Un primo assaggio sul corso di 6 incontri sulla tragedia greca che terrò
dall’inizio di febbraio.
Argomenti
La Poetica di
Aristotele. Differenza tra storia e poesia.
Per
un’introduzione al dramma antico partiamo dalla Poetica di Aristotele.
E’ un trattato di estetica che nella parte a noi giunta si occupa
prevalentemente di poesia tragica. Fu scritta intorno al 335, durante la piena
maturità del filosofo[1], e constava di due
libri, dei quali ci è arrivato il primo. Il secondo riguardava principalmente
la commedia.
Secondo
Aristotele l'arte è essenzialmente mimèsi, imitazione della realtà e
proprio per questo il teatro ne costituisce la quintessenza.
Il poeta
però, diversamente dallo storico che racconta cose avvenute, deve volgersi a
quello che potrebbe sempre avvenire secondo verosimiglianza e necessità: “dio; kai;
filosofwvteron kai; spoudaiovteron poivhsi~ iJstoriva~ ejstivn” (1451b, 5), e perciò la poesia è
più filosofica e più importante della storia. Infatti la poesia racconta
piuttosto i fatti dell’universale[2], la storia invece
aspetti relativi al particolare “hJ me;n ga;r poivhsi" ma`llon
ta; kaqovlou, hj de; iJstoriva ta; kavq j e[kaston levgei” (6 - 7)
Anche Polibio[3], ma da storico
qual è, distingue la tragedia dalla storia. Questa non deve tragw/dei'n, rappresentare tragedie. Lo scopo della storia e della tragedia non è lo stesso ma è opposto ("to; ga;r
tevlo" iJstoriva" kai; tragw/diva" ouj taujtovn, ajlla;
toujnantivon", Storie, II, 56, 11) in quanto la
tragedia deve impressionare e affascinare momentaneamente gli spettatori
attraverso i discorsi più persuasivi ("dei' dia; tw'n
piqanwtavtwn lovgwn ejkplh'xai kai; yucagwgh'sai kata; to; paro;n tou;"
ajkouvonta"", II, 56, 11), mentre la storia deve istruire e
convincere per sempre con atti e discorsi veritieri coloro che vogliono
imparare ("dia; tw'n ajlhqinw'n e[rgwn kai; lovgwn eij" to;n
pavnta crovnon didavxai kai; pei'sai tou;" filomaqou'nta"" ). Questo poiché nella tragedia prevale ciò che è persuasivo (hJgei'tai to;
piqanovn), anche se falso, per creare illusione negli
spettatori ("dia; th;n ajpavthn[4] tw'n qewmevnwn"), mentre nella storia ha la precedenza il vero, per l'utilità di
quelli che vogliono imparare ("tajlhqe;" dia; th;n wjfevleian
tw'n filomaqouvntwn", II, 56, 12). Quest’ultima affermazione è una
delle tante leggi tucididee[5] presenti
in Polibio.
Tucidide, lo storiografo della guerra del Peloponneso infatti aveva
scritto: “ la mancanza del favoloso di questi fatti (to; mh;
mqw'de~ aujtw'n), verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto,
ma sarà sufficiente che li giudichino utili (wjfevlima
krivnein aujta; ajrkouvntw~ e[xei) quanti
vorranno esaminare la chiarezza degli avvenimenti accaduti e di quelli che
potranno verificarsi ancora una volta, siffatti o molto simili, secondo la
natura umana” ( I, 22, 4).
La storia nasce dalla poesia
La storia è
comunque intarsiata di miti, non senza le iridescenti bugie di cui scrive
Pindaro[6], tant’è vero che è preceduta e anzi, in un certo
senso, “nasce” dalla poesia epica, e i fatti storici, come hanno rilevato
studiosi di levatura ed estimazione europea, sono stati cantati, o raccontati,
prima dai poeti che dagli storiografi di professione.
Giambattista Vico afferma che "la storia romana si cominciò a scrivere
da' poeti", e inoltre, utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla
continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo
milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor
poeti"[7].
In effetti le guerre puniche vennero narrate prima da Nevio e da Ennio che
da Tito Livio.
Un giudizio apprezzato anche da Pavese:"Ciò che si trova di
grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia nasce da
tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia;
"popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito
stilizzato, forma mentale di tutta una cultura"[8]. Storia e poesia insomma sono intrecciate insieme.
25 dicembre
2020 ore 17, 10
giovanni
ghiselli
p. s
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[1] Vissuto tra il
384 e il 322 a. C.
[2] “ Deve
necessariamente esservi una differenza tra la vera poesia e la vera parola non
poetica: qual è questa differenza? Su questo punto molte cose sono state
scritte specialmente dagli ultimi critici tedeschi (…) Essi dicono, per
esempio, che il poeta ha in sé una infinitudine, comunica una Unendlichkeit,
un certo carattere “d’infinitudine”, a tutto quanto descrive” T. Carlyle, Gli
eroi (del 1841), p. 118.
[3] 200ca - 118 ca a.
C
[4] Gorgia di
Leontini (490 ca - 385ca a. C.) aveva detto che la tragedia crea un
inganno nel quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è
ingannato è più saggio di chi non è ingannato: “ o{ te
ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ
ajpathqei;" sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto"" ( in Plutarco, de
glor. Ath. 5 p. 348 C.).
[5] Tucidide legiferò
(" oJ d j ou\n Qoukidivdh" (...) ejnomoqevthse") afferma Luciano (Come si
deve scrivere la storia, 42). La legge della verità divenne ineludibile per
i suoi seguaci. Nell'ultimo capitolo del suo opuscolo Luciano aggiunge che
bisogna scrivere la storia con verità ("su;n tw'/
ajlhqei'") e
con il pensiero rivolto alla speranza futura piuttosto che con adulazione
mirando a compiacere quelli elogiati al momento presente ("pro;" to;
hJdu; toi'" nu'n ejpainoumevnoi"", 63).
[6] Olimpica I,
29.
[7]La Scienza Nuova ,
Pruove filologiche, III e VIII.
[8]Il mestiere di
vivere , 30 agosto 1938.
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