L'episodio di Platea sembra bilanciare la violenza degli Ateniesi con quella degli Spartani e dei loro alleati Tebani. Riferiamolo per sommi capi.
Nell'estate del 427 Platea, fedele alleata storica di Atene, ridotta allo stremo delle forze, si arrese ai Peloponnesiaci. Sparta inviò cinque giudici e istruì un processo. Si vede che già all'epoca i vincitori giudicavano i vinti per punirli come criminali di guerra.
Invero nelle guerre compiono crimini tutti quelli che le vogliono e quelli che le fanno.
I Plateesi si difesero illustrando le loro benemerenze nei confronto dei Greci: ricordano innanzitutto la loro partecipazione alle guerre persiane, soli tra i Beoti ("movnoi Boiwtw'n", III, 54, 3). Quindi sostengono che non hanno commesso ingiustizia se nella guerra in corso, minacciati dai Tebani e respinti dagli Spartani, non hanno tradito gli Ateniesi i quali li hanno aiutati.
I Tebani che li odiano, nel tempo dell’attacco persiano avevano parteggiato per i barbari.
I Plateesi dunque si appellano, nobilmente, all'onore degli Spartani che rimarebbe macchiato da un eccidio tanto ingiusto: "bracu; ga;r to; ta; hJmevtera swvmata diafqei'rai, ejpivponon de; th; duvskleian aujtou' ajfanivsai", III, 58, 2), è un attimo distruggere i nostri corpi, ma sarà faticoso cancellarne il disonore.
Viene ancora impiegato il linguaggio aristocratico dell'onore e quello religioso della pietas tradizionale che ingiungeva di non ammazzare i supplici:" oj de; novmo" toi'" {Ellhsi mh; kteivnein touvtou" ( III, 58, 3).
Quindi parlarono i Tebani propugnando lo sterminio dei Plateesi con l'argomento che essi sono sempre stati complici degli Ateniesi oppressori dei Greci. La sentenza fu di morte per non meno di duecento Plateesi ("dievfqeiran de; Plataiw'n me;n aujtw'n oujk ejlavssou" diakosivwn", III 68, 2) e per i venticinque Ateniesi che erano rimasti con loro nell'assedio.
"Nelle orazioni dei Plateesi e dei Tebani- commenta Jaeger- dopo la presa dell'infelice Platea, dinanzi alla commissione esecutiva spartana, la quale per salvare le apparenze, dà al mondo lo spettacolo d'un dibattimento giudiziario, in cui i confederati degli accusatori sono ad un tempo giudici, è mostrata l'incompatibilità tra guerra e giustizia. L'opera di Tucidide è ricca di contributi alla questione delle parole d'ordine politiche e della relazione tra ideologia e realtà nella politica. Gli Spartani, quali rappresentanti della libertà e del diritto, stando al loro assunto, sono costretti a volte all'ipocrisia morale, mentre in genere fanno ben coincidere le belle parole d'ordine col proprio interesse"[1].
“E’ noto che, nel corso del processo di Norimberga, fu negata agli imputati nazisti la possibilità di avvalersi del principio del tu quoque, e cioè di partire dai crimini loro contestati per richiamare l’attenzione sui crimini analoghi commessi dai loro accusatori. Allo stesso modo si svolse il processo di Tokyo. Certo: è la giustizia del vincitore”[2].
L’odio tra Tebani e Ateniesi è riscontrabile in diverse tragedie: in primis l’Edipo a Colono di Sofocle e le Baccanti di Euripide che raffigurano una città malata, un paese guasto.
“Dopo la battaglia di Egospotami il tebano Erianto avrebbe persino proposto di radere al suolo Atene (Plutarco, Lys. 15)”[3].
Note
[1]Paideia, p. 669.
2D. Losurdo, Stalin, p. 298.
3Avezzù Guidorizzi, Edipo a Colono a cura di, p. 319.
Bologna 12 aprile 2022-
giovanni ghiselli
p. s.
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