giovedì 7 aprile 2022

Elena 23 L’amore come trasfusione delle anime.

Elena 23

L’amore come trasfusione delle anime.  La lettera di Elena.

  Due giorni più tardi, mercoledì 28 luglio 1971, dopo avere parlato a lungo e avere provato sempre più forte il desiderio reciproco, dopo  avere sentito la nostra empatia fino alla trasfusione delle anime l’una nell’altra, alle dieci di sera facemmo l’amore tra lenzuola lecite, nel mio letto della camera numero 4 lasciata a nostra disposizione, non senza qualche bisbiglio, dai tre compagni con i quali la dividevo.

“Mi sono fatta desiderare troppo a lungo?” domandò lei, quasi volesse chiedere scusa.

La mano mia lasciva discorreva su e giù per le sue membra.

“No. Anzi, hai fatto bene. Così, come vedi, il desiderio è aumentato. Poi mi sei diventata più cara, poiché ho dovuto conquistarti contro la tua volontà”, la giustificai assumendomi ogni responsabilità della sua trasgressione.  

Quello fu il giorno della mia seconda data di nascita.

Tutto si era compiuto. Avevo raggiunto l’inaccessibile. Non ero un reietto dalla vita, non avevo abdicato davanti a lei, di fronte a Elena e alla stessa vita.

Quella è stata la volta che ritrovai il sorriso delle cose che vedevo quando ero bambino.

Avvenne in me una renovatio mentis che mi rese più gradito a me stesso, più contento di come ero, più buono con gli altri. Fu allora che delle gioie mie vidi l’inizio.

Avevo superato stranamente e meravigliosamente la prova di piacere a una donna bella, fine e inizialmente proibita.

I miei piani, dapprima rozzamente abbozzati, poi raffinati e rifiniti non senza abilità, e probabilmente con l’aiuto del mio demone buono, furono comunque portati alla piena realizzazione da quel destino o quella provvidenza che compie tutto quanto avviene su questa terra, dalla caduta di un passero, come dice Amleto1, alla gioia di un uomo e una donna in quell’estate lontana. La nostra felicità era di assai “breve intervallo superata da quella divina”2. Gli dèi stessi santificarono un amore quale ci fu tra noi, Elena e io.

Del resto sarebbe stato più facile proibire al mare di ubbidire alla luna che impedire a me di amare quella donna mirabile e a lei di contraccambiarmi.

Dopo avere fatto il massimo concesso a un uomo e a una donna mortali, i nostri occhi brillavano di un fuoco prometeico e si correva il rischio di non riuscire a smaltire una felicità tanto grande che l’indigestione di gioia ci portasse a commettere qualche errore, come successe a Tantalo3.

Non ci sembrava e non fu un atto contrario alla morale o alla natura, poiché eravamo innamorati, e lei diceva che non aveva deciso se lasciare maturare nel ventre suo il seme ricevuto in un tempo lontano, in un luogo remoto, da un uomo scordato, allontano dal cuore..

 

Tuttavia tre settimane più tardi tornò da quell’uomo, poi lasciò maturare il seme ricevuto da lui.

A me, che continuavo ad amarla, mandò, in ottobre, le fotografie della nostra estate che non poteva essere dimenticata, e non lo fu, né mai lo sarà.

 

Vi aggiunse queste parole:

Hej Gianni,

I have just got these photo of the last summer, memories of it.

The colours are not very good. Now my life is all right. I am married (2, 9) and happy. I love very much my husband and now we together only wait for our baby. I am always working as teacher in a middle school and I have much to do: 30 hours week only for lessons. But Saturday and Sunday I am free and I can see my man. Now he is working in another town. But in the spring we shall live again together in Yväskylä and in february we shall get the boy. I wish you the most happy time! Good bye.

Helena

 

Lì per lì ci rimasi male. Poi continuando a fare esperienze di vario tipo con diverse femmine umane, donne diverse da Elena e diverse tra loro, ho constatato che la bella finlandese incinta di un altro è stata la più corretta con me e la più leale delle mie amanti. Arrivato a questa età, quasi del tutto disingannato e difficilmente ancora ingannabile, devo riconoscere che Elena con me non è mai stata ingannevole. Altre magari vergini  o semivergini mi avrebbero teso trappole mordaci e variopinti lacci mendaci.

Il 20 agosto, quando ci separammo alla Keleti Pályaudvar, la Stazione Orientale di Budapest, da dove partono i treni sui quali avrei visto salire in lacrime altre finniche mie, e con le loro partenze avrei sofferto la fine di gioie tra le più luminose di questa mia vita mortale, Elena era afflitta, aveva gli occhi pieni di dolce oscurità, mentre i suoi capelli bruni bruni venivano accarezzati dagli ultimi venti caldi di quell’estate lontana, e piangeva, ma non contraccambiò il mio indirizzo. Disse che non aveva ancora deciso che cosa avrebbe fatto in Finlandia: avrebbe visto, ci avrebbe pensato, poi mi avrebbe fatto sapere. Aggiunse che aveva pure problemi di cambiamento d’alloggio.

Io non piangevo. Pensavo che quel pianto era consolatorio per lei, per la vita forse mediocre cui andava incontro.

Avrei fatto tesoro di quel mese paradisiaco, lo avrei conservato nello scrigno dell’anima, ne avrei acquistato potenza4 e magari un giorno ne avrei pure ricavato parole ricche di bellezza e di forza.

Le dissi soltanto: “spero di incontrarti ancora”, ma pensavo che non l’avrei vista più in questa vita terrena e mortale.

 

Torquato Tasso Rime d’amore 324

 

Qual rugiada o qual pianto
     Quai lagrime eran quelle
     Che sparger vidi dal notturno manto
     E dal candido volto de le stelle?
     5E perché seminò la bianca luna
     Di cristalline stelle un puro nembo
     A l’erba fresca in grembo?
     Perché ne l’aria bruna
     S’udían, quasi dolendo, intorno intorno
     10Gir l’aure insino al giorno?
     Fûr segni forse de la tua partita,
     Vita de la mia vita?


 

La stessa cosa pensai all’alba del 17 ottobre del 2011, un lunedì, quando salutai la mamma morente e partìi da Pesaro per fare lezione a Bologna. Sentivo che non le avrei più viste per chissà quanto tempo e comprendevo che era bene così. Elena non poteva trapiantarsi in Italia: non avrebbe avuto di che riempirsi la vita standomi a fianco senza un lavoro suo. Pensando a questo, non piansi. Anzi, la guardai con occhi pieni di riconoscenza, grato alla vita di avermela fatta incontrare, a lei di avermi accolto, di avermi donato un mese di gioia.

La mamma novantottenne aveva avuto una serie di ictus da aprile in avanti e non ne poteva più di soffrire. Aveva smesso di mangiare da due settimane.

Dopo la prima settimana le avevo detto: “mamma mangia, ti prego, altrimenti muori”

“A me non dispiace morire” rispose. “Ne ho paura, non credere che non ne abbia, ma stai sicuro che non mi dispiace”

“Dispiace moltissimo a me” replicai “io voglio che tu viva!”

“Ti sembra vita questa?” mi domandò, con intonazione retorica.

Era stata indipendente e autonoma per oltre novantasette anni e non sopportava di non esserlo più.

Risposi soltanto: “a me basta che tu non muoia, mamma”.

“A me non basta, ma ti ringrazio” concluse. Era contenta che io ci tenessi tanto alla sua sopravvivenza, ma non se la sentiva di continuare, siccome non era più vita la sua, assistita da due badanti, una di giorno, l’altra di notte, lei che fino a novantadue anni andava a fare la spesa in bicicletta e fino a novantacinque non aveva avuto bisogno di nessuno, nemmeno dei figli. Quando io e mia sorella la portavamo a cena fuori, le piaceva molto andare al Pesce azzurro di Fano, era tutta contenta, era felice, ma non era mai lei a chiederlo.

Una sera due fratelli, un uomo e una donna sui cinquanta anni, mentre parlavo con la mamma vezzeggiandola e corteggiandola in quel locale fanese popolare e per niente volgare, vennero vicino a noi e ci chiesero se eravamo madre e figlio. In effetti ci assomigliavamo molto.

Quando ebbi risposto “sì certo”, il maschio disse: “beato te, sei molto fortunato. Noi abbiamo perso la mamma da adolescenti”. Li ringraziammo e ne fummo felici. La madre mia già ultranovantenne stava ancora bene. Poi nel 2011 si ammalò.

Una vita priva di autonomia non era vita per tale donna nobile e antica,

non le si addiceva.

Come non sarebbe stata confacente a Helena la vita che poteva fare in Italia.

Volere ancora con me le due donne benedette sarebbe stato egoismo mio.

A tutte due sono grato: una mi ha dato la vita e mi ha sostenuto fino a che ne ho avuto bisogno, l’altra mi ha reso più felice, più sicuro, più bello nell’aspetto, e più buono nell’anima.

Martedì pomeriggio, quando dopo la scuola tornai da Bologna a Pesaro,

la mamma era morta da un paio di ore. Per lei invece ho pianto e mi succede di piangere ancora: con lei ho smarrito una parte grande della mia stessa vita, del corpo mio addirittura. Mi consolai, mi consolo pensando di ritrovarla. Già la ritrovo dentro me stesso. Ogni tanto mi guardo allo specchio e dico alla mia faccia che mi guarda: “tu sei la mamma!”.

La baciai sulle labbra, cosa che non avevo mai fatto quando era viva, nonostante fosse, e sia, la prima delle mie donne, quella che mi ha partorito e che ho amato più di tutte le altre.

 

 

Note

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1 There is a special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2)

 

2 Cfr. Leopardi, Storia del genere umano.

 

3 Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe smaltire la grande felicità: "se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande felicità, e con la sazietà attirò/un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese un macigno pesante, /che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano dalla gioia. (Olimpica I, vv. 54-61).

 

4 Che non è il potere, come la sapienza non è il sapere.

 

Bologna 7 aprile 2022 ore 19, 37 continua

giovanni ghiselli

p.s.

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