Jean Cossiers, Prometeo ruba il fuoco |
Secondo me il primo portatore di sviluppo senza progresso è stato Prometeo.
Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano rivendica il merito di avere escogitato le tevcnai (v. 477), che fanno partire la civilizzazione, anzi: "pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo.
"Questo sapere è sempre una conoscenza pratica: è il sapere che ha creato la civiltà, le tevcnai. Egli ha insegnato loro i diversi mestieri, inoltre l'astronomia, i numeri e le lettere; ma non per allargare la conoscenza del mondo nel senso degli antichi ionici: al contrario, questo sapere è orientato, alla maniera attica, verso le tevcnai, verso uno scopo pratico e un'utilità (…) il fuoco è il simbolo delle tevcnai, dell'attività pratica"[1].
Prometeo dunque si vanta di avere ha trovato i farmaci (vv. 480 sgg.), le lettere, la navigazione l'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli e delle viscere nella vittime sacrificali. Infine ha scoperto i metalli: "calkovn, sivdhron, a[rguron crusovn te, tiv" - fhvseien a]n pavroiqen ejxeurei'n ejmou;" (vv. 502-503), il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro, chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?
Le invenzioni e scoperte di Prometeo vengono indicate come malefiche da diversi autori: ricordo Erodoto, Platone, Orazio, Tibullo, Ovidio, Stazio, Leopardi. Vediamo alcune espressioni di autori che smontano la funzione benefica delle invenzioni del Titano.
Erodoto afferma senza giri di parole che il ferro è stato scoperto per il male dell’uomo ("ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai", Storie, I, 68, 4). E’ il ferro delle armi ovviamente.
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “ Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque tu non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo" (ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
Pure i Drùidi del De bello gallico di Cesare (VI, 14) non vogliono fare uso della scrittura, per la medesima ragione.
Nel Protagora di Platone, il sofista eponimo del dialogo racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della comunità (322d).
Tibullo [2] attribuisce la colpa della guerra al vizio dell'oro:" Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? /Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?
Questa è colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande. Era già l'età del business .
L’aggiogamento degli animali vantato da Prometeo, talora viene considerato una violenza fatta alla natura: Tibullo ricorda pure che l’età dell’oro non conosceva le navi, né il commercio, né l’imbrigliamento dei cavalli, né l’assoggettamento del toro (I, 3, 37-46).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
“ Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140-143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[3] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
Ricordate l’archibugio-abominoso ordigno- denunciato da Ludovico Ariosto più volte citato nei miei post contro la guerra.
La scoperta delle tecniche viene maledetta più volte: nella Tebaide di Stazio, quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas lamenta di essere stata creata invano dalla Natura princeps con il compito di opporsi agli stati d’animo crudeli di uomini e dèi; quindi esecra la follia dei mortali e le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Prometeo infatti ha insegnato agli uomini l’uso dei numeri, delle lettere, l’aggiogamento degli animali, la navigazione. Tutto è stato usato male secondo gli autori che sto citando
Leopardi con il fuoco critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura[4], quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646).
Quindi le armi da fuoco “L’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, ha combinato perfettamente colla tendenza presa dal mondo in ordine a qualunque cosa, e derivata naturalmente dalla preponderanza della ragione e dell’arte, colla tendenza, dico, di uguagliare tutto. Così le armi da fuoco, hanno uguagliato il forte al debole, il grande al piccolo, il valoroso al vile, l’esercitato all’inesperto, i modi di combattere delle varie nazioni: e la guerra ancor essa ha preso un equilibrio, un’uguaglianza che sembrava contraria direttamente alla sua natura. E l’artifizio, sottraendo alla virtù e agguagliandola, e anche superandola e rendendola inutile, ha pareggiato gli individui, tolta la varietà…infine ha contribuito sommamente anche per questa parte a mortificare il mondo e la vita” (Zibaldone, 659 e 660).
Lucrezio dà un'immagine composita dell'età più antica: allora la vita degli uomini era dura assai, ma le guerre non distruggevano in un sol giorno molte miglia di uomini schierati, né c'era la morte per acqua marina:"nec poterat quemquam placidi pellacia ponti/subdola pellicere in fraudem ridentibus undis./Improba navigii ratio tum caeca iacebat "(V, 1004-1006), né la seduzione subdola del mare in bonaccia poteva sedurre alcuno con il sorriso delle onde[5]. Allora la detestabile arte del navigare giaceva sconosciuta.
Virgilio nella IV ecloga, dove annuncia il ritorno dell'età dell'oro, mette la navigazione, con la guerra e l'agricoltura, tra le attività perfide e dure a morire dell'età ferrea: anche quando l'uva penderà rossa dai rovi incolti e le querce suderanno mieli rugiadosi "pauca tamen suberunt priscae vestigia fraudis,/quae temptare Thetin ratibus, quae cingere muris/oppida, quae iubeant telluri infindere sulcos" (vv. 31-33), tuttavia resteranno sotto poche tracce dell'antica perfidia, quelle che spingono a tentare il mare con le navi, a cingere di mura le fortezze, a scavare solchi nella terra.
Non meno negativamente considera la traversata marina Properzio il quale anzi impreca contro l'inventore di quel viaggiare sull'acqua che lo ha portato lontano da Cinzia:"A pereat, quicumque ratis et vela paravit/primus et invito gurgite fecit iter " (I, 17, 13-14), ah, perisca chiunque per primo costruì le navi e le vele, e si aprì il cammino tra i gorghi riluttanti.
E’ il topos dell’imprecazione contro l’inventor di un’attività.
Nel primo libro delle Metamorfosi Ovidio afferma che durante l'età dell'oro non c'erano le navi che solcavano i mari:"nullaque mortales praeter sua litora norant" (v. 96), i mortali non conoscevano altri lidi che i propri.
Il secondo coro della Medea di Seneca maledice, in dimetri anapestici, la navigazione come attività troppo audace per l'uomo: “Audax nimium, qui freta primus/rate tam fragili perfida rupit/terrasque suas post terga videns/animam levibus credidit auris/ dubioque secans aequora cursu,/potuit tenui fidere ligno,/inter vitae mortisque vias/nimium gracili limite ducto” (vv. 301-308), audace troppo chi per primo ruppe con la barca tanto fragile i perfidi flutti e vedendo alle spalle la sua terra affidò la vita ai venti incostanti e fendendo gli spazi marini con rotta infida, fu capace di affidarsi a un legno debole, guidato sul confine troppo sottile tra le vie della vita e della morte
Il terzo coro della Medea di Seneca chiede venia per Giasone, ma Nettuno è furioso perché sono stati spezzati i sacrosanti vincoli del mondo.
Il consiglio è: "vade, qua tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera mundi! " (vv. 604-606), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo. E’ la conclusione della settima e ultima strofa saffica del terzo coro.
Infatti i profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago per impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616).
Il mare sfidato che la fa pagare ai provocatori si trova anche nella Pharsalia di Lucano:"Inde lacessitum primo mare, cum rudis Argo/miscuit ignotas temerato litore gentes/primaque cum ventis pelagique furentibus undis/composuit mortale genus, fatisque per illam/accessit mors una ratem" (III, 193-197), di qui[6] il mare per la prima volta provocato, quando l'inesperta Argo mescolò genti che non si conoscevano sulla costa profanata, e per prima mise la razza umana alle prese con i venti e con le onde furiose del mare, e una morte attraverso quella nave si aggiunse ai fati.
Viene condannata la confusione conseguente alla negazione del principium individuationis. Ancora l' u{bri" di Serse.
Bologna 1 aprile 2022 ore 17, 17
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica, p. 121.
[2] Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.
[3] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro: "sidarovfrwn… fovno" " (vv. 672-673).
[4] Tovlma para; fuvsin, “tovlma me;n ga;r ajlovgisto~”si porebbe dire con Tucidide (III, 82, 4)..
[5]Traduco “il sorriso delle onde”, come del resto ha già fatto Luca Canali , poiché a parer mio l'espressione di Lucrezio risente di quella eschilèa:" pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma" (Prometeo incatenato , 89-90), innumerevole sorriso delle onde marine.
[6] Da Iolco, patria di Giasone.
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