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venerdì 8 aprile 2022

Edipo re XIV parte. La morte della tragedia nel dramma di Euripide

 

 

Critiche a Euripide e critiche delle critiche

La  tragedia greca muore con il dramma di Euripide che avrà un seguito nella commedia nuova. La responsabilità di questa morte è attribuita da Aristofane al più giovane dei tre tragici, che anzi è uno degli idoli polemici  del massimo commediografo antico.

Questa accusa viene ripresa e rincarata nell'Ottocento da A. W. Schlegel e da Nietzsche. Il drammaturgo è accusato di avere indebolito e corrotto i concittadini spettatori presentando, magari anche con simpatia, donne adultere o assassine, promuovendo il libero pensiero nella morale, e compiacendosi di mettere in vista le tare mentali e   i difetti fisici dei suoi personaggi.

L'Eschilo delle Rane  di Aristofane lo accusa  di avere rappresentato persone ignobili, e gli ricorda che il poeta, essendo maestro dei giovani, deve nascondere il male e dire cose oneste:"ajll j ajpokruvptein crh; to; ponhro;n ge poihthvn"(v.1053);" toi'" me;n ga;r paidarivoisin -ejsti didavskalo" o{sti" fravzei, toi'sin d j hJbw'si poihtaiv. pavnu dh; dei' crhsta; levgein hJma'"", ai bambini è maestro chi insegna, ai giovani il poeta. Bisogna assolutamente che noi diciamo cose oneste.(vv.1054-1055).

All'interno di questa concezione pedagogica della poesia, Euripide viene accusato di essere un cattivo maestro.

Schlegel, nel suo Corso di letteratura drammatica, aggiunge che Euripide annienta ogni grandezza di eroi e dèi, spiandoli nella vita intima.

 

Nietzsche ne La nascita della tragedia  rincara la dose facendo dell'ultimo tragediografo, in combutta con Socrate, il padre della decadenza, intesa contenutisticamente come la  demolizione dell’eroe degradato a omuncolo,  stilisticamente come incapacità di sintesi, siccome nei drammi di Euripide le diverse parti si rendono indipendenti dall'insieme.

Egli con la prima attitudine avrebbe abbandonato Dioniso, quindi, per il difetto dello stile, sarebbe stato abbandonato da Apollo.

 

Bruno Snell in un bel capitolo (Aristofane e l'estetica ) del volume La cultura greca e le origini del pensiero europeo, difende il tragediografo da queste accuse sostenendo che l'antica religione e la vecchia morale sono abbandonate da Euripide per il desiderio, e nella ricerca, di un'etica più pura, di divinità e persone più morali rispetto a quelle della tradizione. Tali istanze sono presenti anche nell'assassina infanticida Medea e nella Fedra "sgualdrina", mentre  altri personaggi, come la ragazza Ifigenia (in Aulide) o la giovane sposa Alcesti, o (negli Eraclidi ) Macaria, la figlia di Eracle, o (nelle Fenicie ) Meneceo, figlio di Creonte, incarnano addirittura l'eroismo più nobile e puro.

 In realtà l'opera di Euripide è composita di persone, idee, divinità e situazioni molto varie; le sue ipotesi sono di breve durata e non c'è affermazione che non venga contraddetta da una antitetica. Questo drammaturgo non può darci i punti di orientamento, le stelle polari degli altri due, poiché non li possiede lui stesso. Vero è che nelle sue tragedie trovano posto non solo gli eroi e le eroine quali  i giovani ricordati sopra, ma pure gli omuncoli irrisoluti, meschini e contraddittori che possono essere i capi dell'esercito acheo, come Agamennone che invidia il suo vecchio servo (vv.18 e sgg.)  nell'Ifigenia in Aulide, oppure il pedagogo della Medea  il quale si accosta a gente che gioca a dadi, senza avere l'aria di ascoltare, e invece spia (vv.67-69).

 

A parte il gioco dei dadi che, come quello delle carte secondo Schopenhauer può esprimere benissimo l'aspetto lamentevole dell'umanità (cfr. Il mondo come volontà e rappresentazione, p.415,vol II) e infatti era già praticato dai proci oziosi e tracotanti nell'Odissea (I,107), Euripide mette in rilievo l'attitudine da spia nelll’aio che dovrebbe essere un educatore e formare caratteri nobili. Tali degradazioni dell'umanità non vengono approvate, ma ciò non toglie che il popolo, vedendo sulla scena gente scaltra e cattiva, possa considerare autorizzata la furberia disonesta. Nella poesia del Novecento, una decadenza del genere viene presentata da T. S. Eliot in Gerontion, per esempio, an old man in a dry month (v.1), un vecchio in un mese arido, uno che  non ha combattuto alle Termopili (I was neither at the hot gates , v. 3),  mentre Fräulein Von Kulp "who turned in the hall, one hand on the door ", che nella sala si volse, una mano alla porta(v.28), è sorpresa nell'atto di origliare.

 

Bologna 8 aprile 2022 ore 11

giovanni ghiselli


  

 

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