giovedì 31 dicembre 2020

Debrecen 1979. 67. Lo specchio delle mie brame

Erodoto
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Tornammo dentro. Andai a sedermi, da solo. Intorno a me una folla di chiassosi, agitati o indifferenti.

“Una reviviscenza dell’orda primordiale” pensai. Andai a guardarmi in uno specchio di un gabinetto come facevo nel tempo delle finniche, particolarmente quello di Kaisa, per compiacermi e rassicurarmi. Il mio viso era cambiato da allora: magro molto, incavato, segnato, scabro, quasi sgretolato dal tempo che porta via tutto ed era franto come uno scoglio della barriera marina di Pesaro che deve sostenere gli assalti di onde talora furiose, o come la rupe nera di Capo Nord protesa sul mare freddo e cupo che la flagella. Così la vidi subito dopo essere stato rigettato da Päivi al pari della nostra creatura.

Tuttavia il mio aspetto non era mutato in peggio.

Stavo diventando un’immagine lapidaria e stilizzata, una specie di icona vivente. Judith mi aveva detto che ci trovava il bello della consapevolezza. Mi osservavo per averne conferma. Non mi dispiacqui, anzi: lo scavato, lo sbrecciato, il caduto era del materiale superfluo che aggiungeva alcunché di troppo, di inutile all’essenziale. Sorrisi a me stesso pensando che le prove passate, gli agoni, pur dolorosi e faticosi assai, avevano contribuito a quel risultato che mi piaceva.

L’abbronzatura, coltivata con cura ogni giorno nella piscina o sul prato, spiccava sul mio vestito bianco, di lino, comprato diciannove anni prima. Era liso ma in buon ordine e ben pulito.

Mi venne in mente un breve passo di Erodoto dal logos egiziano: ei[mata de; livnea forevousi aijei; neovpluta, ejpithdeuovnte" tou`to mavlista (Storie, II, 37, 2), portano vesti di lino sempre lavate da poco, curando questo in massimo grado.

Ero compiaciuto di come portavo i miei anni: oramai trentacinque. Avevo tanti capelli, nessuno bianco.

Aetatem bene gero - mi dissi - niger tamquam corvus". Avevo preso dalla zia Giulia che, ottantenne, era ancora siffatta. Dicono che sia la componente etrusca: il ghenos del nonno materno Martelli di Sansepolcro.

La facies etrusca del resto comporta anche una certa dose di irrazionale quale si trova in Properzio di Assisi o in Santo Francesco, il poverello. Anche lui teneva il medesimo indumento per una ventina di anni.

“A cinquanta sarò bellissimo” mi dissi. Me lo aveva predetto nel ’68 Fiorella, la studentessa di Modena che all’epoca amoreggiava con Danilo.

Ma questo non sarebbe venuto da sé, siccome niente di buono arriva senza grande impegno: avrei dovuto continuare a correre, nuotare, abbronzarmi, a studiare con lena indefessa. Volevo arrivare a scrivere “Ho l’età di Fassbinder e di Wenders. E’ l’ora, è già quasi tardi”, mi dissi. “Voglia di fare, voglia di fare, datti da fare!”.


Bologna 31 dicembre 2020, ore 11, 56

giovanni ghiselli


ps.

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