domenica 6 ottobre 2024

Ifigenia CLVII Il fatidico monte delle formiche. Il tuono e il lampo della vocazione.


 

La pièce  che piaceva a Ifigenia mi sollevò e aprì la strada al romanzo che state leggendo. Fino al giorno del giugno successivo in cui la mia Musa mi lasciò per un attore famoso, tuttavia non iniziai quest’opera grande e, credo, meravigliosa: una storia d’amore e pure di vita politica e sociale, di educazione nella scuola e non solo, insomma di fatti, pensieri e sentimenti umani dove ciascun lettore può riconoscere qualche parte di se stesso e ritrovare tante esperienze sue.

Ora so che quando si comincia a scrivere un romanzo epico, cercando di renderlo storico e universale oltre che personale, razionale, preciso e nello stesso tempo meraviglioso con una sinergia di logos e mythos,  predisponendosi ad anni di sacrifici, di rinunce a ogni piacere non funzionale all’opera intrapresa, come si sente la necessità di questo concepimento e parto, si ode un tuono e si vede un lampo che chiamano a tale compito, quali segni del cielo, e non è possibile sottrarsi a questa chiamata imperiosa alla creazione di un’opera che richiede cure assidue ogni giorno  come per un figlio bisognoso di ogni cosa, una creatura che si fa pensare sempre come un’amante amata, esige tutta l’attenzione, le energie necessarie alla sua crescita; si fa sentire anche nel letto quando non riusciamo a prendere sonno e quando domiamo.

Perfino quando facciamo l’amore senza lasciarci distrarre troppo dalla donna di turno.

Del resto l’entusiasmo di Ifigenia per quanto avevo scritto e per me non durò a lungo. Verso la fine di ottobre notai un calo di interesse nei miei confronti.

Il primo novembre, secondo anniversario del nostro inizio amoroso, scalammo insieme parte della dura salita che si inerpica su per il monte cosiddetto delle formiche. L’anno precedente, alla prima ricorrenza del natale erotico, vi eravamo saliti chiusi nell’automobile: allora le dissi che se avesse raggiunto quella cima in bicicletta, l’avrei sposata. In quel tempo azzardai tale promessa convinto che non ce l’avrebbe fatta.

A questo punto invece temevo di essere lasciato e le chiesi di tentare la prova. Segni e contrassegni, prove e controprove: a ottanta anni vivo ancora così. Lo scorso agosto ho affrontato il giro del Peloponneso con il Taigeto. Pedalatore sempre più annoso, fino a quando non ne morirò. “Tu non cedere mai”, mi dico sempre.

Ifigenia, non più tanto interessata a me, disse che non ce l’avrebbe fatta. Invece scalò due terzi dell’impervia ascesa.

“Al prossimo anniversario il primo novembre del 198i, compirai l’impresa e non ne morrai come le formiche”, le dissi.

 Quindi le recitai il distico che avevo letto in cima a una scalinata posta nell’abside della chiesa posta sulla cima del monte:

Certatim volitant formicae ad Virginis aram

Et simulac volitant victima quaeque cadit

Il primo novembre del 1981era caduto già da diversi mesi  il nostro sodalizio. Io mi trovavo a Pesaro da solo: la mattina fino a mezzogiorno scrivevo a penna i primi capitoli di questa opera, il pomeriggio andavo al mare prima che dal cielo scendesse il buio precoce. Osservavo i gabbiani che si posavano sulla sabbia umida o volavano sopra l’acqua giallastra nella bruma che calava implacabile mentre un relitto di sole mortificato appariva quale un lampione languente, a corto di gas.

Gli uccelli famelici emettevano strida disperate. Di Ifigenia non sapevo più niente, nemmeno se fosse ancora viva o già morta. Oggi so che è l’una e l’altra cosa.

Pesaro 6 ottobre 2024 ore 20, 24 giovanni ghiselli

p. s.

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