NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

giovedì 31 ottobre 2024

Viaggio in Grecia agosto 1981 XVI. Il buffone dionisiaco.

 La pedalata sofferta fino a Patrasso. Due tappe per fare meno di 40 chilometri.

Riprendemmo la pedalata contro il vento caldissimo spirato da sud ovest. Ifigenia dopo pochi chilometri già barcollava, sbuffava, soffriva e diceva che non poteva procedere così ostacolata e gravata.

“Adesso dovrò sobbarcarmi di nuovo il suo peso”, pensai con un po’ di fastidio e anche un poco di orgoglio. Infatti mi dissi: “Ce la farò”

 Subito dopo in effetti mi ofrìi  di alleviarle la schiena prendendo  anche il suo zaino che dislocai al di sopra del mio, quasi sul collo. Ma nemmeno così alleggerita Ifigenia ce la faceva a pedalare fino a Patrasso. Provai a incoaggiarla, a spingerla anche fisicamente stando alla sua sinistra e impiegando quanta forza avevo nel braccio destro e nella mano aperta appoggiata sulla schiena di lei non lascivamente, ma la mia compagna di viaggio, come un commilitone stremato dagli ordini  atroci di un comandante  implacabile, seppur generoso, a un tratto scostò la mia mano non abbastanza soccorrevole, frenò, fermò la bici e disse che non ce la faceva più in nessuna maniera.

Urgeva dunque trovare un rifugio dove passare la notte, però l’autostrada dove eravamo entrati a Egion senza essere ostacolati era recintata da una rete di ferro e per uscirne saremmo dovuti arrivare al casello di Patrasso ancora lontana almeno venti chiometri. Ci si trovava perciò in una prigione, ardente per giunta come una fornace, con l’acqua delle borracce oramai esaurita oltre tutto. La ragazza infatti sudava assai poi beveva più di una spugna. A me il caldo piace, anche estremo ma non quando devo sopportare chi lo esecra come se fosse un male. Il male vero che porta pena a me e morbi a tutti è l’aria condizionata che aborro.

Posata la bici, camminai un po’ avanti, un po’ indietro scrutando la rete ferrigna, finché vi trovai un buco abbastanza grande per la nostra evasione. Usciti da quel carcere, percorremmo una stradina sterrata in discesa fino a un borgo turrito sulla riva  del mar : Psathopirgos si chiama . Trovammo una stanza con terrazza affacciata sul piccolo porto. Nel nostro squlibrio questa fu un’altra serata di pace.  Eravamo entrambi contenti per la collaborazione che c’era stata tra noi nell’ultimo tratto quando l’avevo aiutata senza rimproverala né insistere troppo.

 Ifigenia mi era grata per il comportamento che avevo tenuto nei suoi confronti, sicché aveva deciso di porre fine alle querimonie e di sospendere il  rancore accumulato per mesi contro di me che non ero famoso come il suo uomo ideale.

Una tregua malsicura e precaria. Dormimmo per l’ultima volta insieme affacciati sul mare. Il giorno seguente, dopo avere peercorso gli ultimi venti chilometri, giungemmo a Patrasso.

Se ce l’hai fatta a seguirci fin qui, lettore, senza stancarti né annoiarti, vieni ancora avanti con noi, complicemente: laetaberis.

Prenotammo la cabina sul traghetto del ritorno che salpava il 28, per Brindisi. Nella nave diretta ad Ancona non c’era più posto nemmeno sul ponte.

Ifigenia si immusonì e cominciò a protestare dicendo che tutto si complicava siccome  a Brindisi avremmo dovuto trovare due treni: uno lei per Bologna, un altro io per Pesaro. Se ne poteva prendere uno solo con fermata a Pesaro ma la sua era una  dichiarazione di guerra: il  correlativo geografico-ferroviario del nostro discidium” pensai. Difatti tutti i treni fanno una sosta a Pesaro, breve ma lascia il temo di scendere. Forse Ifigenia temeva che le avrei proposto di fermarsi per qualche giorno sul mare  ma non ci pensavo nemmeno. Lei piuttosto sperava di trovare posta con offerte succose a Bologna.   

Questo pensai ma non lo dissi. Volli sdrammatizzare, facendo il buffone dionisiaco, sicché la guardai in faccia citando Francesco Redi

Su voghiamo,
       navighiamo,
       navighiamo infino a Brindisi:
       Arianna, brindis, brindisi.
       Passavoga, arranca, arranca,
        ché la ciurma non si stanca,
       anzi lieta si rinfranca
       quando arranca inverso Brindisi:
       Arianna, brindis, brindisi.
       E se a te brindisi io fo,
        perché a me faccia il buon pro,
       Ariannuccia vaguccia, belluccia,
       cantami un poco, e ricantami tu
       sulla mandola la cuccurucù,
       la cuccurucù
       la cuccurucù,
       sulla mandola la cuccurucù.

“Sei il cialtrone di sempre”, fece lei. Non le servivo più. Poteva buttarmi via.

Poi prendemmo una stanza, girammo per la città, evitando di rispondere all’ambiguo sorriso e agli inviti maliziosi dei prosseneti in agguato sulle soglie delle locande, quindi cenammo dove ci parve meglio e andammo a dormire senza altra storia.

 

Bologna 31 ottobre  2025 ore 20, 46  

giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1634842

Oggi349

Ieri466

Questo mese10070

Il mese scorso9470

 

Il potere crudele e pure canzonatorio di Nerone. Agrippina intriga per gestire il figlio e il potere ma fallisce.


 

Breve excursus sul male del potere (Seneca).

Il regnum è un fallax bonum del quale non c'è da gioire: copre grande quantità di mali sotto un aspetto seducente:" Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis"(Seneca, Oedipus,vv.7-8), qualcuno gode del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto una facciata così lusinghiera!. Sono parole di Edipo che dà inizio al dramma descrivendo l'infuriare della pestilenza.

 

  Il regno è quasi sempre una tirannide: un bene scivoloso, un potere claudicante, in particolare quello di Edipo lo zoppo, e dei suoi figli.

Nelle Phoenissae  di Seneca,  Giocasta chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al vincitore non è desiderabile: anzi  Eteocle pagherà il fio del successo a caro prezzo, con il solo fatto di essere re:"poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).

 

Manzoni riprende il tovpo" nell' Adelchi  quando il protagonista ferito consola il padre sconfitto: “Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto..” (V, 8). E' il diritto del più forte.

 

Torniamo a Seneca Il secondo coro del Thyestes formato da vecchi micenei contrappone al tiranno crudele e avido un'immagine della regalità interiore: “rex est qui posuit metus/et diri mala pectoris,/quem non ambitio impotens/et numquam stabilis favor/vulgi praecipitis movet,/non quidquid fodit Occidens,/aut unda Tagus aurea/claro devehit alveo” (vv. 348-355), è re chi ha deposto le paure e le cattive passioni dell'animo crudele, quello che l'ambizione sfrenata non tocca e l'instabile favore del volgo precipitoso, né tutto quello che l'Occidente scava, o il Tago trasporta nel letto lucente con l'onda ricca d'oro. La regalità interiore non ha paura e non è avida.

 

 

Il quotidano “la Repubblica” del 17 gennaio del 2006 recava il titolo in prima pagina “Solo 11 le donne al potere”; ebbene una mente non fuorviata dai luoghi comuni attualmente di moda può pensare che questa rara presenza potrebbe anche fare onore ai miliardi di donne, e di uomini, che non sono al potere.

 

 

 

 

Torniamo a Cassio Dione. Nerone cominciò a scatenarsi: dava sfogo alla sua impudicizia, frequentava le taverne (kaphlei'a, 61, 8, popīnae). La zona era quella di ponte Milvio, malfamato centro di vizio. Ne derivavano risse e aggressioni. Anche nei teatri  Nerone fomentava i disordini aizzando la canaglia. Questi passatempi risalgono agli anni 55-58, dai 18 ai 21 di Nerone. I ragazzi del resto sono ragazzi, e Cicerone con questo argomento attenuava la negatività delle intemperanze di Celio Rufo che un secolo prima bazzicava le prostitute, ossia Clodia e il suo ambiente.

Sarebbe valde severus , di un rigore eccessivo, chi vietasse alla gioventù questo spasso ammesso anche dalla severità degli antenati  (Pro Caelio, 20, 48).

 

 Nerone tolse la scorta alla madre. Circolavano voci sulla depravazione e la dissolutezza di Agrippina e Nerone. Di notte l’imperatore girava  a far baldorie per tutta la città di nascosto: kruvfa de; nuvktwr ejkwvmaze kata; pa'san thn povlin (61, 9), aggredendo le donne e abusando dei fanciulli e depredando, e a volte uccidendo quelli che incontrava per strada.

Giovenale menziona le aggressioni notturne tra i mali della città.

 Nerone si camuffava cambiando spesso parrucca ma veniva individuato per la sfrontatezza. Entrava anche nelle case, ma una volta un senatore, Giulio Montano, difendendo la propria moglie, lo picchiò. Nerone lo avrebbe ignorato ma Montano gli scrisse una lettera di scuse. Allora Nerone disse: “oujkou'n h[/dei Nevrwna tuvptwn  (61), allora sapeva che picchiava Nerone. Quindi Montano si uccise.

 

Intanto Agrippina si dimostrava affettuosa con Ottavia e cercava di accumulare denaro quasi in subsidium (Tacito, Annales, XIII, 18), come per trovarvi sostegno alla propria potenza. Ma Nerone le toglieva le scorte e la teneva lontano, isolandola. Siamo nel 55-56.

Nihil rerum mortalium tam instabile ac fluxum est quam fama potentiae non suā vi nixae (Tacito, Annales, XIII, 19) la reputazione di un potere che non è basato sulla forza è instabile e caduca.

Statim relictum Agrippinae limen. Non la visitava più nessuno praeter paucas feminas amore an odio incertas, non si sa se per affetto oppure odio.  Tra queste c’era  Giunia Silana, la moglie ripudiata da Gaio Silio, l’amante di Messalina.

Silana era una donna insignis genere, forma, lascivia et Agrippinae diu percara. In seguito Silana odiava l’imperatrice madre poiché questa diceva che era impudicam et vergentem annis, una svergognata al tramonto, un fiore di ieri.

Agrippina era del 15 d. C.

Silana dunque accusa Agrippina, attraverso il mimo Paride, di voler esautorare Nerone.

Tacito afferma che circolavano varie versioni sulla posizione di Burro che Agrippina aveva fatto salire in potenza. Fabio Rustico afferma che Burro conservò la sua carica ope Senecae (13, 20), per intercessione di Seneca; Plinio e Cluvio riferiscono che Nerone non dubitò della lealtà di Burro.

Fabio Rustico è una fonte di Tacito sempre malevola verso Nerone.

Adossava a Nerone la colpa dell’incesto con Agrippina.

 

Invece Cluvio Rufo dà la colpa della nova libido ad Agrippina.

Questa si era abbassata fino a un Pallante, sposata con lo zio et exercita ad omne flagitium (A, XIV, 2), aveva fatto il callo ad ogni turpitudine.

 Era un autorevole senatore amico di Nerone. E’ la fonte meno ostile.

 

Un’altra fonte contemporarea all’imperatore e perduta è Plinio il Vecchio: scrisse una Historia a fine Aufidii Bassi che copriva gli anni di Nerone. Era ostile a Nerone quasi quanto Fabio Rustico.

Dichiarazione metodologica di Tacito: “Nos consensum auctorum secuturi, quae diversa prodiderint sub nominibus ipsorum trademus” (Annales, XIII, 20) seguiremo l’opinione degli autori che si trivano d’accordo, quando le versioni sono discordanti le presenteremo  sotto il nome degli autori. Non diversamente premettono Curzio Rufo e Arriano

Nerone voleva uccidere la madre, ma Burro per il momento lo distolse.

Burro e Seneca si recano da Agrippina perché si giustifichi dalle accuse di Silvana che accusava l’imperatrice madre di volere prendere il posto del figlio, e questa ferociae memor (XIII, 21) memore della propria fierezza dice che Silana, donna senza figli, ignorava l’amore materno: neque enim proinde a parentibus liberi quam ab impudica adultĕri mutantur, i figli non vengono mutati dai genitori tanto quanto gli adulteri da una donna impudìca.

I presenti si commossero e Silana fu esiliata. Il mimo Paride invece  per il momento fu risparmiato in quanto necessario alle dissolutezze del principe: solitus aliōquin id temporis luxus principis intendere (A. XIII, 20), solito del resto in quei momenti (per vinolentiam, durante i bagordi), stimolare la lussuria del principe.

L’imperatore lo farà uccidere solo nel 66, forse perché non era riuscito a imparare la danza (ojrcei'sqai) da lui (63, 18).

Nell’anno 56 c’era pace all’esterno, dissolutezza e disordine a Roma: otium foris, foeda domi lascivia Annales, XIII, 25). Nerone veste servili pererrabat itinera urbis et lupanaria et deverticula  percorreva le vie della città lupanari e crocicchi  travestito da schiavo e in compagnia di gentaglia rapinava botteghe e aggrediva passanti i quali a volte però riuscivano a segnarlo difendendosi.

Svetonio dice che “post crepusculum adrepto pilĕo vel galēro, si metteva un berretto o una calotta andava per le bettole, girava per i quartieri allegramente non senza fare danni, popīnas ibat circumque vicos vagabatur ludibundus, nec sine pernicie tamen” (26). Picchiava i passanti e li gettava nelle cloache, scassinava e depredava le botteghe. Poi vendeva il bottino in un mercatino che aveva organizzato in casa. Protraeva i banchetti da mezzogiorno a mezzanotte servito da prostitute e flautiste.

Cassio Dione racconta che dopo l’uccisione di Britannico, Nerone ejkfronei'n a[ntikru~ h[rxato (61, 7), cominciò a essere del tutto pazzo. Ottenne anche grande derisione gevlwta ijscuro;n parevscen, poiché puniva gli altri per delitti che lui stesso compiva.  

Tacito afferma Manebat nihilo minus quaedam imago rei publicae (Annales, XIII, 28), tuttavia rimaneva una parvenza di Stato. Rimanevano i questori a capo dell’erario. Corbulone non voleva abbandonare l’Armenia, non gli sembrava degno della grandezza di Roma rinunciare alle conquiste di Lucullo e di Pompeo. Dopo la sconfitta subita da Mitridate (62 a. C., ad opera di Pompeo), la scelta del re dell’Armenia spettava a Roma. Ma i soldati assegnati a Corbulone erano nitidi et quaestuosi (13, 35), eleganti e avidi di guadagno.

 

Bologna  31 ottobre 2024 ore 20, 31 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1634838

Today345

Yesterday466

This month10066

Last month9470

 

 

 

 

 

 

 

 

Il film di Paolo Sorrentino Parthenope. Seconda riflessione: la libertà si associa spesso alla solitudine.


 

Voglio tornare a vedere questo film che mi ha colpito.

Certamente perché la protagonista è un’attrice brava assai e pure una  giovane donna molto bella e fine: Celeste Dalla Porta. Ma soprattutto perché nel personaggio di Parthenope ho riconosciuto lo stile e il modo di vivere della più libera e pregevole tra le mie compagne: l’augusta Helena di Iväskylä.

Nell’inserto U del giornale “la Repubblica” di oggi leggo queste parole del regista intervistato da Malcom Pagani che gli domanda: “ Un film per raccontare cosa?”

Sorrentino risponde: “Un film sull’amore per la libertà. Un film su un’eroina che fosse davvero completamente, assolutamente libera. E che avendo a che fare con questa libertà ne scoprisse anche il contrappasso: la solitudine”. In questa eroina ho riconosciuto anche me stesso.

La solitudine come contrappasso dunque.

Di quale colpa: di quale pathos fatto provare ad altri?

Pathos non significa solo danno e dolore ma è  anche, più generalmente, ciò che si prova.

Parhenope, come Helena e come me, ha fatto molte esperienze di rapporti umani di vario genere e da ognuno, da ogni pathos ha ricavato mathos, comprensione, intelligenza. E’ quanto penso anche io delle mie esperienze. La solitudine nella quale morirò, sarà l’esito logico e naturale di questa vita che ho impiegato per capire, imparare, educare. La concluderò sorridendo come Parthenope interpretata quale anziana da Stefania Sandrelli.

Sorrentino con questo film ha colto un aspetto dell’animo umano diffuso tra le donne eroiche appunto e tra gli uomini altrettanto speciali e l’ha raccontato con lo stile dell’universale. La sala era gemita di giovani.

La Sandrelli ha la mia età, dunque il film racconta vicende vissute da personaggi della mia generazione. Il fatto che piace ai giovani di oggi conferma il mio giudizio positivo di universalità di questo ottimo lavoro.

Una sola cosa mi è dispiaciuta: il fatto che non ho decifrato tutte le parole per via del parlare frettoloso di alcuni personaggi e dell’accento locale troppo marcato.

Bologna 31 ottobre 2024 ore 17, 04 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1634801

Oggi308

Ieri466

Questo mese10029

Il mese scorso9470

Viaggio in Grecia 1981 XIV. La notte di Galaxidion.


 

Al tramonto ci fermammo in un borgo del golfo di Crisa. Galaxidion si chiama. Prendemmo una camera con letto matrimoniale e cenammo. La giornata ventosa e tormentata era finita in una notte calma, dolce e serena di ultima estate. Dopo cena andammo a sederci sulla riva del mare. Si vedevano cadere le stelle. Ifigenia temeva che il firmamento ne restasse sguarnito. Invece era sempre più ricco di fuochi. “Vedi tesoro-dissi-donando si acquista”. Anche il golfo era pieno di luci. Sul mare si muovevano lenti i piccoli lumi delle barche uscite a pescare. Un gradino più sopra si vedevano le lampadine di Itea, più in alto quelle di Crisa, poi la luce santa di Delfi, la meta già raggiunta del nostro pellegrinaggio devoto. Due fari lontani, appena visibili, segnavano, forse, la duplice cima del sacro Parnaso; sopra c’era solo il cielo stellato. La via Lattea spiccava nel mezzo. Ifigenia ridendo disse che Galaxidion si chiama così per la Galassia che là si vede brillare come in nessun altro luogo. Bellina, bambina, rideva. Brillava, brillava anche lei. Mi fece pensare al nostro primo incontro quando la carne nitida e profumata le lievitava addosso come una pasta preziosa. Eravamo contenti. Finalmente potevamo permetterci di stare in pace, di essere quasi felici. Da un locale notturno venivano le note di un valzer di Strauss, Storie del bosco viennese; dalla campagna alle spalle il tremulo verso perpetuo dei grilli. Tutto questo non può essere soltanto caso e materia, dicemmo. Ci venne in mente la morte del lunatico re di Baviera amato da noi per la sua volontà di Bellezza e di Arte contro il mondo, sconciato, già allora, da industrie, commerci e cannoni. Ci sovvenne il nostro pellegrinaggio pasquale ai castelli teatrali del lunatico re scampato al fuoco di Sodoma ma non all’acqua del cupo lago increspato dove un cigno segnava di bianco il punto della morte per acqua che Ludwig  aveva preferito alla prigionia. “In questi momenti di fuga, di memorie, di sogni, siamo due amanti felici-dissi-ma sulla vita oramai abbiamo opinioni diverse. E vogliamo vivere in modo diverso. Tu vuoi privilegiare l’istinto; io agli impulsi caotici preferisco anteporre un logos appassionato e commosso, ma anche ordinato e diretto a una meta precisa”. Ifigenia mi corresse: “Io privilegio l’intuizione geniale tesoro, non l’istinto bestiale. “Le intuizioni senza concetti sono cieche-pensai- e la bellezza senza intelligenza e volontà di bene può fare del male”. Eravamo contenti che la notte stellata dopo le fatiche diurni ci avesse resi più tolleranti, più umani. A un tratto Ifigenia volle andare a dormire: la lunga lotta col vento implacabile me l’aveva stremata. Bellina. L’accompagnai, ma davanti alla camera le chiesi il permesso di girare da solo nella notte odorosa. Volevo osservare  ancora le luci che stavano sotto e sopra di me. Sentivo che brillavano  anche dentro di me. Mi piaceva l’odore dell’aria profumata dai pini resinosi e resa salmastra dall’alitare del mare.

“ Sì-mi dicevo- c’è piacere, bellezza e giustizia nel cosmo. C’è un creatore. Il re popolare e demente nella fredda, piovosa Baviera, nella sua reclusione dal mondo reale, dentro quei castelli teatrali, circondato da servi avidi e perfidi , l’aveva perduto di vista. Non voglio forzare questa giovane donna a diventare diversa da quello che è, chiunque ella sia. Né posso impedirle di fare i suoi sbagli, se proprio ci tiene. Però mi piacerebbe vederla felice. Potrà esserlo soltanto diventando se stessa. Adesso lei, non protetta dal vecchio istrione ingrato, dovrà cercare da sola la strada che la conduca alla sua meta. Spero che riesca a percorrerla tutta, senza fermarsi né deviare, anche se dovesse incontrarvi un fiero vento contrario”. Tornai alla camera. Entrai senza fare rumore. Ma Ifigenia era sveglia: mi aspettava con il volto illuminato dagli occhi ridenti . Un’espressione che non le vedevo da tempo. Facemmo l’amore più volte, con piacere e con gioia.  Parlammo ancora un poco : senza alcun astio. Eravamo entrambi contenti di questo accordo dopo mesi di rinfacciamenti reciproci. Eravamo liberi entrambi di fare l’amore tra noi o con chi volevamo, di farlo o di non farlo.

Quando Ifigenia prese sonno, tornai a guardare le stelle.    “Sì - mi dicevo - c’è bellezza, ordine, giustizia nell’Universo. C’è un Creatore, un demiurgo artista di somma sapienza. Chiunque egli sia, ne sa più di me e io mi lascio guidare osservando le stelle rette da Lui

Correggo le circolazioni della mia testa uniformandole ai movimenti di questo cielo ordinato.

Il re popolare e pazzo nel suo eremitaggio dentro i castelli intorno allo Starbergersee dove morì affogato in cinquanta centimetri d’acqua, l’aveva perso di vista.

Bologna  31 settembre  2024 ore  16, 08  giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1634779

Oggi286

Ieri466

Questo mese10007 :  "Hoc erat in votis"

Il mese scorso9470


 

Nerone. Avvelenamento di Britannico. I segreti del potere arcana imperii.


 

Vediamo Tacito . Alla fine del 55 i Parti entrarono in Armenia.

Il re dei Parti Vologese aveva insediato come re dell’Armenia suo fratello Tiridate. A Roma, una città sermonum avida (Annales, XIII, 6), si chiedevano come avrebbe potuto un ragazzo di diciassette anni suscipere eam molem aut propulsare, tanto più che si lasciava guidare a femina e da due pedagoghi. Però Nerone poteva scegliere un buon generale. In effetti fu inviato l’ottimo comandante Domizio Corbulone. Nerone cominciò a emanciparsi dalla madre grazie a una liberta cui vocabulum Acte fuit (XIII, 12). Nerone era attratto da questa muliercula e invece, ab Octavia abhorrebat provava ripugnanza per Ottavia, nobili quidem et probitatis spectatae,  fato quodam an quia praevălent inlicita.

 Ad Agrippina Acte non piaceva, anzi muliebriter fremere (13, 13), donnescamente fremeva. Ma quantōque foediora exprobrabat acrius accendere,  accendeva tanto più il figlio, quanto più gli rimproverava l’obbrobrio di amare una serva.

Nerone si affida a Seneca. Allora Agrippina si dà alle blandizie, anche fisiche, nei confronti di Nerone, ma gli amici metuebant orabantque cavēre insidias mulieris semper atrocis, tum et falsae. Poi Nerone toglie a Pallante, partigiano e amante di Agrippina, la cura rerum l’amministrazione delle rendite, ossia l’arbitrium regni che Claudio gli aveva assegnato. Era il ministro a rationibus. Callisto e Polibio a libellis.

Allora Agrippina minaccia Nerone dicendo che lei, figlia del grande Germanico, sarebbe andata con Britannico in castra: Nerone aveva come alleati debilis Burrus…trunca scilicet manu, e Seneca un exul, professoriā linguā (13, 14), Burro, un minorato, dalla mano mozza, e un ex esiliato dal linguaggio pedante. Siamo nel 55. Uccisione di Britannico.

 Dicendo queste parole Agrippina alzava le mani e lanciava ingiurie. Allora Nerone attiva la famigerata Locusta già damnata veneficii. (Significa “cavalletta” e “aragosta”.) A corte un servo  assaggia una bevanda caldissima e innocua, poi la passa a  Britannico il quale la rifiuta.


 

 La bevanda bollente viene allungata e raffreddata con del veleno. Britannico rimane senza voce né respiro e Nerone dice che è epilessia. Ma tutti capiscono e si spaventano. Tra il popolo molti giudicarono il delitto con indulgenza: “plerique etiam hominum ignoscebant antiquas fratrum discordias et insociabile regnum aestimantes (13, 17).

E’ uno degli arcana imperii.

Un segreto del Palazzo simile a questo, (arcana domus) è rivelato dallo storiografo all'inizio degli Annales, quando Tiberio sta succedendo ad Augusto (14 d. C.) :"eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur " (I, 6), questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene se si rendono a uno solo.

 

Si pensi a Eteocle e Polinice: "sociisque comes discordia regnis" (Stazio, Tebaide, I, 130), la discordia compagna dei regni condivisi.

Alla morte di Nerone  cui succedette Galba poi Otone quidi Vitellio e infine Vespasiano si rivelò un altro arcanum: "posse principem alibi quam Romae fieri " (Historiae , I, 4), l'imperatore poteva essere creato anche fuori da Roma. Poco dopo a Vespasiano, vicino allo scontro finale con Vitellio, si svelò un' altra norma ancora  :"imperium cupientibus nihil medium inter summa aut praecipitia" (Historiae, II, 74), per chi aspira al potere non c'è via di mezzo tra la vetta e il precipizio.  

Bologna 31 ottobre 2024 ore 12, 04 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

 

Sempre1634728

Oggi235

Ieri466

Questo mese9956

Il mese scorso9470

 

La povertà raccomandata da Papa Francesco. La pazzia del poeta.


Papa Francesco a L’Avana. Gesù si trova nella povertà e nella misericordia. Platone, Omero e Sofocle.

Papa Francesco nel discorso tenuto il 21 settembre 2015 a L’Avana ha detto: “La ricchezza rende poveri…Dio ha voluto la Chiesa povera come era povera Maria…amate la povertà come una madre…servire gli ultimi vuol dire servire Gesù. Gesù si trova nella povertà e nella misericordia.”

 

Platone nelle Leggi scrive che  con molte esportazioni la città si riempirebbe di monete d’oro e d’argento “cosa di cui non c’è per una polis male più grande, “ou| mei`zon kako;n povlei oujde;n a]n givgnoito” (705b).

 

Per quanto riguarda la misericordia ricordo ancora quanto dice Teseo a Edipo nell’Edipo a Colono (v. 556 e sgg,) e aggiungo quello che dicono Nausicaa ed Eumeo  a Odisseo malridotto

La principessa dei Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole  aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e   dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e orribile di Odisseo  : “  to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro

  Le stesse parole (Odissea, XIV, 57-59)  dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.

 Bisognerebbe che Salvini e la gente come lui leggessero i classici.

 

Galimberti, Platone e il suo elogio della follia.

Nell’inserto D di “la Repubblica” del 26 settembre 2015, Galimberti risponde a un paio di lettere e  cita Platone a proposito della follia (Un po’ di follia fa bene anche a noi, p. 298). Sentiamolo: “in questa fuoriuscita dall’ordine razionale nasce il poetico. Per questo Heidegger dice: “I poeti sono i più arrischianti”. E Platone nel Fedro (245a) scrive: “Chi senza la follia delle Muse si avvicina alla poesia convinto di averne conquistato la tecnica, inutile è a lui la sua arte, perché, di fronte alla poesia dei folli, la poesia del saggio ottenebrata scompare”. La maniva Mousw`n è la terza elencata da Platone tra quelle che ci vengono date qeiva/ dovsei (Fedro, 244a) per concessione divina. Tali follie sono quattro e da loro ci derivano i beni più grandi   ta; mevgista tw`n ajgaqw`n hJmi`n. La prima è quella delle profetesse, come la Pizia h{ ejn Delfoi`~ profh`ti~, le sacerdotesse di Dodona, e la Sibilla[1]. Gli antichi che hanno coniato i nomi chiamavano manikhvn l’arte bellissima della mantica. Infatti la consideravano cosa bella quando sorge per sorte divina. Poi i moderni ajpeirokavlw~ (244b), per ignoranza del bello, hanno introdotto una tau (to; tau ejpembavllonte~), e l’hanno chiamata mantikhvn. Gli antichi sapevano bene che la manìa proveniente da dio è migliore dell’assennatezza che viene dagli uomini.

La seconda manìa benefica è quella che attraverso  sacerdoti ottiene purificazioni, iniziazioni e libera i popoli da malattie e pene derivate da antiche colpe

La terza mania di provenienza divina, si è detto sopra, è quella dei poeti, la quarta è quella degli innamorati che ci viene data dagli dèi ejp j eujtuciva/ th`/ megivsth (245c) per nostra grandissima fortuna.

Sentiamo sulla maniva dei poeti  anche Leopardi

“Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l’uomo infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale disordine, l’uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilm. Corporale), e quasi di ubbriachezza? Pindaro ne può essere un esempio: ed anche alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veram. Che di rado avviene, all’impeto di una viva fantasia e sentimento” ( Leopardi, Zibaldone, 1856).

 

Bologna 31 ottobre 2024 ore 11, 29 giovanni ghiselli

Sempre1634687

Oggi194

Ieri466

Questo mese9915

Il mese scorso9470

Conto di superare i 10 mila lettoi in questo mese di ottobre. Hoc est in votis.

 

 

 



[1] La quale secondo Eraclito parla appunto mainomevnw/ stovmati (fr. 119D.)

 

Viaggio in Grecia agosto 1981 XIV La pedalata contro vento. Il bagno nell’acqua del golfo.

Nel pomeriggio partimmo da Delfi scendendo a Itea, poi seguitammo  ripercorrendo all’incontrario la via dell’andata. Ma il metodo era necessario cambiarlo siccome la direzione del vento non era mutata, quindi soffiava con forza contro la nostra fatica. Per pedalare contro i soffi furenti che spingono indietro non bastano gambe robuste e polmoni  capaci: testa ci vuole, cuore e tenacia.

E’ come fare centro con donne che lì per lì non ti gradiscono. Devi  convincerle  a trovarti gradevole prima, poi bello, poi geniale e meraviglioso. Non è facile ma nemmeno impossibile. Con Kaisa funzionai bene assai presto, con Päivi subito, appena mi presentai; Elena invece, la migliore del mazzo, l’Augusta,  quando la avvicinai la sera della conoscenza mi concesse solo un ballo degnandomi di pochi sguardi e non volle  replicare neanche una volta il breve giro di pista. La salutai, temevo per sempre, dicendole “Addio, se tu ti contenti”.

Ma due giorni più tardi riuscìi a farmi ascoltare dicendo quanto sapevo che poteva piacere a una donna bella e fine e dopo un altro paio di uscite la giovane donna, la domina mia, disse che stava imparando ad amarmi. Ma questo l’ho già raccontato.

Pedalando contro vento dunque bisogna trovare la posizione raccolta da opporre alle folate incostanti, e il ritmo regolare, continuo da mantenere cambiando il rapporto con il variare dei soffi e delle pendenze stradali.

La bicicletta è una scuola di vita. Cercavo di chiarirlo a Ifigenia la quale però era refrattaria a imparare siccome obbediva a tutti gli impulsi fuorvianti: si lasciava deviare dalla linea diritta dietro di me che cercavo di tutelarla dal vento, e talora, se le spinte regressive aumentavano, le assecondava fermandosi. Poi riprendeva a pedalare scomposta dispendendo energie come Iò la ragazza di Eschilo, trasformata in  mucca pazza e assillata da un tafàno assetato di sangue.

Ifigenia imprecava anche contro di me che l’avevo portata in tanta malora, quindi oscillava, sbandava, sbuffava. Oppure annunciava visione quasi fosse una santa in estasi: al termine ogni strada sterrata e scoscesa che portava sulla riva sassosa del mare, l’allucinata  vedeva un inesistente traghetto diretto verso un  villaggio dipinto dalla sua mente sull’altra costa del golfo. Voleva imboccare la ripida via che scendeva a precipizio sul mare per porre termine alla sua folle fatica.  Dovevo contraddirla aspramente o dissuaderla con dolci parole sprecando fiato che mi serviva anche per darle qualche spinta in avanti quando  la strada si impennava repente.

Pensavo:”pedala come affronta la vita. Con il vento a favore procede benino, abbastanza spedita; con il vento contrario perde forza e coraggio, si ferma o scivola indietro.

Adesso ha bisogno di buoni successi, altrimenti regredisce e si guasta del tutto”.

Provavo del risentimento per quella debolezza che non si lasciava aiutare.

Ma quando ottenne una sosta per un bagno che fece in mutande, e uscì dall’abbraccio marino con le forme perfette stillanti acqua salata, “Me beato”-gridai-per il regalo che mi hai fatto del tuo tempo migliore, un dono venuto da te creatura celeste, a rischiararmi la vita, un munus che presto diventerà il compito di illuminare la strada del bene a quanti potrò educare parlando e scrivendo Io sono contento!”.

Ti domando lettore: era matta lei sola?

Tutti e due cercavamo sempre occasioni per fare delle scene. Questa era la nostra intesa, la chiave che apriva le porte del sesso, talora perfino quelle dell’amore.

In questo eravamo geniali entrambi.

Bologna  31 ottobre  2024 ore 11 e 11 giovanni ghiselli

 

p. s

Statistiche del blog

All time1634674

Today181

Yesterday466

This month9902

Last month9470

 

 

 

Viaggio in Grecia agosto 1981 XIII parte. La preghiera sull’ombelico del mondo.

 

La mattina del 22 agosto 1981 salimmo sul santuario scosceso a pregare.

Camminando per l’erto pendio dall’ingresso alla cima rivedemmo  i templi, il teatro e lo stadio.

Ifigenia era attenta e partecipe.

Disse: “gianni, preghiamo per i beni supremi : chiediamo di mantenere vivo il nostro spirito artistico e mistico respirando questa atmosfera sacra e venerando devotamente il nume presente: qui vive Apollo.

 Quindi preghiamo perché ci dia la forza di creare bellezza guardando il teatro, poi, percorrendo lo stadio, deprechiamo la decadenza inflitta dal tempo, il canide affamato che ci azzanna e divora facendoci a pezzi.”.

Ricordi lettore? Eravamo già stati nel luogo sacro l’anno prima con la bianca Volkswagen, dopo una Debrecen inqieta.

Allora pregammo per il nostro amore già malandato. Apollo non volle ascoltarci. Altro preparava per noi. Il nostro rapporto andato a male non poteva salvarlo nemmeno Lui. Era diventato empio.

Questa seconda volta pregammo per l’arte.

Non ho chiesto la grazia soltanto per me: voglio spingere quanti mi leggono al bello morale che i miei maestri greci, intendentissimi della bellezza, non distinguevano da quello estetico, anzi li riunivano in una parola: kalokajgaqiva. 

Io miro a un’arte che sappia educare a questo valore supremo. La bellezza senza bontà trasmette la noia dell’incompiuto. Come molte pagine del vate di Pescara, per esempio.

Anche l’amore senza morale diventa noioso.

Mirando al piacere nell’amore io ho centrato il dolore perché il bersaglio era bello senza essere buono. Ho voluto compensare il difetto con una didattica  e una scrittura etiche oltre che estetiche.

Un’arte della parola capace di squarciare il velo delle apparenze fallaci, dei luoghi comuni ingannevoli, delle lusinghe adescatrici, degli orpelli volgari, per raggiungere il bello morale, la meta che sola dà una gioia sicura che non invecchia, non declina, non precipita nell’orrido abisso  dove  si annientano tutte le parole e le immagini false, ma continua a percorrere eternamente la pianura della Realtà muovendosi  con  un volto pieno di luce, con membra armoniose, lisce e compatte.

 

Bologna  31 ottobre  2024 ore 10, 50  giovanni ghiselli

 

 

 

Viaggio in Grecia agosto 1981. XII parte La notte di Delfi. La paura di morire. La preghiera.

Andammo a mangiare la solita insalata greca più che meritata perfino con un poco di pane, poi entrammo nella stanza della casa sulla strada di Apollo. La strada della salvezza, speravo.

“Chi è per strada, chi è per strada, chi?” ricordai [1]

Eravamo noi due per strada.

Quando ci fummo lavati e distesi  ci accordammo che non si poteva continuare come s’era fatto durante la traversata marina. Dovevamo iniziare almeno una tregua con un po’ di concordia. Invocammo l’ojmovnoia anche in greco.

Si era d’accordo che andare a pregare sul sacrosanto ombelico del mondo volendoci male, cercando di farci del male a vicenda, sarebbe stata una preghiera sacrilega, un abominio nefando. Quindi, per sospendere le ostilità almeno nel culmine del pellegrinaggio, ci promettemmo a vicenda che per qualche ora avremmo sospeso ogni giudizio su cause, scopi, colpe, discolpe e avremmo bandito ogni discussione foriera di lite. Portammo le brande sulla terrazza che rispondeva al mare dalla parte occidentale e al santuario da quella  settentrionale. Recitammo una preghiera piccola, poi quando cominciava a udirsi il verso dei grilli che  trema, facemmo l’amore. Io provai un piacere non schietto dopo tante cagnare; lei non lo so.

Dopo andammo a passeggiare sotto le rupi della montagna  che era illuminata da una splendida luna e biancheggiava come se fosse innevata.

Mi vennero in mente questi versi di Sofocle tradotti poco tempo prima e glieli recitai

"Chi è quello di cui la profetica rupe di Delfi disse-ha compiuto infamie su infamie con mani sporche di strage?/ E' tempo che costui più vigorosamente/ di tempestosi cavalli/ muova il piede in fuga:/ armato infatti di fuoco e di fulmini/contro di lui si avventa il figlio di Zeus,/e terribili lo accompagnano/ le Chere che non sbagliano un colpo./Ha brillato apparsa or/ora dal nevoso/Parnaso, la parola di/rintracciare dappertutto l'uomo oscuro” (Edipo re, 463-476).

Chi è quell’uomo? Mi domandai. Sono io?

E’ il vecchio attore gradasso della notte brava di Ifigenia?

E’ qualcuno? E’ nessuno?

Andammo a dormire senza che mi fossi data risposta.

Durante la notte mi svegliai con l’angoscia di non rivedere la santa faccia del sole. Temevo che la mia testa fosse stata colpita a morte durante le due faticose salite e la precipitosa discesa del pomeriggio infuocato. Il cuore sembrava prossimo a non battere più. Temevo la pena di morte per avere fatto l’amore con la donna che mi piaceva ma non stimavo, né amavo. Dormiva ignara sull’altro lato del letto nella stanza affocata dove eravamo rientrati non so più perché.

Potevo morire spregevolmente per avere rinnegato la mia identità di indagatore di me stesso e del vero. Mi alzai dal letto fradicio di sudore  e tornai sulla terrazza da dove potevo vedere il mare di Itea, le rupi delfiche, e il cielo. Una barca illuminata dondolava nell’insenatura come un bambino sul seno della sua mamma.

La parola greca kovlpo~ significa seno di donna e golfo di mare. Rifugi e luoghi di salvezza per gli uomini di mare e per i bambini.

Raccolsi tutte le forze residue e rivolsi queste parole a Febo: “Signore di Delfi, ti prego fammi campare ancora un poco e dammi la forza di vivere nobilmente, come devo vivere io, se non è destino che lasci la vita in questo momento. Vorrei educare ancora i miei allievi al rispetto del prossimo e all’amore della cultura come della natura. Voglio scrivere un capolavoro per insegnare alle genti il bello morale, voglio gioire di ogni giorno che mi resta da vivere come il tempo di una festa solenne celebrata da te”.

Dopo tale orazion picciola ma molto sentita tornai nella stanza e nel letto non più tanto bagnato. L’amante immeritata, quindi perduta dormiva. Apollo fece dormire anche me. Il nume che giustifica la vita con la bellezza aveva salvato la mia.

 

Bologna  31 ottobre 2024, ore 10, 38 giovanni ghiselli

 



[1] Cfr. Euripide, Baccanti, v. 68: “tiv" oJdw`/, tiv" oJdw`/  ti";