Non bisogna trascurare la componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre anche per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l'orrore del caos e rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita, attraverso la giustificazione estetica ed eroica dell'esistenza umana: "L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: “ ‘Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dire quello che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la seconda cosa migliore per te è-morire presto’ ”[1].
Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici.
L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz'altro immaginarlo così, che dall'originario ordinamento divino titanico del terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso apollineo di bellezza, in lenti passaggi, l'ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le rose spuntano da spinosi cespugli (…) Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie[2], per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[3]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[4].
Achille nel mondo dei morti di Omero è una delle teste svigorite (" ajmenhna; kavrhna", Odissea, XI, 29) che devono bere del sangue per riacquistare coscienza, e rimpiange la vita terrena.
Nello Zarathustra di molti anni più tardi Nietzsche benedice la cita terrena
Vediamo la prefazione di Così parlò Zarathustra [5]: “Vi scongiuro, fratelli, rimanetemi fedeli alla terra fratelli miei (bleibt mir der Erde teuer, meine Brüder) e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze. Lo sappiate o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenatori essi stessi. Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra”.
“Quando Nietzsche proclamò: “Dio è morto” lo fece “per amore degli uomini…Egli deve rassegnarsi ad essere chiamato un “umanitario”[6].
“Per Nietzsche purezza vuol dire fedeltà alla natura umana, alla terra e al senso della terra”[7].
Dio è morto nella Medea di Seneca.
Giasone privato dei figli chiude la tragedia gridando all'assassina di attestare che per dove passa non esistono gli dèi:" per alta vade spatia sublimi aetheris,/ testare, nullos esse, qua veheris, Deos" (v.1026-1027), va' per gli alti dell'etere sconfinato, attesta che dove tu passi non ci sono gli dèi.
"E' l'antiapoteosi finale"[8]. Similmente Tieste, dopo che Atreo gli ha rivelato l'abominio compiuto, grida:"Fugēre Superi (Thyestes, v. 1022).
L’ abbarbicarsi di Nietzsche alla realtà terrena è un opporsi al platonismo e al cristianesimo. E’ un attizzare questa opposizione.
Nella Parodo delle Eumenidi di Eschilo, le Erinni si incitano a vicenda: "liquido sangue materno versato a terra (ai|ma mhtrw'ion camaiv), oh, non si raccatta: il liquido versato al suolo è perduto " (vv. 261-263).
Secondo questa divinità primordiali, il sacrilegio contro la terra è l’uccisione della madre, e la terra è la grande madre di tutti.
Le divinità olimpiche.
“In esse parla una religione della vita, non del dovere o dell’ascesi o della spiritualità. Tutte queste figure diffondono il trionfo dell’esistenza, un sentimento esuberante della vita accompagna il loro culto. Esse non esigono niente: in esse l’esistente è divinizzato, indipendentemente dal fatto se sia buono o cattivo”[9].
“La visione dionisiaca del mondo, scritta nell’estate del 1870, si può considerare, dopo le due conferenze-Il dramma musicale greco e Socrate e la tragedia-una prova generale della Nascita della tragedia…Nella Visione dionisiaca vengono introdotte per la prima volta le categorie artistiche di apollineo e dionisiaco…In essa entrano concetti schopenhaueriani buoni e non buoni…Tutti questi concetti sono comunque cincischiati”[10].
Tuttavia, alle spalle di questa visione di bellezza c’è la sapienza silenica: “è una filosofia del genere quella che fa da sfondo a quel mondo di dèi. Il greco conosceva gli orrori e le atrocità dell’esistenza, ma li velava, per poter vivere: una croce occultata tra le rose, secondo il simbolo goethiano…si doveva nascondere per mezzo di figure solari come quelle di Zeus, Apollo, Hermes ecc., quell’oscuro dominio della moira che è causa per Achille d’una morte precoce e per Edipo d’una unione nefasta…Per effetto di una tale religione, nel mondo greco la vita viene concepita come qualcosa che è desiderabile di per sé…non è indegno dei più grandi eroi aspirare a una continuazione della vita, foss’anche una vita da servi…Perciò l’uomo moderno ha nostalgia per quel tempo in cui crede di sentire il perfetto accordo di uomo e di natura”[11].
A proposito di rose e di spine, di croce e di rose, sentiamo Così parlò Zarathustra : “Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”[12]. Man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können.
Quindi c’è “l’irruzione del culto dionisiaco…questa fonte era sgorgata dall’Asia; ma in Grecia doveva diventare un torrente…In qual modo Apollo salvò la grecità? Accogliendo nel mondo della bella apparenza, cioè nel mondo olimpico il nuovo venuto”[13].
Il culto dionisiaco asiatico è ancora barbarico, un “orribile miscuglio di voluttà e crudeltà”[14], ma Apollo lo accoglie nel mondo della bella apparenza.
Cfr. quanto dice Tiresia a Penteo a proposito di Dioniso nelle Baccanti di Euripide.
“Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche
saltare con le fiaccole sull’altopiano a due cime
agitando e scagliando il bacchico ramo,
grande per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me” (vv. 306-309).
Penteo cerca invano di reprimere l’irrazionale che Dioniso sta diffondendo a Tebe attraverso le sue baccanti che hanno già “contagiato” le Menadi tebane. Ma il re di Tebe ne verrà contagiato a sua volta.
“Necessaria, l’ illogicità. Tra le cose che possono portare un pensatore all’esasperazione è il riconoscere che l’uomo ha bisogno dell’illogicità, e che dall’illogicità nascono tante cose buone (…= Anche l’uomo più ragionevole ha bisogno, di tempo in tempo, di ritornare alla natura, cioè alla sua fondamentale posizione illogica rispetto a tutte le cose” [15]
La logica infatti non comprende tutta la vita. Questa è lovgo~ ma non è soltanto logica.
Bologna 2 gennaio 2023 ore 10, 05 giovanni ghiselli
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[1] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3.
[2] Cfr. Iliade, VI, 146:"oi[h per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n", proprio quale la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. (n. d. r.)
[3] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491. (n. d. r.)
[4] F. Nietzsche, La nascita della tragedia (del 1872) capitolo 3.
[5] Terminato nel 1885
[6] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 843.
[7] S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 367.
[8] G. G. Biondi, Seneca Medea Fedra, p. 165.
[9]Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, 2
[10] Sossio Giametta, Introduzione a Nietzsche opere per opera, p. 39.
[11] La visione dionisiaca del mondo, 2.
[12] Prefazione.
[13] La visione dionisiaca del mondo , 2
[14] Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 2
[15] Nietzsche, Umano troppo umano, I, Parte prima, Delle prime e ultime cose, 31
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