Gaspare Spontini (Jesi, 1774 - 1851), un italiano che collaborò con Hoffmann e influenzò Wagner
di Giuseppe Moscatt
1.
Vita e opere in Francia (1803-1819)
Che
il secondo '800 abbia visto esasperare la polemica fra i due massimi operisti
del secolo precedente - Verdi e Wagner - è un fatto per fortuna ormai compiuto.
Che il massimo della responsabilità della questione derivi da un romanzo
espressionista dello scrittore Franz Werfel del 1923 - “Verdi: Roman der Oper”,
che raccolse in forma narrativa la leggenda di un rifiuto psicologico di
Wagneriano ad incontrare Verdi nelle occasioni probabili di un loro colloquio,
visto che Venezia per i due era un abituale luogo di lavoro e riposo é una
leggenda non priva di una accattivante suggestione. Finzione estetica discendente
da una diffusa rivalità dei club verdiani e wagneriani, diffusa a metà
dell'800, alimentata da un persistente nazionalismo musicale che permeava la
cultura risorgimentale delle due Nazioni, per ultime addivenute in Europa ad
unità, non disgiunta dal notorio sentimento sciovinista in cui era caduto il
Romanticismo negli anni '30 del secolo, in ragione del comune sentimento
antiaustriaco che soffiava a nord dalla Prussia e a sud dall'Italia. E non è
che si possa però parlare di un caso, che proprio alla Corte di Berlino e nei
teatri di quell'area, da Berlino a Dresda, da Lipsia a Magdeburgo, per un
ventennio era stato un musicista italiano a primeggiare, il marchigiano Gaspare
Spontini.
Nato
a Maiolati nel 1774, frazione di Jesi, in quelle Marche dominio della Chiesa,
ma acquisite dalla Francia dopo l'invasione napoleonica (1797) e la successiva
costituzione del Regno d'Italia (1808); il giovane Gaspare, di famiglia umile,
fu però avviato a Napoli dallo zio prete perché gli si riconobbe presto un
certo talento musicale, come avverrà a fine secolo per il quasi compaesano
Rossini. Dopo due anni al conservatorio della Pietà dei Turchi e dopo le
lezioni del Cimarosa, già famoso operista, fu un attento altro suo maestro,
Giacomo Tritto, a istruirlo sula nascente figura del melodramma, quel “recitar
cantando” che Gluck aveva imposto come “melodramma” nel patrimonio culturale
borghese, sostituendolo al semplice canto e soprattutto alla musica
strumentale. Intanto, il trionfo della borghesia a teatro con Cherubini in
Francia si era consolidato e dunque il giovanotto Gaspare doveva andare a
Parigi.
Di
bell'aspetto fu di figura distinta - come appare oggi nella casa museo di
Maiolati nel quadro attribuito a Franz Krüger - visse colà dal 1803 al 1819.
Qui divenne pupillo di Giuseppina e Napoleone, appassionati di romanze,
all'epoca simbolicamente ricercate in alternativa alla musica strumentale
ritenuta superata, tanto più che la musica cantata rappresentava quel
sentimento borghese dove la trama e la parola dominavano lo spirito creativo
romantico proprio sull'opera di genere comico. “La finta filosofa”, già
rappresentata a Napoli nel 1799 e anche l'opera drammatica, il “Milton”, 1804,
gli resero la fama di brillante seguace di Mozart, ma anche di validissimo
assertore dell'Opera Comique francese. L'imperatrice Giuseppina - infatuata dal
giovane del compositore, che la ebbe sempre in suo favore, anche per la
raccomandazione della figlia Ortensia - nel 1806 gli commissionò un capolavoro
mai dimenticato, “La Vestale” (1807), nonché nel 1809 il “Fernand Cortez”, dove
il recitativo in musica divenne la regola aurea dell'opera ormai lirica e melodrammatica,
una via compositiva che negli anni '20 e '30 del secolo avranno in Meyerbeer,
Auber e Berlioz i maggiori prosecutori, senza contare Rossini, Bellini e
Donizetti. La carriera artistica fu però sempre accompagnata, da una carriera
“politica”, nel senso che la direzione del Teatro dell'Imperatrice Giuseppina e
l'essere suo consigliere personale, lo fecero mantenere in tali cariche con
l'Imperatrice Maria Luisa, seconda moglie di Napoleone, fino a diventare nel
1814 primo musicista della Corte imperiale. Naturalmente, il divorzio di
Giuseppina prima; e la caduta finale di Napoleone poi, non lo favorirono. Il
nuovo monarca Luigi XVIII preferì a corte un compositore come il mediocre ma
legittimista Paër non compromesso col
precedente regime. I suoi evidenti legami col partito bonapartista costrinsero
Spontini ad abbandonare Parigi e a raggiungere Berlino nel 1820, approfittando
della simpatia che aveva provocato per Lui l'allora Re di Prussia Federico
Guglielmo Terzo che nel 1814 aveva applaudito il “Fernand Cortez”. Il contratto
con Spontini fu però subito oggetto di critiche: un “budget” fra 20.000 e
24.000 Talleri, che il Capo del Governo Principe Hardenberg a fatica riuscì a imporre al conte von Brühl, Intendente Generale delle Finanze. Quest'ultimo
forse era condizionato dalla comune appartenenza alla Massoneria, visto che
Spontini era iscritto appunto alla loggia “L'âge d'or” di Parigi, circostanza
che restò silente visto che comunque era il Re l'esperto del momento in materia
di musica e pertanto le sue scelte andavano accolte. E qui va sottolineato come l'opinione del Conte
venne soltanto taciuta, ma non estinse le critiche, che risorgeranno con la
successione al trono di Federico Guglielmo Quarto.
2. La collaborazione con E.T.A. Hoffmann a Berlino (1820-1841)
La rapida acquisizione del titolo di Generalmusikdirektor, tale da
assorbire perfino l'incarico di Primo Maestro di Cappella e di Soprintendente
generale della musica, non fu tuttavia digerita da un giovane maestro
compositore prussiano, Carl Maria von Weber, che già nel 1821 aveva
rappresentato a Berlino un'opera palesemente romantica - “Il franco cacciatore”
- che ebbe un ottimo successo di pubblico. Benché Weber fossa fin dal 1813
direttore dell'opera di Praga e segnalato dal duca di Württemberg di Stoccarda,
all'incarico berlinese non riuscì ad accedere. Spontini invece ebbe la
sponsorizzazione "politica” della Massoneria, ma anche una certa bravura
compositiva nel solco di Gluck e anche un certo appoggio di uno scrittore che
andava già per la maggiore, E.T.A. Hoffmann. Questi trasse da uno dei suoi noti
“Racconti” un libretto revisionato di un testo parigino, “Olimpia", a sua
volta ripreso da una precedente novella di Voltaire. L'opera andò sulle scene a
Berlino nel teatro reale il 28-2-1826. Il fuoco narrativo del romantico tedesco
si addiceva allo stile innovativo dell'italiano: mantenuta la potenza
strumentale, introdusse una trama avventurosa ed esotica di massa sulla scena
piena di cori orecchiabili. Già l'aver tratteggiato la moglie di Alessandro
Magno e poi la figura di Antipatro suo generale, nonché gli eventi connessi
alla morte dell'eroe, soprattutto alla sua fine improvvisa legata a un omicidio
ordito dalla moglie con la compartecipazione di due amanti della donna,
Cassandro e Antigono; rese la vicenda del tutto fascinosa. Eppoi il numero di
orchestrali nella scena finale in cui Cassandro entrò in un elefante vivo sulla
scena e i numerosi balletti nel corso della vicenda, rendevano l'esecuzione
certamente piena di effetti spettacolari che si inquadravano nello schema dei
due autori, ma che costarono un patrimonio alle casse del teatro.
Invece l'esecuzione del “Franco Cacciatore” a Kassel e a Dresda - dove
era arrivato il rivale Weber - avevano avuto pari rilievo di pubblico senza
alcun aggravio di spesa. Neppure le altre opere di Spontini andate in scena a
Berlino - “Das Rosenfest von Caschmir” (1822) e “Alcidor” (1825) - spostarono
l'asse del suo stile: riempire di contenuti drammatici o comici un testo in
forma classica, operazione eclettica che mediava ormai l'aperto scontro fra
cultura neoclassica - sostenuta dal vecchio Goethe - e concezione romantica,
che puntava sul fantastico e sul dolore per un amore contrastato e impossibile.
Nel secondo decennio di direzione dell'Opera di Berlino, il titanismo
operistico di Spontini produceva una delle opere più sensazionali per
quell'epoca, tale da sconvolgere la coreografia, le musiche e le trame fino ad
allora rappresentate. E' l'“Agnese di Hohenstaufen”, (1837), il più innovativo
dramma lirico del primo romanticismo, cui il nostro “Trovatore” somiglia
moltissimo. E non sarà una coincidenza che Richard Wagner dirà le meraviglie
dell' “Agnese”, preso a modello anche da Bellini per la sua “Norma”. Peraltro,
è noto come gli anni '40 dell'800 rappresentano l'età del Romanticismo liberale
e il passaggio definitivo dal misticismo passionale al misticismo sociale. E
per Spontini - ormai arrivato al culmine della sua carriera artistica in
Prussia - occorreva che al vertice di quella fama raggiunta si abbinasse una
evidente sublimazione della sua arte fra l'antica Roma e le imprese del suo
nuovo protettore, quel Federico Guglielmo terzo, pronto a dirigere la
Confederazione degli Stati Tedeschi contro i parrucconi austriaci, magari
sostenuto dalla nuova classe liberale. E se non lui, anche il figlio già
designato Federico Guglielmo quarto, che dava ai politici progressisti la
speranza di una Costituzione liberale.
Un po' quello che avveniva in Italia, dove i Savoia avevano espresso in
Piemonte il retrivo Carlo Felice, il cui nipote Carlo Alberto fin dal 1820 era
apparso aderire alle nuove idee, malgrado il passo indietro del 1821, cosa che
fece dire al Mazzini che il Savoia non era affidabile (“Re tentenna”, con
precisione fu la sua definizione scolpita nella storia). In quegli anni, mentre
Bettina Brentano nel suo salotto letterario di Berlino si apriva alle forze
liberali e romantiche costituzionaliste vicine alle idee del principe
Guglielmo; mentre la vicenda dei sette docenti del vicino regno di Hannover -
fra cui i fratelli Grimm - venivano estromessi da Gottinga tanto da infiammare
il movimento liberale (Vormärz) verso una riforma costituzionale più
democratica - Spontini si avvicinava, da maturo massone, a quello idee, nel
salotto di Bettina, Spontini aggiornava l'ultima sua grande opera, la “Agnese
di Hohenstaufen” rappresentata in forma definitiva solo nel 1837, dopo varie
anticipazioni, dando metaforicamente al giovane Principe la palma di erede
ideale del grande Enrico VI di Hohenstaufen, uno dei protagonisti dell'opera.
Fra il 1839 e il 1840, il plauso aumentò: ottenne il grado di Conte a S. Andrea
da Papa Gregorio XVI per un suo progetto di opera sacra e fu nominato socio
dell'accademia di Belle Arti nella Francia dal re liberale Filippo D'Orleans.
Soltanto nel 1840 era riuscito finalmente ad ingraziarsi il nuovo sovrano
francese con il Grande Coro “Domine Salvum fac Regem nostrum” composto per
l'incoronazione. Il piano di Spontini memore della precedente caduta di fortuna
in Francia all'epoca della Restaurazione, diede anche sostegno dell'amica
Bettina e al circolo di romantici moderati che faceva perno sull'aura
rinnovatrice del nuovo Re di Prussia. Ma a fare altrettanto da contrappeso ci
fu l'ondata nazionalista capeggiata dal critico conservatore Ludwig Rellstab,
dietro il quale soffiava il capo di governo von Brühl.
Sia come sia, malgrado una sentenza favorevole di riconosciuta
diffamazione per un libello a lui satirico pubblicato da quel poeta, giunse nel
1843 il licenziamento dagli incarichi, peraltro presto sostituito da Jacob
Meyerbeer alla guida dell'opera di Berlino, un franco-tedesco più gradito alla
nuova Corte e al nuovo Re, liberale nelle forme, ma reazionario nella sostanza.
A Spontini, peraltro assegnatario di una buona pensione, non rimase che una
piacevole vita di viaggiatore, insieme alla ricca moglie Celeste Erard,
ereditiera di una prosperosa fabbrica di pianoforti. Sembrava che il nostro
eroe fosse finito, ma a 67 anni ebbe l'occasione di riemergere, quando ormai
Rossini, Bellini, Donizetti e lo stesso Meyerbeer nella musica operistica
avevano quasi sepolto il suo ricordo. Era il 1844 e a Dresda sorgeva un nuovo
astro della lirica, luce della terza generazione romantica e non solo per quel
secolo, Richard Wagner. A poco più di 30 anni, dopo un duro lavoro formativo e
quasi alla fame - come il suo contemporaneo Giuseppe Verdi - a Parigi aveva
avuto modo di ascoltare qualche stralcio di Spontini ripreso dal sinfonista
Berlioz.
Divenuto Kapellmeister al Teatro Reale di Dresda, dopo gli improvvisi
successi del “Rienzi” e del “Vascello fantasma”, Wagner ipotizzò e realizzò il
sogno che lo aveva guidato dopo l'ascolto parigino della ”Vestale” e della
“Norma”, due opere italiane fondamentali per il suo cammino: mettere di nuovo
in scena la Vestale in Prussia, finalmente ritrovata come antesignana della
nuova musica operistica seria, lontana dal successo effimero delle opere buffe
di un Rossini. Wagner, per una riedizione della “Vestale”, voleva accanto a se
l'autore, cui riconosceva la grandezza creativa e che lo considerava solidale
per le ingiuste critiche che per 20 anni li avevano colpiti, provocando danni
al gusto del pubblico ondeggianti opera dopo opera. Wagner credeva
nell'importanza di Spontini e non riusciva a capire perché quel vecchio non
godesse in Europa ormai alcun credito. “Come si poteva - scriveva Wagner nei
suoi ricordi - dimenticare la sua lirica franco - italiana che aveva prodotto
la riforma dell'opera di un altro grande tedesco, Christoph Gluck?”. Wagner
riuscì ad averlo allora come direttore d'orchestra, ma quale fu la sorpresa del
maestro di Lipsia quando Spontini comparve alle prove! Un vecchio allampanato,
sotto un mantello azzurro, con un cumulo di medaglie e nastrini degno di un
generale napoleonico. Senza contare - come continuerà a dire Wagner nel suo
diario - l'estremo puntiglio nella scelta dei movimenti scenici, nelle
coreografie, nella disposizione degli strumenti, all'interno della sua regìa
dell'esecuzione totale, cui Wagner dovette qui cedere il passo, ma che poi
conserverà come metodo assoluto di integralità direzionale negli anni
successivi di Bayreuth. Dopo la memorabile riapparizione a Dresda di quella
“Vestale” - in Italia nel '900 ripresa da Visconti alla “Scala “ con la Callas
nel 1954 e da Riccardo Muti nel 1995 - resta di Spontini il ricordo nella sua
Jesi, dove morì quasi sconosciuto nel 1851 e che oggi lo ricorda col “Museo”
della sua casa e col teatro dedicato al suo nome. E tuttavia, resta aperta la
sfida di ritrovare nella storia della Prussia e della Germania un pari artista
italiano che abbia del pari meritato di partecipare alla corte di quel Regno,
di frequentare un salotto letterario internazionale come quello di Bettina, di
avere un librettista del calibro di E.T.A. Hoffmann e di aver per discepolo un
musicista come Wagner.
Bibliografia
1.
Su Gaspare Spontini, vd. Ad vocem, Dizionario biografico degli italiani., Treccani di ANDREA
CHEGAI, 2018.
2.
Su E.T.A. Hoffmann, vd. CLAUDIO MAGRIS, Tre studi su Hoffmann, Milano-Varese, Cisalpina 1969.
3.
Su Wagner e Spontini, cfr. ROBERT W. GUTMAN,Wagner. L'uomo, il pensiero, la musica, Milano, 1983.
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