domenica 13 dicembre 2020

Debrecen 1979. 57. Le due cartoline

Il 14 agosto non arrivò posta per me. Il 15 nemmeno. Il 16 invece, era un giovedì, terminate le ore dell’ultimo giorno della scuola estiva, ancora prima che fossi uscito dall’Università per correre a vedere se c’era l’espresso, appena ebbi messo la testa fuori dall’aula, mi si avvicinò Stefania, una collega di Padova, e disse: “Gianni Ghiselli, in collegio c’è posta per te”.

 

“Ifigenia, l’espresso con una sentenza di vita o di morte dell’amore” pensai.

Il cuore mi balzò nel petto, le gambe tremarono, mi rombarono le orecchie e forse anche io, come la poetessa di Lesbo, divenni più verde dell’erba.

Tuttavia, facendomi forza per dissimulare la frenesia, ringraziai seccamente per la novella e mi avviai verso il collegio, in fretta ma senza correre. Allora quella messaggera, usa alle commedie, dispiaciutissima poiché non le avevo dato l’occasione di fare una delle sue scene tragicomiche, gridò. “Ehi tu, ghiselli! Guarda che sono soltanto delle cartoline!”

“Grazie, anche troppo per me!”, risposi senza voltarmi, per non farle vedere la mia delusione e non vederla gioire di avermela inflitta come una pugnalata dentro la schiena.

“Povera istriona ficcanaso!”  mormorai.

Quindi, con pena, pensai. “sarà solo una cartolina di Fulvio”.

Allora non potevo sapere che di lì a pochi mesi la presenza di Fulvio mi sarebbe diventata più cara e gradita di quella di Ifigenia e che l’anno seguente a Debrecen dove saremmo andati insieme noi tre, avrei preferito frequentare l’amico, e anche altre persone da meno di lui, piuttosto che l’ amante insignificante e noiosa. Partimmo la mattina fatidica del 2 agosto. Arrivati a Debrecen, ci dissero della strage alla stazione. Pensai a tutte le altre che si erano susseguite dal dicembre del 1969, a quante vite umane avevano stroncato, e come avessero riempito di macerie anche il campo affettivo che si era formato tra tanti giovani alla fine degli anni Sessanta. Di quelle stragi erano morti anche i miei amori. "Questa di Bologna - pensai - coincide con la fine dell'ultimo".

Nella cassetta posta davanti alla porta d’ingresso dunque trovai non una, ma due cartoline che ancora una volta risuscitarono e rimisero in piedi la moribonda speranza.

Erano scritte in rosso, senza data. Nel timbro postale però si poteva leggere “Siracusa 7 agosto”.

Una diceva: “sono appena arrivata qui. Un bel posto. Mi manchi moltissimo, più di quanto immaginassi. Mi fido di te e di me. “Zazzì”. Tua Ifi. Quando ci vediamo?

E l’altra: “La Sicilia è magnifica. Il paesaggio stupendo: se tu fossi qui sarebbe meraviglioso. Ti amo tanto, sai? A presto. Ifigenia.

Zazzì faceva parte del nostro linguaggio cifrato, del resto intuibile, e mi piacque un bel po’.


giovanni ghiselli

 

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