NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 5 aprile 2022

Edipo re di Sofocle V parte


Nel primo stasimo (vv.463-510) troviamo il motivo dell'animale del sacrificio necessario e imminente, il toro delle rupi (v.478), il re in persona : lo stesso uomo-toro predestinato  dell'Agamennone    di Eschilo: "a[pece th'" boo;"-to;n tau'ron: ejn pevploisin-melagkevrw/ labou'sa mhcanhvmati-tuvptei", tieni il toro lontano dalla vacca: presolo nella rete lo colpisce con il congegno delle nere corna (vv.1125-1128).
Ci sono pure echi di riti antichissimi, di lotte tra i sessi e conflitti di culture che passano attraverso l'assassinio del maschio ma si concludono con l'assoggettamento della donna: in questo contesto compare la Sfinge, "la ragazza con le ali" (pterovess j h\lqe kovra, v.508) che può rappresentare una femminilità affascinante, inquietante e  pure distruttiva; Euripide nelle Fenicie  la chiama:" Oh alata, parto della terra e dell'infernale Echidna, rapace dei Cadmei, assassina, causa di molto pianto"(vv.1018 e sgg.), e così via. Si tenga conto che la Sfinge nasce da un incesto: Echidna la vipera l’aveva generata accoppiandosi con il proprio figliolo, il cane Orto.
Ebbene Edipo ha vinto lo scontro con il mostro micidiale dagli artigli crudivori, e per questo il coro spera che il re non abbia torto nella contesa con il vate. I vecchi Tebani non sanno che il giovane vincitore della ragazza cattiva, soggiace alla madre ed è subornato da lei quando lancia bestemmie contro i sacerdoti e gli oracoli santi.
 
Nel secondo episodio (vv.512-862) Edipo accusa il cognato Creonte di volere usurpare il suo posto in combutta con Tiresia. Per negare loro ogni possibilità di successo, espone la sua teoria sul fondamento del potere che dovrebbe essere costituito dal consenso popolare e dal denaro, mezzi dei quali i due sono sprovvisti.
Creonte ribatte da cortigiano, dicendo di avere tutti i vantaggi  senza gli inconvenienti del capo, per cui non è suo interesse passare dal ruolo di secondo della città a quello di primo ; come si vede parla in maniera logica, con qualche sfumatura di ipocrisia e di malevolenza che è difficile non attribuirgli dopo avere letto l'Antigone .
Con il verso 634 debutta Giocasta, la magna mater et magistra , che cerca di mettere pace tra i due uomini, il marito che è pure suo figlio e il fratello, e di porre fine all'angosciosa ricerca di Edipo. Per ottenere questo scopo dettato dall'istinto di sopravvivenza, la sciagurata non si perita di negare valore all'arte profetica (v.709); ma, mentre racconta la morte di Laio al fine di coonestare la propria empietà, dà notizie che fanno rabbrividire Edipo, il quale teme di essere l'uccisore del vecchio re, e racconta il ricordo che ha  della strage compiuta.
La paura di questo re è quella di essere l'assassino del predecessore, e perciò il mivasma della città. Affinché il massacro compiuto da Edipo e quello subìto da Laio con il seguito siano due cose diverse, bisogna che l'unico sopravvissuto della scorta tebana confermi quello che si dice: i predoni uccisori erano più di uno. Probabilmente una voce fatta mettere in giro dall'ambiente della corte, forse dalla stessa Giocasta per scagionare il secondo marito il quale   le aveva raccontato di avere ammazzato da solo uno sconosciuto con il suo seguito. Di fatto la regina è riluttante a fare venire il testimone, ma Edipo impone che sia convocato. E' davvero fuori dal comune questo re-tiranno inteso a dissipare la "nebbia folta" e ad abbattere il "muro sì grosso" interposto tra il palazzo e la piazza.
 
Nel secondo stasimo (vv.862-910) il coro raccomanda la purezza sia delle parole sia delle azioni, e l'ossequio a quelle leggi divine nate nel cielo che gli uomini non possono cancellare, poichè, come si legge nell'Antigone (v.454) non sono  scritte e non sono vacillanti.
Piuttosto traballa il tiranno generato dalla prepotenza che lo fa salire sui fastigi del potere, ma siccome non gli dà una base morale, non può evitargli la caduta precipitosa negli abissi scoscesi della rovina.
 
La teoria opposta viene formulata nel Gorgia  di Platone da Callicle il quale sostiene (483a-d) che legge  naturale è il predominio del più forte e che la giustizia perequativa è una falsificazione architettata  dai deboli, confederati insieme per contraffare la natura e non lasciarsi schiacciare da chi ne ha le capacità e il diritto.
 
Il coro di vecchi tebani prega affinché la tirannide non prevalga. Il despota non giova a nessuno, tanto meno a se stesso.
 
 Già Esiodo nelle Opere  (vv.265-266) aveva scritto che prepara i mali per sé chi li apparecchia ad un altro, e che il pensiero cattivo è pessimo per chi l'ha pensato.
 
Del resto, si domanda Sofocle attraverso il coro che gli dà voce, se le azioni malvagie sono onorate, che senso ha questo mio canto?- eij ga;r toiaivde pravxei" tivmiai,-tiv dei' me coreuvein; (vv. 895-896)  Se gli improbi non vengono confutati, perdono ragione di essere l'arte, la religione, e gli dei vanno in malora.
 
Terzo episodio (vv.911-1086). Giocasta rivolge una preghiera ad Apollo, ma quando arriva da Corinto un messo per annunziare che Polibo è morto di morte naturale, la regina maledice gli oracoli ripetutamente e spinge Edipo ad imitarla. Il fatidico altare di Delfi dunque ha sbagliato indicando nel figlio di Polibo l'assassino del padre, e i vaticini pitici giacciono nella tomba con il re morto di vecchiaia. A Edipo rimane l'angoscia delle nozze con la madre, preannunciate anch'esse dall'ombelico del mondo, ma questa paura, obietta Giocasta, è  vana, siccome fatta della  materia di cui sono fatti i sogni.
Interviene però il messaggero corinzio a disilludere la coppia reale: Edipo non è figlio di Polibo, ma fu portato sulla città dell'Istmo da lui stesso che lo aveva ricevuto da un pastore tebano. Il corifeo anzi suppone che questo sia il servo già mandato a chiamare per riferire sull'assassinio di Laio(vv.1051-1052). La madre ora ha capito  e fugge via inorridita.
 Edipo crede di essere un trovatello, e pensa che la  donna si sia allontanata perché si vergogna della sua umile origine, ma egli si proclama pai'da th'" Tuvch" figlio della Fortuna(v.1080), con un'espressione divenuta tovpo" letterario e utilizzata dal classicista Petronio nella chiacchierata dei liberti: "plane Fortunae filius" (Satyricon 43).
 
Il terzo stasimo (vv.1086-1109) è un inno al Citerone che ha nutrito Edipo; contiene note di esultanza che devono stridere acutamente con l'esplosione di dolore dei versi successivi. E' questo un elemento tipico della tecnica sofoclea: il canto trionfale poco prima della catastrofe si trova anche nell'Antigone, nell'Aiace  e nelle Trachinie. Mette in rilievo la fragilità delle ipotesi fatte dalle menti umane.
 
Quarto episodio (vv.1120-1185).
Arriva il servo che vide la strage, e  per giunta viene riconosciuto dal messo corinzio quale il pastore che gli affidò il bambino ricevuto da Laio e Giocasta. All’epoca anche il corinzio era un pastore che portava il bestiame a pascolare sul Citerone
Il vecchio tebano, pur riluttante, non può negare la certezza del riconoscimento. Così non c'è più posto per l'ambiguità: l'infante dai piedi gonfi, gettato via dai genitori e sopravvissuto per la compassione di due pecorai, è diventato Edipo, ha ucciso suo padre e  sposato sua madre. Gli oracoli non hanno mai torto. Come volevasi dimostrare.
 
Nel quarto stasimo (vv.1186-1122) il coro compiange la peripezia del re considerandone la  vita, emblematica di quella umana, identica al nulla quando le vicende  che appaiono come successi alla vista miope dei mortali, e invece sono orrori e miserie, vengono svelate dal "tempo che tutto vede""( oj pavnq j oJrw'n crovno" (v.1213) e fa giustizia.
 
Nell'esodo (vv.1221-1530) un secondo messo racconta il suicidio di Giocasta e l'acciecamento di Edipo eJauto;n  timwrouvmeno".
Quindi appare il re sconciato che attribuisce ad Apollo la causa delle sue sofferenze, ma rivendica a sé il coraggio  di essersele inflitte con le proprie mani. Nessun altro mortale avrebbe avuto la forza di sopportare mali tanto grandi. Poi chiede a Creonte che lo faccia tornare sul suo Citerone e che si prenda cura delle figlie, Antigone e Ismene, per le quali soltanto si accora, trascurando i maschi,  Eteocle e Polinice,  e manifestando ancora un legame di simpatia esclusiva con il mondo femminile, di avversione  con quello maschile. Creonte gli fa toccare per l'ultima volta le bambine, poi gliele toglie e lo congeda.
 
Il coro chiude la tragedia con i tetrametri trocaici dai quali Perrotta inferisce la datazione bassa, ma che il Pearson considera spuri. Se anche sono aggiunti, i versi contengono un monito plausibile e coerente con questa favola triste; un avvertimento simile a quello che Solone dà a Creso nel primo libro delle Storie  di Erodoto: nessuno ritenga felice un mortale prima che abbia passato il termine della vita senza avere sofferto qualche dolore.
Bologna 5 aprile 2022 ore 9, 50
giovanni ghiselli
 
 

 

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