Filologia, Filosofia o
che altro?
I tecnicismi delle lingue sono indispensabili per arrivare a conoscerle, ma
sono solo propedeutici alla visione delle idèe. Una tautologia questa perché
all’ idea appartiene la visione (cfr. ijdeva - ijdei`n) e senza visione non
c’è idea.
Chi si ferma alle sillabe non arriva alla parola intera, tanto meno alle idèe,
e non fornisce una sinossi di un episodio, per non dire di un libro, di un
autore, di una letteratura, di una cultura.
Le mie conferenze di letteratura comparata sono fondate sullo studio degli
ottimi autori della letterattura greca, di quella latina e dei vari classicisti
e neoclassicisti europei.
Infatti non esiste solo il neoclassicismo dei primi anni dell’Ottocento: “Ernst
Howald (Die Kultur der Antike, 1948) ha potuto indicare la rinascita del
"classico" come "la forma ritmica" della storia culturale
europea"[1].
Nei limiti delle mie forze cerco di salire sulle spalle dei giganti del passato[2] e di acquisire una una visione panoramica della
letteratura europea.
"with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer
and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous
existence and composes a simultaneous order"[3], con la sensazione che tutta la letteratura europea da
Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha
un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.
Per chiarire meglio quanto ho affermato, riferisco un brano di Marziano
Capella, un autore scoperto attraverso un bel libro di Massimo Cacciari
Vediamo dunque “un’opera straordinariamente fortunata, fin dall’età carolingia,
il De nuptiis Philologiae et Mercurii del retore cartaginese
Marziano Capella, di cui abbiamo le prime citazioni tra il 440 e il 480”[4]
Filologia ha nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di
salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza
l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare l’insieme delle
arti liberali. Filologia è amore per ogni forma del logos.
Scoto legge le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete
della mente divina, colui che conduce al Nous.
Filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma,
colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum
in supera”. Filologia dovrà sposare l’interprete Mercurio che conduce a comprendere
la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di
Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le
nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente
chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile,
Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima
però deve vomitare “coactissima egestione” tutto ciò di cui è piena,
ossia della erudizione umana, troppo umana.
Poi quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di
lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia
diventa sapienza. “passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché
Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel
momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”[5]. Dunque Filologia corre da Filosofia omni studio
affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le faccia da guida e da
sposo.
Scoto commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia subisce una metamorfosi dalla facies terrestre che
vomita la disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle
arti dalle Muse.
Mercurio interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal
cumulo di saperi le arti si trasfigurano in Armonia. E Filologia terrestre
diventa celeste. Ermete è metaxuv tra Filologia e
Filosofia “dialettizza l’ordine dei grammata con quello
della philìa o eros per la sapienza del Bene, che
costituisce la timé di Donna filosofia”[6].
Bologna 18 dicembre 2020, ore 18 e 26 minuti
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] S. Settis, Futuro del 'classico', p. 84.
[2] Riferisco un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII
secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres:"Dicebat Bernardus Carnotensis
nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et
remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed
quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III,
4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle
spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più
lontane, comunque sia non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo
ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca
[3]T. S. Eliot, Tradition
and the Individual Talent (del 1919),
[4] M. Cacciari, La mente inquieta. Saggio
sull’Umanresimo, cap. terzo Philosophica Philologia, p. 37
[5] M. Cacciari, Op. cit. p. 38
[6] M. Cacciari, Op. cit., p. 39
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