NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 4 aprile 2022

Giuseppe Moscatt: Gaspare Spontini, un italiano che collaborò con E.T.A. Hoffmann e influenzò Wagner

Gaspare Spontini (Jesi, 1774 - 1851), un italiano che collaborò con Hoffmann e influenzò Wagner

di Giuseppe Moscatt

 

1. Vita e opere in Francia (1803-1819)

Che il secondo '800 abbia visto esasperare la polemica fra i due massimi operisti del secolo precedente - Verdi e Wagner - è un fatto per fortuna ormai compiuto. Che il massimo della responsabilità della questione derivi da un romanzo espressionista dello scrittore Franz Werfel del 1923 - “Verdi: Roman der Oper”, che raccolse in forma narrativa la leggenda di un rifiuto psicologico di Wagneriano ad incontrare Verdi nelle occasioni probabili di un loro colloquio, visto che Venezia per i due era un abituale luogo di lavoro e riposo é una leggenda non priva di una accattivante suggestione. Finzione estetica discendente da una diffusa rivalità dei club verdiani e wagneriani, diffusa a metà dell'800, alimentata da un persistente nazionalismo musicale che permeava la cultura risorgimentale delle due Nazioni, per ultime addivenute in Europa ad unità, non disgiunta dal notorio sentimento sciovinista in cui era caduto il Romanticismo negli anni '30 del secolo, in ragione del comune sentimento antiaustriaco che soffiava a nord dalla Prussia e a sud dall'Italia. E non è che si possa però parlare di un caso, che proprio alla Corte di Berlino e nei teatri di quell'area, da Berlino a Dresda, da Lipsia a Magdeburgo, per un ventennio era stato un musicista italiano a primeggiare, il marchigiano Gaspare Spontini.

Nato a Maiolati nel 1774, frazione di Jesi, in quelle Marche dominio della Chiesa, ma acquisite dalla Francia dopo l'invasione napoleonica (1797) e la successiva costituzione del Regno d'Italia (1808); il giovane Gaspare, di famiglia umile, fu però avviato a Napoli dallo zio prete perché gli si riconobbe presto un certo talento musicale, come avverrà a fine secolo per il quasi compaesano Rossini. Dopo due anni al conservatorio della Pietà dei Turchi e dopo le lezioni del Cimarosa, già famoso operista, fu un attento altro suo maestro, Giacomo Tritto, a istruirlo sula nascente figura del melodramma, quel “recitar cantando” che Gluck aveva imposto come “melodramma” nel patrimonio culturale borghese, sostituendolo al semplice canto e soprattutto alla musica strumentale. Intanto, il trionfo della borghesia a teatro con Cherubini in Francia si era consolidato e dunque il giovanotto Gaspare doveva andare a Parigi.

Di bell'aspetto fu di figura distinta - come appare oggi nella casa museo di Maiolati nel quadro attribuito a Franz Krüger - visse colà dal 1803 al 1819. Qui divenne pupillo di Giuseppina e Napoleone, appassionati di romanze, all'epoca simbolicamente ricercate in alternativa alla musica strumentale ritenuta superata, tanto più che la musica cantata rappresentava quel sentimento borghese dove la trama e la parola dominavano lo spirito creativo romantico proprio sull'opera di genere comico. “La finta filosofa”, già rappresentata a Napoli nel 1799 e anche l'opera drammatica, il “Milton”, 1804, gli resero la fama di brillante seguace di Mozart, ma anche di validissimo assertore dell'Opera Comique francese. L'imperatrice Giuseppina - infatuata dal giovane del compositore, che la ebbe sempre in suo favore, anche per la raccomandazione della figlia Ortensia - nel 1806 gli commissionò un capolavoro mai dimenticato, “La Vestale” (1807), nonché nel 1809 il “Fernand Cortez”, dove il recitativo in musica divenne la regola aurea dell'opera ormai lirica e melodrammatica, una via compositiva che negli anni '20 e '30 del secolo avranno in Meyerbeer, Auber e Berlioz i maggiori prosecutori, senza contare Rossini, Bellini e Donizetti. La carriera artistica fu però sempre accompagnata, da una carriera “politica”, nel senso che la direzione del Teatro dell'Imperatrice Giuseppina e l'essere suo consigliere personale, lo fecero mantenere in tali cariche con l'Imperatrice Maria Luisa, seconda moglie di Napoleone, fino a diventare nel 1814 primo musicista della Corte imperiale. Naturalmente, il divorzio di Giuseppina prima; e la caduta finale di Napoleone poi, non lo favorirono. Il nuovo monarca Luigi XVIII preferì a corte un compositore come il mediocre ma legittimista Paër non compromesso col precedente regime. I suoi evidenti legami col partito bonapartista costrinsero Spontini ad abbandonare Parigi e a raggiungere Berlino nel 1820, approfittando della simpatia che aveva provocato per Lui l'allora Re di Prussia Federico Guglielmo Terzo che nel 1814 aveva applaudito il “Fernand Cortez”. Il contratto con Spontini fu però subito oggetto di critiche: un “budget” fra 20.000 e 24.000 Talleri, che il Capo del Governo Principe Hardenberg a fatica riuscì a imporre al conte von Brühl, Intendente Generale delle Finanze. Quest'ultimo forse era condizionato dalla comune appartenenza alla Massoneria, visto che Spontini era iscritto appunto alla loggia “L'âge d'or” di Parigi, circostanza che restò silente visto che comunque era il Re l'esperto del momento in materia di musica e pertanto le sue scelte andavano accolte. E qui va sottolineato come l'opinione del Conte venne soltanto taciuta, ma non estinse le critiche, che risorgeranno con la successione al trono di Federico Guglielmo Quarto.

 

2. La collaborazione con E.T.A. Hoffmann a Berlino (1820-1841)

La rapida acquisizione del titolo di Generalmusikdirektor, tale da assorbire perfino l'incarico di Primo Maestro di Cappella e di Soprintendente generale della musica, non fu tuttavia digerita da un giovane maestro compositore prussiano, Carl Maria von Weber, che già nel 1821 aveva rappresentato a Berlino un'opera palesemente romantica - “Il franco cacciatore” - che ebbe un ottimo successo di pubblico. Benché Weber fossa fin dal 1813 direttore dell'opera di Praga e segnalato dal duca di Württemberg di Stoccarda, all'incarico berlinese non riuscì ad accedere. Spontini invece ebbe la sponsorizzazione "politica” della Massoneria, ma anche una certa bravura compositiva nel solco di Gluck e anche un certo appoggio di uno scrittore che andava già per la maggiore, E.T.A. Hoffmann. Questi trasse da uno dei suoi noti “Racconti” un libretto revisionato di un testo parigino, “Olimpia", a sua volta ripreso da una precedente novella di Voltaire. L'opera andò sulle scene a Berlino nel teatro reale il 28-2-1826. Il fuoco narrativo del romantico tedesco si addiceva allo stile innovativo dell'italiano: mantenuta la potenza strumentale, introdusse una trama avventurosa ed esotica di massa sulla scena piena di cori orecchiabili. Già l'aver tratteggiato la moglie di Alessandro Magno e poi la figura di Antipatro suo generale, nonché gli eventi connessi alla morte dell'eroe, soprattutto alla sua fine improvvisa legata a un omicidio ordito dalla moglie con la compartecipazione di due amanti della donna, Cassandro e Antigono; rese la vicenda del tutto fascinosa. Eppoi il numero di orchestrali nella scena finale in cui Cassandro entrò in un elefante vivo sulla scena e i numerosi balletti nel corso della vicenda, rendevano l'esecuzione certamente piena di effetti spettacolari che si inquadravano nello schema dei due autori, ma che costarono un patrimonio alle casse del teatro.

Invece l'esecuzione del “Franco Cacciatore” a Kassel e a Dresda - dove era arrivato il rivale Weber - avevano avuto pari rilievo di pubblico senza alcun aggravio di spesa. Neppure le altre opere di Spontini andate in scena a Berlino - “Das Rosenfest von Caschmir” (1822) e “Alcidor” (1825) - spostarono l'asse del suo stile: riempire di contenuti drammatici o comici un testo in forma classica, operazione eclettica che mediava ormai l'aperto scontro fra cultura neoclassica - sostenuta dal vecchio Goethe - e concezione romantica, che puntava sul fantastico e sul dolore per un amore contrastato e impossibile. Nel secondo decennio di direzione dell'Opera di Berlino, il titanismo operistico di Spontini produceva una delle opere più sensazionali per quell'epoca, tale da sconvolgere la coreografia, le musiche e le trame fino ad allora rappresentate. E' l'“Agnese di Hohenstaufen”, (1837), il più innovativo dramma lirico del primo romanticismo, cui il nostro “Trovatore” somiglia moltissimo. E non sarà una coincidenza che Richard Wagner dirà le meraviglie dell' “Agnese”, preso a modello anche da Bellini per la sua “Norma”. Peraltro, è noto come gli anni '40 dell'800 rappresentano l'età del Romanticismo liberale e il passaggio definitivo dal misticismo passionale al misticismo sociale. E per Spontini - ormai arrivato al culmine della sua carriera artistica in Prussia - occorreva che al vertice di quella fama raggiunta si abbinasse una evidente sublimazione della sua arte fra l'antica Roma e le imprese del suo nuovo protettore, quel Federico Guglielmo terzo, pronto a dirigere la Confederazione degli Stati Tedeschi contro i parrucconi austriaci, magari sostenuto dalla nuova classe liberale. E se non lui, anche il figlio già designato Federico Guglielmo quarto, che dava ai politici progressisti la speranza di una Costituzione liberale.

Un po' quello che avveniva in Italia, dove i Savoia avevano espresso in Piemonte il retrivo Carlo Felice, il cui nipote Carlo Alberto fin dal 1820 era apparso aderire alle nuove idee, malgrado il passo indietro del 1821, cosa che fece dire al Mazzini che il Savoia non era affidabile (“Re tentenna”, con precisione fu la sua definizione scolpita nella storia). In quegli anni, mentre Bettina Brentano nel suo salotto letterario di Berlino si apriva alle forze liberali e romantiche costituzionaliste vicine alle idee del principe Guglielmo; mentre la vicenda dei sette docenti del vicino regno di Hannover - fra cui i fratelli Grimm - venivano estromessi da Gottinga tanto da infiammare il movimento liberale (Vormärz) verso una riforma costituzionale più democratica - Spontini si avvicinava, da maturo massone, a quello idee, nel salotto di Bettina, Spontini aggiornava l'ultima sua grande opera, la “Agnese di Hohenstaufen” rappresentata in forma definitiva solo nel 1837, dopo varie anticipazioni, dando metaforicamente al giovane Principe la palma di erede ideale del grande Enrico VI di Hohenstaufen, uno dei protagonisti dell'opera. Fra il 1839 e il 1840, il plauso aumentò: ottenne il grado di Conte a S. Andrea da Papa Gregorio XVI per un suo progetto di opera sacra e fu nominato socio dell'accademia di Belle Arti nella Francia dal re liberale Filippo D'Orleans. Soltanto nel 1840 era riuscito finalmente ad ingraziarsi il nuovo sovrano francese con il Grande Coro “Domine Salvum fac Regem nostrum” composto per l'incoronazione. Il piano di Spontini memore della precedente caduta di fortuna in Francia all'epoca della Restaurazione, diede anche sostegno dell'amica Bettina e al circolo di romantici moderati che faceva perno sull'aura rinnovatrice del nuovo Re di Prussia. Ma a fare altrettanto da contrappeso ci fu l'ondata nazionalista capeggiata dal critico conservatore Ludwig Rellstab, dietro il quale soffiava il capo di governo von Brühl.

Sia come sia, malgrado una sentenza favorevole di riconosciuta diffamazione per un libello a lui satirico pubblicato da quel poeta, giunse nel 1843 il licenziamento dagli incarichi, peraltro presto sostituito da Jacob Meyerbeer alla guida dell'opera di Berlino, un franco-tedesco più gradito alla nuova Corte e al nuovo Re, liberale nelle forme, ma reazionario nella sostanza. A Spontini, peraltro assegnatario di una buona pensione, non rimase che una piacevole vita di viaggiatore, insieme alla ricca moglie Celeste Erard, ereditiera di una prosperosa fabbrica di pianoforti. Sembrava che il nostro eroe fosse finito, ma a 67 anni ebbe l'occasione di riemergere, quando ormai Rossini, Bellini, Donizetti e lo stesso Meyerbeer nella musica operistica avevano quasi sepolto il suo ricordo. Era il 1844 e a Dresda sorgeva un nuovo astro della lirica, luce della terza generazione romantica e non solo per quel secolo, Richard Wagner. A poco più di 30 anni, dopo un duro lavoro formativo e quasi alla fame - come il suo contemporaneo Giuseppe Verdi - a Parigi aveva avuto modo di ascoltare qualche stralcio di Spontini ripreso dal sinfonista Berlioz.

Divenuto Kapellmeister al Teatro Reale di Dresda, dopo gli improvvisi successi del “Rienzi” e del “Vascello fantasma”, Wagner ipotizzò e realizzò il sogno che lo aveva guidato dopo l'ascolto parigino della ”Vestale” e della “Norma”, due opere italiane fondamentali per il suo cammino: mettere di nuovo in scena la Vestale in Prussia, finalmente ritrovata come antesignana della nuova musica operistica seria, lontana dal successo effimero delle opere buffe di un Rossini. Wagner, per una riedizione della “Vestale”, voleva accanto a se l'autore, cui riconosceva la grandezza creativa e che lo considerava solidale per le ingiuste critiche che per 20 anni li avevano colpiti, provocando danni al gusto del pubblico ondeggianti opera dopo opera. Wagner credeva nell'importanza di Spontini e non riusciva a capire perché quel vecchio non godesse in Europa ormai alcun credito. “Come si poteva - scriveva Wagner nei suoi ricordi - dimenticare la sua lirica franco - italiana che aveva prodotto la riforma dell'opera di un altro grande tedesco, Christoph Gluck?”. Wagner riuscì ad averlo allora come direttore d'orchestra, ma quale fu la sorpresa del maestro di Lipsia quando Spontini comparve alle prove! Un vecchio allampanato, sotto un mantello azzurro, con un cumulo di medaglie e nastrini degno di un generale napoleonico. Senza contare - come continuerà a dire Wagner nel suo diario - l'estremo puntiglio nella scelta dei movimenti scenici, nelle coreografie, nella disposizione degli strumenti, all'interno della sua regìa dell'esecuzione totale, cui Wagner dovette qui cedere il passo, ma che poi conserverà come metodo assoluto di integralità direzionale negli anni successivi di Bayreuth. Dopo la memorabile riapparizione a Dresda di quella “Vestale” - in Italia nel '900 ripresa da Visconti alla “Scala “ con la Callas nel 1954 e da Riccardo Muti nel 1995 - resta di Spontini il ricordo nella sua Jesi, dove morì quasi sconosciuto nel 1851 e che oggi lo ricorda col “Museo” della sua casa e col teatro dedicato al suo nome. E tuttavia, resta aperta la sfida di ritrovare nella storia della Prussia e della Germania un pari artista italiano che abbia del pari meritato di partecipare alla corte di quel Regno, di frequentare un salotto letterario internazionale come quello di Bettina, di avere un librettista del calibro di E.T.A. Hoffmann e di aver per discepolo un musicista come Wagner.

 

 

 

Bibliografia

 

1.         Su Gaspare Spontini, vd. Ad vocem, Dizionario biografico degli italiani., Treccani di ANDREA             CHEGAI, 2018.

2.         Su E.T.A. Hoffmann, vd. CLAUDIO MAGRIS, Tre studi su Hoffmann, Milano-Varese, Cisalpina      1969.

3.        Su Wagner e Spontini, cfr. ROBERT W. GUTMAN,Wagner. L'uomo, il pensiero, la musica, Milano,       1983.

 

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