Augusto, dopo Euripide, riconosce che il potere non è potenza
Ottaviano Augusto nelle sue Res gestae (34) scrive che dopo avere estinto le guerre civili, e avere assunto il controllo di tutti gli affari pubblici per universale consenso, trasmise il governo dello Stato dal suo potere (ex mea potestate) alla volontà del senato e del popolo romano in senatus populique Romani arbitrium. Per questa benemerenza Ottaviano ebbe l'appellativo di Augusto con decreto del Senato "Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum". Quindi la porta di casa sua venne incoronata di alloro e nella curia Giulia fu posto uno scudo con un'iscrizione che riconosceva le sue qualità: virtus, clementia, iustitia et pietas.
La conclusione è questa: "Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt", da allora fui il più autorevole di tutti, ma non ebbi più potere degli altri che mi furono colleghi in ciascuna magistratura.
Anche in questo caso il potere non è potenza. L' autorevolezza è potenza.
Cfr. Euripide, Baccanti, 310: “ ajll j ejmoiv, Penqeu` , pivqou- mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein”
Via Penteo, da’ retta a me, non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini.
E’ Tiresia che parla cercando di salvare Penteo, il re di Tebe, che per propria disgrazia non gli dà retta.
Bologna 7 dicembre 2020, ore 19, 30 giovanni ghiselli
p. s.
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