I Remedia amoris appartengono all'ultimo
periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa
che arriva al 2 d. C. Ebbene in questo
poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci) il poeta non tocca l'argomento
della moralizzazione necessaria al benessere mentale ma insiste nel
consigliare finzione e simulazione.
L'amore è ancora una
volta visto come una partita a scacchi.
Invece Pavese
sostiene:"L'amore è come la grazia di Dio-l'astuzia non serve". Io me ne sono servito. Ha
funzionato nelle situazioni già favorevoli. .
L'Ars amatoria , l' abbiamo visto, è un
poema di precettistica erotica nel quale il praeceptor
amoris (I, 17), ossia l'autore
stesso, "insegna a ricondurre tutti i momenti di una relazione d'amore
alla strategia del maggior vantaggio possibile; perfino la sofferenza non viene
esclusa purché sia ridotta, essa pure, a strumento dell'utile : per guadagnare il favore della puella sarà bene che il
corteggiatore appaia sofferente: est tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis ( Ars
amatoria 1, 609)", devi fare la parte
dell'innamorato e con le parole simulare le ferite. Chi mi legge sa che cosa
significa.
"Tocchiamo così un punto cruciale della conversione
che ha subìto l'elegia: dall'ideologia della sincerità a quella della finzione.
L'elegia aveva fatto dell'autenticità la forma stessa del suo discorso; la
didascalica ovidiana diffida della sincerità e delle passioni incontrollabili,
e raccomanda invece l'arte di fingere. Come un attore, l'amante deve recitare
il suo ruolo: est tibi agendus amans
...Se la didascalica ovidiana costituisce la realizzazione di questo semplice
programma (alla fine risulterà che è possibile un amore senza frustrazioni e
patimenti) possiamo aggiungere che Ovidio non si accontenta di una
dimostrazione 'affermativa' (" vi insegno come si ama") ma accetta
anche la sfida di una prova in negativo ("se il vostro amore è sbagliato,
vi insegno a liberarvene")...Ciò che rispetto all'Ars distingue i Remedia
sta nelle ragioni specifiche di un'opera che si propone come insegnamento
di una terapia: si tratta di servirsi ora della riconosciuta parzialità del
mondo elegiaco per indicare l'esistenza e i vantaggi di altri mondi verso cui
uscire, in cui cercare rifugio e guarigione...l'argomentazione didascalica dei Remedia
intende aggredire l'elegia in uno dei suoi fondamentali presupposti
ideologici: il rifiuto della vita attiva, la scelta deliberata dell'otium desidiosum . Se l'otium
, la pigra mollezza, è alimento della malattia d'amore, la guarigione comincia
già dall'impegnarsi in una vita attiva: Remedia
amoris 143 s. qui finem quaeris amoris,/ (cedit amor rebus) res age, tutu, eris
" . Di questi versi abbiamo già dato la traduzione.
Mi sembrano cruciale anche quest' altro distico sull'otium
da evitare se si vuole guarire dall'amore:"otia si tollas, periere
Cupidinis arcus,/contemptaeque iacent et sine luce faces" (139-140),
se togli di mezzo il tempo libero, si rompono gli archi di Cupido, e le sue
fiaccole rimangono a terra disprezzate e senza luce.
In altre parole: se tu investi buona parte della tua
passione sul lavoro, sullo studio o sullo sport o, Dio me ne guardi, sul cibo,
ne hai meno da dedicare alle donne.
L'amore ha
bisogno di tempo libero: nel Duvskolo"
di Menandro Sostrato, l'innamorato
ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia è:"ma per gli dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo?"(v.
341). E il futuro cognato, che ricco non
è, risponde: "Non me lo posso
permettere, caro mio"(v.342) Sostrato non ne capisce la ragione e
domanda:"chi te lo
impedisce?" pensando magari al vecchio misantropo il patrigno di
Gorgia, ma questo fa vedere un panorama negativo più ampio:"il calcolo dei
miei guai/che non mi dà un momento di respiro"(343-344).
L'uxoricida della già citata Sonata a Kreutzer mette
l'ozio tra le esche ingannevoli della sua infausta passione amorosa:"Ma in
realtà quel mio amore era prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e
dalla sarta, dall'altra-dalla grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più
dalla vita oziosa che menavo" (p. 327). Altrettanto pensa la vecchia
Bovary dei grilli della nuora:"Ci vorrebbe un'occupazione, un bel lavoro
manuale! Se come tante altre fosse costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe
mica tanti fumi per la testa. Sai da dove vengono? Da quel mucchio di idee
balorde, dal troppo ozio in cui vive".
Credo che nell’accoppiarsi ci si debba guardare dalle
persone oziose: chiacchierano, perdono tempo, lo fanno perdere e sono
posssessive. Per giunta sono infedeli.
Le attività raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle
"del foro e della guerra, il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco
rinuncia alla carriera e alla rispettabilità" (p. 40). In una nota Conte menziona Amores
I, 15, 1 ss. segnalando che in questa elegia di Ovidio "e in genere
nei luoghi elegiaci pertinenti, le attività rifiutate si connotano
negativamente (praemia militiae
pulverulenta ; verbosas leges e ingrato
foro ai vv. 4 ss.) ed è invece
rivendicata la positività dell'ignavia e dell'inertia (la poesia elegiaca è detta ingenii inertis opus ); al contrario,
nei Remedia , il poeta deve
impegnarsi a sottolineare la positività dei mondi che il suo allievo deve
scoprire (152 ss.), ed è adesso la scelta dell'otium a subire la critica
(quella stessa che poteva venire dai moralisti benpensanti, dai senes severiores )".
Altra operosità raccomandata per sfuggire al tormento
amoroso è quella nell'agricoltura, " l'attività economica tradizionale del
signore romano, ma che è raccomandata come modello di vita in cui i tratti
dell'utile quasi cedono di fronte alle preponderanti attrattive estetiche che
può offrire una tenuta di campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium , non può mancare la passione per
la caccia (e in subordine, per la pesca): l'inconciliabilità fra Diana e Venere
è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel
codice antropologico".
Vediamo il proemio di questo poemetto, quindi scegliamo
alcuni "versi chiave"
"L'opera si presenta come un trattato di medicina, il
cui contenuto si sviluppa in una serie di precetti (i precedenti si collocano
nel mondo greco: nel II sec. a. C. Nicandro di Colofone aveva raccolto in
esametri ricette e antidoti contro i veleni di origine animale e vegetale).
Trattazione scientifica dunque, per un argomento considerato di pertinenza
scientifica".
Aggiungo e preciso: Il metodo e il lessico della scienza
medica era stato usato, molto prima, nella letteratura greca da Tucidide il quale pensa di potere fare previsioni o
"proiezioni", in avanti e pure all'indietro, avvalendosi dell'analisi
dei fatti umani, dei documenti, insomma
di tutti i segni concreti esistenti (tekmhvria): un
modo di procedere paragonabile a quello della contemporanea medicina ippocratica la quale partiva
dall'osservazione dei sintomi e dell'analogia di casi simili per giungere alla
diagnosi e alla prognosi.
La
vicinanza della letteratura alla scienza
del resto si ripeterà più volte nella cultura europea: un caso recente è quello
verificatosi nella temperie positivistica del secondo Ottocento, con il
Naturalismo e il Verismo: Verga nella Prefazione
a L'amante di Gramigna
scrive:"Caro Farina, eccoti non un racconto ma l'abbozzo di un
racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere
storico-un documento umano, come dicono oggi...il semplice
fatto umano farà pensare sempre; avrà l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle sensazioni
che sono passate per la carne".
Nei
primi distici troviamo un dialogo tra il poeta e Cupido che apre il poemetto
come se avesse ricevuto una dichiarazione di guerra, un conflitto rovesciato
rispetto alla topica, non solo elegiaca, che abbiamo indicato finora: qui
l'iniziativa bellica verrebbe sottratta dall'uomo al dio Amore.
"Legerat
huius Amor titulum nomenque libelli:/"Bella mihi, video, bella
parantur" ait".(vv. 1-2) Amore aveva letto il titolo di questo
libretto e il suo nome:"guerra, lo vedo- affermò- la guerra si prepara
contro di me.
Il
dialogo iniziale con Cupìdo si trova anche nella prima elegia dei giovanili Amores
dove il dio aveva tolto un piede a ogni secondo verso, e aveva dardeggiato il
poeta con le sue frecce sicure facendolo bruciare, sottoponendolo al suo
impero, e costringendolo in conclusione a passare dall'esametro epico-eroico al
distico dell'elegia amorosa. Dunque dall'intenzione di celebrare le guerre in
esametri Ovidio era passato alla "maniera" di Gallo, Tibullo e
Properzio accentuando la componente callimachea, cioè ironica e letteraria.
Come per il poeta di Cirene e per gli altri alessandrini , "cultura è per
lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in
contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate
l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della
vita".
Anche
io penso qualcosa del genere. Ho cominciato a farlo fin da bambino.
Lo
stesso scambio di battute con il dio si trova nel proemio degli Aitia
dove Apollo parla di poetica con
Callimaco e sostiene il poeta contro i suoi detrattori.
Pure
all'inizio del IV libro dei Fasti Ovidio presenta un abbozzo di dialogo,
nella fattispecie con Venere.
-libelli (Rimedia amoris, v. 1) anche
Catullo chiama libellus la sua raccolta di poesie :"Cui dono
lepidum novum libellum? (1, 1), a chi dono il grazioso nuovo libretto? .
Così
pure Properzio:"Fortunata meo si qua es celebrata libello! (III, 2,
17), fortunata colei che è resa famosa dal mio libretto! Ora lo penso di Elena
Si
tratta comunque di poesia erotica.
-bella…bella
(Remedia 2) la conduplicatio
è resa solenne dall'echeggiamento di quella
della Sibilla cumana nel VI canto dell'Eneide:"Bella,
horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" (vv. 86-87),
guerre, guerre raccapriccianti vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue.
Sentiamo
la risposta di Ovidio al rimprovero del dio:"Parce tuum vatem sceleris
damnare, Cupido,/tradita qui toties te duce signa tuli" (Remedia
Amoris, vv. 2-3), risparmia al tuo vate l'accusa di empietà, Cupido, a me
che tante volte sotto il tuo comando ho portato le insegne affidate.
.-tuum
vatem: Ovidio si sente il profeta del dio
cui, fin dall'elegia proemiale degli Amores, il poeta ha lasciato
un dominio assoluto sulla propria persona:"uror, et in vacuo pectore
regnat Amor" (I, 1, 26) brucio e nel petto regna esclusivo Amore. Così
fa pure Dante quando dedica se stesso alle Muse all'inizio del Purgatorio:"Ma
qui la morta poesì resurga,/o sante Muse, poi che vostro sono" (I, 7-8).
Segue un exemplum tratto dal V canto
dell'Iliade (vv. 330 sgg. ) dove
Afrodite viene ferita da Diomede:" Non ego Tydides, a quo tua saucia
mater/in liquidum rediit aethera Martis equis" (Remedia , vv.
5-6), io non sono il Tidide dal quale ferita tua madre tornò nel limpido etere
con i cavalli di Marte.-saucia: sintatticamente equivale a sauciata
ed è l'aggettivo canonico per le sofferenze erotiche causate dalle ferite
d'amore: l'abbiamo già trovato in Ennio (Medea exul, 9) che traduce ejkplagei's j di
Euripide (Medea, 8), in Catullo (64, 250), in Lucrezio (IV, 1048) e
nell'incipit del IV canto dell'Eneide. Ovidio lo utilizzerà ancora in
questo stesso poemetto, più avanti (436), concordandolo con turba e
rivolgendosi in apostrofe alla folla ferita degli innamorati infelici. Nell'utilizzare la tradizione il poeta deve
aggiungere il proprio genio: qui l'originalità sta nel fatto che Ovidio si
avvale di Omero inserendo una ferita non metaforica ma al polso in un contesto
di piaghe dell'anima.
Il poemetto prosegue con la rivendicazione di
fedeltà dell'autore che afferma di non essersi mai sottratto all'amore:"Saepe
tepent alii iuvenes; ego semper amavi,/et si, quid faciam nunc quoque, quaeris,
amo" (Remedia, 7-8), spesso
sono tiepidi gli altri giovani; io sempre ho amato, e, se chiedi cosa faccio
anche ora, amo.-iuvenes; ego: l'accostamento chiastico dei due soggetti
mette in rilievo l'antitesi tra i più e il genio erotico, non solo letterario
del poeta che è milite ed eroe dell'esercito di Eros. " amo usato
assolutamente in chiusura di pentametro è un tratto tipico della lingua poetica
elegiaca: vedi per esempio Catullo, c. 92, v. 4; Properzio, Elegie II,
8, 12; Ovidio Ars amandi 3, 598 e in particolare Heroides, 5,
132: unde hoc comperirem tam bene, quaeris, amo", chiedi dove ho
imparato questo così bene? amo.
Da
quest'ultima citazione vediamo che in amore non si dà apprendimento senza
esperienza sul campo e senza una partecipazione emotiva almeno iniziale. Una
considerazione che si può ricavare anche dal successivo distico dei Remedia:"Quin
etiam docui, qua posses arte parari,/et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit"
(vv. 9-10), anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e
quella che è ora una teoria, prima fu slancio.-docui: Ovidio ribadisce
la sua funzione di professore dell'amore, una specie di Diotima di Roma .-ratio…impetus:
l'elaborazione teorica è preceduta dall'intuizione, lo qumov" , abbiamo visto nella Medea di Euripide (v.
1079), prevale sui bouleuvmata, e i
ragionamenti non sono altro che sentimenti travestiti.
Ovidio
insomma non ha tradito passando dall'Ars ai Remedia: l'amore va
cercato quando dà piacere, fuggito quando infligge dolore.
"Nec
te, blande puer, nec nostras prodimus artem,/nec nova praeteritum Musa retexit
opus./Si quis amat quod amare iuvat, feliciter ardens/gaudeat et vento naviget
ille suo; at si quis male fert indignae regna puellae,/ne pereat, nostrae
sentiat artis opem" (vv. 11-16), non tradisco te, grazioso fanciullo,
né la nostra arte, né una Musa nuova ha disfatto la tela precedente. Se uno ama
ciò che dà piacere amare, goda ardendo con successo e navighi con il vento
favorevole; ma se uno sopporta male la tirannide di una ragazza indegna, per
non morire provi l'aiuto della mia arte.-blande: l'aggettivo qualifica
tutta l'atmosfera che circonda Eros: più avanti esso viene attribuito allo
stesso genere elegiaco (v. 379) e all'amante quando, ancora in buoni rapporti, scriveva (v.
717).
-prodimus:
Ovidio non ha cambiato campo poiché quello che ora consiglia di evitare non è
amore ma distruzione.-retexit: da retexo, nel senso di
"disfo la tela" con allusione a Penelope che ingannava i proci. "Con il suo inganno Penelope
arresta l'inesorabilità del tempo: oggi è uguale a ieri, a giudicare dal lavoro
del telaio. Penelope inganna i pretendenti prolungando una situazione, quella
del giorno in cui partì Ulisse, annullando
il tempo nella misura in cui disfà quello che ha tessuto. L'inganno di
Penelope viene concluso da Ulisse al suo ritorno che prende i pretendenti in
una "rete dai mille fori" (Od.
XXII 386)".
Ovidio negando questo verbo (nec retexit, v. 12) vuol dire che non inganna.-feliciter
(v. 13): nella poesia erotica felix , contrapposto a miser, è
colui che ha successo in amore e quindi può gioire del suo ardore amoroso e
lasciarsi andare spiegando le vele al vento favorevole. Abbiamo già trovato più
volte la metafora della navigazione per indicare l'amore e anche altri aspetti
della vita. Abbiamo anche visto che felix è imparentato
etimologicamente, con femina né potrebbe essere altrimenti.-indignae
regna puellae (v. 15) bisogna
liberarsi dal dispotismo dell'amore quando la tiranna non è meritevole, cioè
quando la puella, invece di
accrescere la gioia e potenziare la vita, è portatrice di morte. Infatti
l'aiuto di Ovidio serve a salvarsi la vita (pereat) da un dispotismo che
può mietere vittime. L'accostamento tra l'amore indegno e il perire si trova
già nella X Bucolica:"Indigno cum Gallus amore peribat"
(v. 10). In quel caso la donna indegna era una meretrice di nome Citeride
che piantò il padre dell'elegia latina
per seguire Antonio nelle Gallie.
Vittorio Alfieri nella Vita
racconta il suo dolore disperato alla scoperta dell'indegnità dell'amante
perché già prima di amare lui ella avea amato un palafreniere che stava a casa
del marito. "Il mio dolore e furore, le diverse mie risoluzioni, e tutte
false e tutte funeste e tutte vanissime ch'io andai quella sera facendo e
disfacendo, e bestemmiando, e gemendo, e ruggendo, ed in mezzo a tant'ira e
dolore amando pur sempre perdutamente un così indegno oggetto; non si possono
tutti questi affetti ritrarre con le parole: ed ancora vent'anni dopo mi sento
ribollire il sangue ripensandovi".
Avrebbe
dovuto leggere il nostro poemetto nel quale seguono due exempla di
suicidio:"Cur aliquis laqueo collum nodatus amator/a trabe sublimi
triste pependit onus?/ Cur aliquis rigido fodit sua pectora ferro?/Invidiam
caedis pacis amator habes" (vv. 17-20), perché un innamorato
annodatosi un laccio al collo è rimasto sospeso a un'altissima trave, funesto
fardello? Perché un altro si è trafitto il petto con l'inflessibile ferro? Tu
amante della pace raccogli l'odiosità della strage.- laqueo collum (acc.
di relazione) nodatus: lett.= annodato nel collo con un laccio. Il nodum
del laccio che pende da un'alta trabes si trova nel suicidio della regina
Amata alla fine dell'Eneide: "et nodum informis leti trabe
nectit ab alta" (XII, 603), e attacca a un'alta trave il nodo di una
morte deforme. Conte suggerisce questo modello epico che a sua volta può averne
uno tragico nel suicidio
"deforme" di Giocasta nell'Edipo re di Sofocle" poi vedemmo la donna impiccata-kremasthvn-/ e avviluppata in lacci ritorti" (vv. 1263-1264).
Altro suicidio sconcio, in quanto conseguente a una violenza pedofila è quello della bambina Matrioŝa che ne I
demoni di Dostoevskij si impicca in "un minuscolo ripostiglio, una
specie di pollaio" dopo che il suo viso aveva espresso "una
disperazione che era impossibile di vedere sul viso di una bambina" (p.
448 ). Questa è una delle più terribili tra quelle sofferenze di bambini delle
quali Ivan Karamazov dice:" E se le sofferenze dei bambini hanno dovuto
completare la somma delle sofferenze necessarie per acquistar la verità, io
dichiaro fin d'ora che tutta la verità presa insieme non vale quel prezzo".-ferro: richiama il suicidio di Didone (Eneide
IV, 663-666) del quale si è già detto.-
"Qui, nisi desierit, misero periturus
amore est,/desinat, et nulli funeris auctor eris" (21-22), chi, se non
avrà smesso è destinato a morire di amore infelice, smetta e per nessuno tu
sarai causa di morte.-desierit…desinat: poliptoto.-funeris auctor:
Ovidio insiste sul concetto che Amore non deve essere causa di morte ma di
vita.
"Et
puer es, nec te quicquam nisi ludere oportet:/lude; decent annos mollia regna
tuos" (vv. 23-24), sei un fanciullo e a te nulla conviene se non
giocare: gioca; ai tuoi anni si addicono governi dolci.-ludere…lude:
altro poliptoto. In effetti a Eros non può mancare questa componente. Il verbo ludo
, come il sostantivo ludus derivano dalla radice indoeuropea *loid-
che ha dato come esito in latino lud- e in greco loid(or)- da cui loidorevw , "insulto". Il significato del verbo greco
non è estraneo al latino ludibrium, derisione, e all'italiano ludibrio.
Si vede dunque che la radice ha una componente negativa che può sempre
affiorare. Ma finché prevale la positiva, non tanto a lungo di solito, conviene
valorizzarla e godersela:"Garzoncello scherzoso,/cotesta età fiorita/ è
come un giorno d'allegrezza pieno…".
L'amore
dunque viene collegato alla pestis e alla rovina ma anche al gioco.
Afrodite dea dell'amore è anche dea del gioco.
Quando
è passato il momento buono del ludus e del iocus allora è tempo
di rimpianti, come si sa, e come si legge in Catullo:"Ibi illa multa
tum iocosa fiebant,/quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi
tibi soles " (8, 6-8), lì allora accadevano quei molti meravigliosi giochi/che tu
volevi né la ragazza rifiutava./Davvero hanno brillato radiosi i soli per te.
"Nam
poteras uti nudis ad bella sagittis,/sed tua mortifero sanguine tela carent" (Ovidio, Remedia,
vv. 25-26), infatti avresti potuto servirti per la guerre di frecce vere, ma le
tue armi non hanno il sangue della morte. Questi versi presenti in quasi tutti
i codici sono stati espunti da diversi editori. Li lascio perché ribadiscono
l'idea di fondo che Amore è collegato alla vita, alla salute, alla gioia non
alle ferite né morte, checché ne dicano alcuni, pure autorevoli. Vero è che in
certi casi solo morendo si capisce quanto forte sia il collegamento tra l'amore
e la vita e quanto sia doloroso avere perduto l'occasione di amare le altre
creature viventi nel breve tempo a noi concesso. Questo è l'insegnamento che ci
dà Tolstoj attraverso i pensieri del principe Andrej ferito a morte a
Borodino:"La commiserazione, l'amore per i fratelli, per coloro che ci
amano; l'amore per coloro che ci odiano, l'amore per i nemici, sì, quell'amore
che Dio ha predicato sulla terra, che mi ha insegnato la principessina Mar'ja e
che io non capivo; ecco perché mi dispiaceva di lasciare la vita, ecco quello
che ancora mi restava, se fossi vissuto. Ma adesso è troppo tardi. Lo so!".-poteras: falso condizionale che esprime
irrealtà come fanno i tempi storici in greco.-nudis sagittis: i dardi di
Amore invece sono metaforici e non feriscono il corpo. Chi è intelligente e
morale non ne viene ferito in alcun modo.
Pesaro
30 agosto 2023 ore 21 giovanni ghiselli continua
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Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Il
giocoso in Callimaco , p. 382.