NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 31 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. XXI assaggio. Conclusione della parte introduttiva generale

Conclusione della parte introduttiva generale. Seguiranno i singoli autori

 

In 1984 di Orwell è descritta una situazione assimilabile alla repressione sessuale ipotizzata da Freud nell’orda primitiva. Nel romanzo c'è una ragazza, Julia, che comprende e si ribella facendo l'amore con gioia, e spiega: “Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo (...) Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male, che diventa acido (All this marching up and down and cheering and waving flags is simply sex gone sour). Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate? (If you are happy inside yourself, why should you get excited about Big Brother and the Three - Year Plans and the Two Minutes Hate and all the rest of their bloody rot?)"[1].

Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una civiltà" (p.133). Il protagonista del romanzo, Winston, vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al Partito (...) un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice: "Sta' a sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[2].

Leggiamo qualche parola in inglese: “Their embrace had been a battle, the climax a victory. It was a brow struck against the Party. It was a political act” (p. 133), il loro amplesso era stata una battaglia, l’apice una vittoria. Era una raffica scagliata contro il Partito. Era un atto politico.

 

Una interpretazione delle cause dell’olocausto. Con il monoteismo e il marxismo gli Ebrei hanno proposto ideali troppo difficili da realizzare. Le terribili pretese dell’ideale.

 

Sentiamo G. Steiner: “Nel politeismo, dice Nietzsche, consisteva la libertà dello spirito umano, la sua poliedricità creativa.

La dottrina di una singola divinità (…) è “il più mostruoso di tutti gli errori umani” (“die ungeheuerlichste aller menschlichen Verirrungen”).

In una delle sue ultime opere, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, Freud attribuì questo “errore” a un principe e veggente egiziano del casato disperso degli Ikhnaton. Molti si sono chiesti perché abbia cercato di togliere dalle spalle del suo popolo quel supremo fardello di gloria (…) Uccidendo gli ebrei, la cultura occidentale avrebbe sradicato quelli che avevano “inventato” Dio (…) L’Olocausto è un riflesso, ancor più completo in quanto lungamente inibito, della coscienza sensoriale naturale, degli istintivi bisogni politeistici e animistici (…) Quando, durante i primi anni di regime nazista, Freud cercava di scaricare su spalle egiziane la responsabilità dell’ “invenzione” di Dio, stava facendo, pur forse senza averne piena coscienza, una disperata mossa propiziatoria, sacrificale. Stava tentando di strappare il parafulmine dalle mani degli ebrei. Troppo tardi. La lebbra della scelta di Dio - ma chi aveva scelto chi? - era troppo visibile su di loro (…)

Insomma l’antico e il nuovo Testamento propongono e ordinano ideali impraticabili

Anche il marxismo ha riproposto ideali troppo difficili da praticare.

“Anche quando si proclama ateo, il socialismo di Marx, di Trockij, di Ernst Bloch discende direttamente dall’escatologia messianica. Nulla è più religioso, nulla si avvicina al sacro furore di giustizia dei profeti più della visione socialista che contempla la distruzione della Gomorra borghese e la creazione per l’uomo di una città nuova e pura (…) Monoteismo del Sinai, cristianesimo primitivo, socialismo messianico: sono i tre momenti supremi in cui la cultura occidentale viene posta di fronte a quelle che Ibsen chiamava “pretese dell’ideale (…) l’ideale continuava a bussare a insistere con forza terribile e molesta. Tre volte la sua eco si diffuse, e ogni volta dallo stesso centro storico. (Alcuni politologi calcolano che la percentuale degli ebrei coinvolti nello sviluppo ideologico del socialismo messianico e del comunismo si aggiri sull’80 per cento). Tre volte il giudaismo lanciò un appello alla perfezione e cercò di imporlo al corso normale della vita occidentale. Una profonda avversione si radicò nel subconscio sociale, presero forma rancori omicidi (…) Noi odiamo in sommo grado coloro che ci propongono un modello, un ideale, una promessa visionaria che non siamo in grado, pur tendendo i muscoli all’estremo, di raggiungere (…) Nella sua esasperante “estraneità”, nella sua accettazione della sofferenza come condizione di un patto con l’assoluto, l’ebreo divenne, per così dire, la “cattiva coscienza” della storia occidentale (…) Scagliandosi contro gli ebrei, il cristianesimo e la civiltà europea si scagliarono contro l’incarnazione - sia pur spesso indocile e inconsapevole - delle proprie speranze più alte (…) Nell’Olocausto vi fu sia un folle castigo, uno sferrar colpi alla cieca contro le intollerabili pressioni della visione idealistica, sia una larga componente di automutilazione. La società europea moderna, laica, materialista, bellicosa, cercava di estirpare, da sé stessa e dal proprio bagaglio ereditario, germi di ideali arcaici, ormai ridicolmente obsoleti e tuttavia in certo qual modo inestinguibili. L’accezione nazista di “parassiti” e “disinfestazione” rivela brutalmente la natura infetta della moralità. Uccidiamo l’esattore, uccidiamo colui che ci ricorda la somma dovuta, e l’annoso debito sarà estinto. Il genocidio che si consumò in Europa e in Unione Sovietica negli anni 1936 - 45 (l’antisemitismo sovietico fu forse la manifestazione più paradossale dell’odio che la realtà nutre contro l’utopia naufragata) fu l’attuazione di un impulso suicida della civiltà occidentale; fu un tentativo di livellare il futuro o, più precisamente, di rendere la storia commisurata alla naturale barbarie, al torpore intellettuale e agli istinti materiali dell’uomo non evoluto. Usando metafore teologiche (…) è possibile dire che l’olocausto ha rappresentato un secondo peccato originale (…)

Con il tentativo maldestro di uccidere Dio e il tentativo quasi perfettamente riuscito di uccidere quelli che l’avevano “inventato”, la civiltà entrò, esattamente come Nietzsche aveva predetto, nella “notte sempre più notte”.[3]

 

 

 Pongo alcune domande a chi ha seguito questa parte introduttiva

Ovviamente non c’è nessun obbligo. Chi vorrà potrà porre queste o altre domande a me durante il corso.

Quesiti sull’introduzione al dramma.

 

1 Quali sono secondo te i concetti fondamentali della Poetica di Aristotele?

 

2 In che cosa si differenzia essenzialmente la poesia dalla storia?

 

3 Che cosa sono la peripezia e il riconoscimento di cui parla Aristotele? Fai almeno un esempio dell’una e dell’altro.

 

4 Quali sono le cosiddette unità aristoteliche e quale valore hanno?

 

5 Come devono essere i caratteri secondo Aristotele?

 

6 Ricorda in sintesi qual è la funzione del coro tragico secondo alcuni interpreti.

 

7 Quali sono i pregi del linguaggio poetico secondo Aristotele?

 

8 Che cosa è la metafora e perché è significativa dell’intelligenza di chi la impiega?

 

9 Enumera le “parti quantitative” della tragedia.

 

10 Perché il trimetro giambico è il metro più adatto alle parti dialogate della tragedia?

 

11 In che cosa consiste la collisione tragica tra due unilateralità di cui parla Hegel nell’Estetica? Fai almeno un esempio.

 

12 Per quale ragione Schopenhauer preferisce la tragedia cristiana a quella greca?

 

13) Qual è la caratteristica di tanti eroi mitici secondo Freud e come, dal mito e dalla storia, si sviluppa la tragedia? 

 

giovanni ghiselli. Cari auguri a tutti



[1] G. Orwell, 1984 , p. 142. Edizione inglese p. 139.

[2] G. Orwell, 1984, p. 134.

[3] Gerorge Steiner, Nel castello di Barbablù, p. 39 sgg.

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