Quella sera di agosto dunque ero tornato trionfalmente all’Aranybika, fiero della bella donna e delle mie prestazioni da atleta del sesso.
Cenammo e bevemmo il solito sangue di toro. Il vino dell’ebbrezza erotica. Scherzammo giovanilmente, da giovani quali eravamo.
Le chiesi di fare quello che Elena nell’Odissea: gettare nel vino un farmaco quale antidoto a ogni tristezza e miseria.
“Ci metterò un riverbero del mio sorriso - disse - e un riflesso della mia gioia”.
Parlavamo scegliendo tutti i termini e ascoltavamo con attenzione.
Non so come possano fare l’amore i giovani dopo avere passato una sera seduti a un tavolo in due, guardando e mastricciando un telefonino. Ciascuno il suo.
Ci soffermammo sul significato della parola cultura, come contrappeso al pur pregevole scatenamento istintivo del pomeriggio. Comunque scatenato dal lovgoς. Parlare fa bene a Eros, parlare con precisione elegante gli fa benissimo.
Apollo e Dioniso saltano insieme non solo sulle rupi delfiche e sull’altipiano sovrastato dalle due cime del Parnaso ma anche sui letti, i santuari dell’amore.
“Cultura per me”-dissi- non è il sapere dell’erudito, l’ umbraticus doctor dall’anima gobba, ma è sapienza che sa di vita, ossia è potenziamento della natura. Queste formule le ho imparate da Euripide, da Petronio, da Nietzsche e da altri, ma il fatto l’ho sperimentato nella prassi. L’ho provato con te. Non credo che saresti venuta a letto con me se non ti avessi attirata con alcune frasi belle prese a prestito dai miei autori. Non li ho derubati, poiché la bellezza delle parole per fortuna non è soggetta alle regole della proprietà privata.
Importante è che funzioni nell’ingranaggio complessivo.
Cultura è “conosci chi sei”, poi “diventa chi sei”. Cultura è “niente di troppo”. Cultura è bellezza. Se mi chiedi a che cosa serve, qual è la sua funzione, ti rispondo che serve ad amare, amarla umanisticamente, come dicesti tu, e anche a fare l’amore magnificamente, come lo stiamo facendo noi due”.
“Cultura è rispetto e amore per la vita”, aggiunse Elena.
“Alta cultura è l’amore nostro, l’amore tra noi due, il farlo tante volte, non esserne mai sazi. Io ti amo per il tuo aspetto che riflette un’anima bella e fine, come le tue parole”. Le dissi.
“Io ti amo perché sei buono, Gianni, e non giochi con il cuore delle persone, come fanno tanti buffoni e troppi farabutti.
Ti amo perché fai l’amore con me, per quanto e per come lo fai. Ti amo perché non ti fai servo di nessuno e non menti.
Ti amo perché sai ascoltare, osservi con attenzione le persone e la natura, e per questo sei naturale, non artefatto”.
“Osservo soprattutto te, amore mio, con enorme attenzione. La mia naturalezza comunque, se non proprio costruita, certo è stata educata, dai libri e dagli incontri buoni che un demone buono mi ha offerto.
Chi non viene corretto e motivato da bravi educatori quali sono stati per me gli auctores, rimane vittima della pubblicità, o dei partiti che vogliono portare le teste all’ammasso, e resta schiavo dei luoghi comuni estranei alla realtà effettuale. Noi due, con il nostro parlare e fare l’amore confutiamo in continuazione i pregiudizi degli imbecilli e le astute menzogne dei mascalzoni e dei profittatori”.
Intanto gli zigàni suonavano musiche popolari ungheresi.
Si mangiava e si beveva bene, e tutta l’atmosfera ci infondeva certezza del nostro amore, sicurezza nei nostri ruoli, insomma felicità.
A un certo punto mi scusai e andai in bagno. Soprattutto per guardarmi allo specchio, osservare la mia faccia giovane, tutt’altro che brutta, e compiacermene. “Ce l’hai fatta Gianni”, mi dissi. “Ce l’hai fatta.
Ricordi come arrivasti qui cinque anni fa, nel 1966?
Questa tua immagine gradevole era ancora fasciata di grasso, di sudiciume, e il tuo il fetore ammorbava la puszta, offendeva la foresta, il tuo buio spirituale oscurava il cielo. Eri come un bastone di legno marcio che avvolga e racchiuda una verga d’oro, quella che vedi ora.
Rendi grazia al Creatore, a Elena, alla mamma che ti hanno modellato così bene. E anche al padre tuo, e alle zie, la Rina, la Giulia, la Giorgia che ti hanno aiutato. E a tua sorella Margherita che si è fatta educare da te quando era una bambina, alla nonna Margherita che tante volte ti ha offerto il suo sostegno, e non solo affettivo. Ai suoi genitori, i bisnonni Scattolari che ci hanno lasciato la terra avita di Tavullia e di Montegridolfo. E al nonno Carlo Martelli dal quale hai ereditato molto più della roba: lo sconfinato amore per le donne, per il sole, e il non comune talento ciclistico.
Hai dentro il loro sangue, e ora pure quello del sole. Osservai una vena della mia mano destra. “Ho dovuto assecondare il destino conquistando questa donna proibita che mi spettava. Ho dovuto sconfiggere i draghi del mio passato: superstizioni e pregiudizi, ostacoli opposti alla mia felicità. Grecamente problhvmata. Ce l’ho fatta. Qui ricomincio a vivere e conosco la cultura vera, quella che potenzia la vita scartando i luoghi comuni, scavalcando i divieti problematici che chiudono in carcere gli istinti migliori.
Helena ha trovato e raccolto i tuoi pezzi mentali ancora sparsi e confusi, e li sta mettendo insieme in tempo per rimetterti in gioco, in questo agone terribile e bello che è la vita umana ricca di amore.
D’ ora in avanti non voglio perdere più nemmeno una gara. A Elena e ai miei consanguinei sarò grato per sempre.”
Quindi tornai al nostro tavolo e ripresi a parlare con lei, ad ascoltarla, a osservarla e ammirarla. Più tardi facemmo ancora l’amore, nel grande bosco, un altro santuario del nostro connubio sacro, della nostra ierogamia.
Bologna 11 aprile 2022 ore 20, 5
giovanni ghiselli
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Questa mattina ho sentito provenire da una finestra le note di Summer time, l’inno del nostro amore. Per questo dopo l’ottima conferenza del pomeriggio, questa sera ho riveduto la storia grande e meravigliosa di Elena, per gratitudine a lei.
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