v.  5 paiavnwn: il peana di solito è un canto di vittoria o di buon augurio (cfr. p. e. Agamennone , 246-247) ma qui e in pochi altri esempi significa preghiera funebre.  (Alcesti ,vv. 423- 424: "ajnthchvsate/pai'ana tw'/ kavtwqen ajspovndw/ qew'/", intonate il peana all'inesorabile dio di laggiù) 
Tebe è viva solo perché si lamenta e piange come Nagg in Finale di partita di Beckett:"Piange. Dunque è vivo".
 
 A Tebe ,abbandonata dagli dei, la vita che produce e riproduce si è paralizzata: le femmine non generano figli e la terra non dà frutti.
 Plutarco cita questi due versi (4-5)  in Peri; deisidaimoniva", 9, come rappresentativi dell'anima del superstizioso.
 
vv.6-8 -aJgw;... kalouvmeno":"ed io ritengo giusto ascoltare queste disgrazie, o figli, non da messaggeri,/ da altri, e sono venuto qua in persona,/io noto a tutti, chiamato Edipo".
v. 6 -aJgw;: crasi di a} ejgwv. -mh;: è la negazione soggettiva che esprime la volontà di chi parla, mentre ouj è quella oggettiva.
-v. 7- a[llwn: dipende, come ajggevlwn, da ajkouvw.
Nella mia traduzione non è considerato aggettivo riferito ad ajggevlwn (da altri messaggeri)  bensì pronome, per mettere in risalto l'individualità e la sollecitudine di Edipo il quale si presenta al suo popolo in persona (aujtov"-ipse ), per ascoltarlo direttamente, senza intermediari. Egli appare subito amantissimo della sua gente, eppure fin da questi primi versi, manifesta un'inclinazione colpevole al narcisismo, al protagonismo, al culto della propria persona: oJ pa'si kleinov" noto a tutti, v. 8.
 Eccessiva considerazione di sé è dismisura e u{bri". Sofocle, poeta "religiosissimo" (Perrotta, I tragici greci , p.131) non può suggerire che gli dei mandino in rovina un innocente.
vv.9-10 :"su vecchio, racconta, poiché sei adatto/a parlare per questi:in quale modo siete disposti...
 
v. 9- prevpwn e[fu" : si addice (prevpei=lat. decet ) al vecchio sacerdote, con riferimento alla sua fuvsi" (e[fu", aoristo III, intransitivo di fuvw)  di anziano e ministro del culto, parlare pro; tw'nde, espressione che condensa diversi significati: a vantaggio di questi, a nome di questi, davanti a questi.-
Edipo conosce la situazione (cfr.v.58), ma vuole farsela rammentare ad alta voce, davanti a tutti, anche perché ricordino quanto è bravo e ripongano in lui ogni speranza di salvezza (cfr.vv.33-39).-
v. 10- tivni trovpw/ in quale modo: esprime l’incertezza dellpuomo di potere. Crf., con leggera variazione, Antigone , v. 401, dove il tiranno Creonte domanda con ansia  alla guardia che gli porta la ragazza prigioniera:"In quale modo (tw'/ trovpw/) conduci questa, e da dove l'hai presa?"
 
vv.11-13: "avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare/io ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano/se non avessi compassione di tale seduta.
v. 11deivsante" h[ stevrxante"; : participi aoristi da deivdw=temo, e stevrgw=amo: c'è un riferimento all'ambivalenza affettiva del popolo verso il suo re, come del figlio verso il padre.
vv 11-12qevlonto" a[n- ejmou' è apodosi participiale senza la protasi della possibilità, la condizionale. Infatti a Edipo manca la condizione per aiutare i tebani: la purezza (cfr. v.864); anzi è lui stesso il mivasma che contamina la terra, e soltanto andando via, negandosi come re, potrà risollevarla.
v. 13mh; e ouj in sinalefe contano per una sola sillaba. La negazione è doppia poichè nell'apodosi ne compare già una (il du" - di dusavlgeto", disumano).
 

Bologna 13 aprile 2022 ore 19, 21
giovanni ghiselli

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[1] uJpallaghv = mutamento. Significa un cambio di concordanze: è un riferimento grammaticale discordante da quello semantico.
[2] Su Edipo a[go~ , cfr. 1426; ed anche 1121, 656, 921; coi commenti di Kamerbeeck, op. cit., a questi passi.
[3] Erodoto, V, 70-71; Tucidide I, 126-127.
[4] Fozio, Biblioteca, p. 534 (Bekker); cfr. Esichio, s. v. farmakoiv. Fozio (IX sec. d. C.) è autore di un Lessico e di una Biblioteca, raccolta di recensioni e impressioni di opere in gran parte perdute.Esichio di Alessandria (V sec. d. C.9 è autore del più esteso lessico greco a noi pervenuto.
[5] Il 6 di Targhelione, giorno della nascita di Socrate, è, ci dice Diogene Laerzio (II 44), quello in cui gli Ateniesi “purificano la città”. Era verso la fine di aprile.
[6] Fozio, op. cit; Esichio, s. v. kradivh~ novmo~; Tzetze, Chiliadi V 729; Ipponatte, fr. 4 e 5, Bergk.
[7] Scolio a Aristofane, Rane, 730; Cavalieri, 1133; Suda s. v. farmakouv~ ;  Arpocrazione, citando Istro, s. v. farmakov~; Tzetze ChiliadiV 736.

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