giovedì 31 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. XIX assaggio. Sigmund Freud sulla tragedia greca

Sigmund Freud
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L’interpretazione della tragedia greca data da Freud prima parte

Concludo questa introduzione con un’idea di Freud sull’eroe e sull’origine della tragedia. Freud presenta un catalogo di eroi: “ I nomi più noti della serie che comincia con Sargon, sono Mosè, Ciro e Romolo. Oltre ai quali, tuttavia, Rank[1] ha raccolto un grande numero di figure eroiche appartenenti alla poesia o alla leggenda, cui viene attribuita, interamente o in frammenti ben riconoscibili, la stessa vicenda giovanile: Edipo, Karna, Paride, Telefo, Perseo, Eracle, Gilgamesh, Anfione e Zeto, e altri (…) Eroe è colui che coraggiosamente si leva contro il padre e alla fine lo supera vittoriosamente. Il nostro mito insegue questa lotta nella preistoria individuale, perché fa nascere il bambino contro la volontà del padre e lo fa salvo nonostante le cattive intenzioni di questi. L’esposizione nella cassetta è una inconfondibile raffigurazione simbolica della nascita: la cassetta è il grembo materno, l’acqua è il liquido amniotico (…) Nella forma tipica della leggenda la prima famiglia, in cui il bambino nasce, è nobile, il più delle volte regale; la seconda, in cui il bambino cresce, è umile o decaduta (…) Solo nella leggenda di Edipo questa differenza scompare. Il bambino esposto da una famiglia regale è accolto da un’altra coppia regale[2]”.

 

Nel terzo saggio di L’uomo Mosè e la religione monoteistica[3], Freud richiama alcune affermazioni di Totem e tabù (1912 - 1913): “La mia costruzione si fonda su un asserto di Charles Darwin e comprende una congiuntura di Atkinson[4]. Essa dice che in tempi primitivi l’uomo primigenio viveva in piccole orde (…) Il maschio robusto era signore e padrone di tutta l’orda, il suo potere, che esercitava con violenza, non aveva limiti. Tutte le femmine erano sua proprietà, sia le donne e le figlie della sua orda, sia forse quelle rapite ad altre orde. Il destino dei figli era crudele; quando essi suscitavano la gelosia del padre, venivano trucidati o evirati o espulsi”[5]. Gli espulsi formarono altre orde. I più piccoli restarono nella prima orda, protetti dalla madre prima, poi cercando di succedere al padre. Successivamente quelli scacciati unirono le loro forze “per sopraffare il padre e, secondo il costume di quei tempi, lo divorarono crudo”[6]. Al parricidio seguirono le lotte per l’eredità paterna, poi “persuasisi dei pericoli e dell’infruttuosità di queste lotte” i fratelli addivennero “a una sorta di contratto sociale. Nacque così la prima forma di organizzazione sociale, con la rinuncia pulsionale, il riconoscimento di obbligazioni reciproche, la fondazione di determinate istituzioni dichiarate inviolabili (sacre), dunque gli inizi della morale e del diritto. Il singolo rinunciò all’ideale di acquisire per sé la posizione del padre, rinunciò al possesso della madre e delle sorelle. Di qui il tabù dell’incesto e l’imposizione dell’esogamia”.

Buona parte del potere assoluto tolto al padre passò alle donne, e “venne il tempo del matriarcato…

 

In questo periodo di “alleanza fraterna”, la memoria del padre sopravvisse. Si trovò come sostituto un animale robusto (…) Nel rapporto con l’animale totemico fu mantenuta interamente la dicotomia originaria della relazione emotiva col padre (ambivalenza)”. In sintesi il totem in un primo tempo era venerato poi “veniva ucciso e consumato da tutti i membri della tribù riunitisi insieme (…) Questa grande festa era in realtà una celebrazione trionfale della vittoria riportata sul padre dai figli che avevano stretto un’alleanza tra loro”[7]. A questo punto interviene la religione: “Al posto degli animali subentrarono dèi umani, della cui derivazione dal totem non si fa mistero. Il dio è ancora raffigurato o in forma animale o almeno con faccia d’animale, oppure il totem diviene il compagno preferito del dio (…) Si era frattanto compiuto un grande rivolgimento sociale. Il matriarcato era stato sostituito dal ristabilirsi di un ordine patriarcale. I nuovi padri non raggiunsero in verità mai il potere assoluto del padre primordiale; erano in molti e vivevano associati in raggruppamenti più grandi dell’orda di un tempo; dovevano mantenere buoni rapporti reciproci ed erano limitati da norme sociali”. Ma torniamo alla religione: “E’ verosimile che le divinità materne avessero origine al tempo della restrizione del matriarcato, per compensare le madri messe in disparte. Le divinità maschili apparvero dapprima come figli accanto alle grandi madri, e solo dopo assunsero nettamente i tratti di figure paterne. Questi dèi maschili del politeismo rispecchiano i rapporti dell’epoca patriarcale. Sono numerosi, si limitano a vicenda, occasionalmente sono subordinati a un dio supremo che li sovrasta. Il passo successivo, però, conduce al tema di cui ci stiamo occupando, ossia al ritorno di un solo dio - padre, unico e illimitato signore”[8].

 

Freud pensa che il monoteismo fu introdotto tra gli Ebrei da Mosé, un Egiziano seguace della religione voluta da Amenofi IV, che era “salito al trono intorno al 1375 a. C.”[9] e adorava “il sole (Atòn) non come oggetto materiale ma come simbolo di un essere divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi”[10] solari. Il faraone eretico si cambiò il nome in Ekhanatòn cancellando la presenza del dio Amòn dal culto, dalla propria persona e da tutte le iscrizioni.

“Si trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere; e con la fede in un unico dio nacque inevitabilmente l’intolleranza religiosa, sconosciuta all’antichità prima di allora e per molto tempo dopo. Ma il regno di Amenofi durò solo diciassette anni; subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1358, la nuova religione fu spazzata via, e la memoria del re eretico proscritta (…)Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu Egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhanatòn, la religione di Atòn”[11].

Freud cerca di avallare questa tesi con vari indizi : entrambe le religioni “sono forme di rigido monoteismo”; inoltre “l’assenza nella religione ebraica di una dottrina concernente l’aldilà e la vita ultraterrena, che pure, sarebbe stata compatibile col più rigoroso monoteismo” corrisponde al rifiuto di tale presenza anche nella religione di Ekhnatòn che “aveva bisogno di combattere la religione popolare nella quale il dio dei morti Osiride aveva forse una parte maggiore di quella di ogni altro dio del mondo superiore”. Terzo indizio: Mosè introdusse presso gli Ebrei “la consuetudine della circoncisione”[12]. Ebbene: “Erodoto, il “padre della storia”, ci informa che la consuetudine della circoncisione era da lungo tempo familiare in Egitto”.

Erodoto scrive: “ei[mata de; livnea forevousi aijei; neovpluta, ejpithdeuovnte" tou`to mavlista. Tav te aijdoi`a peritavmnontai” Storie, II, 37, 2), portano vesti di lino sempre lavate da poco, curando questo in massimo grado. Le parti sessuali le circoncidono.

Dunque Mosè “non era ebreo ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia”[13].

 

31 dicembre, giovanni ghiselli

 

 

 

 

 



[1] Nella pagina precedente Freud dà questo chiarimento “Nel 1909 Otto Rank - allora subiva la mia influenza - pubblicava per mio incitamento uno scritto dal titolo Il mito della nscita dell’eroe.”

[2] S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, primo saggio, in Freud Opere, 1930 - 1938, pp. 340 - 342..

[3] E’ l’ultimo scritto di Freud, insieme con il Compendio di psicoanalisi del resto incompiuto. Uscirono entrambi nel 1938. nota p. 26

[4] C. Darwin, The Descent of the Man (Londra 1871) vol. 2, pp. 362 sg.; J. J. Atkinson, Primal Law, nel volume a cura di A. Lang, “Social Origins” (Londra 1903) pp. 220 sg.

[5] S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, terzo saggio, in Freud Opere, 1930 - 1938, p. 403.

[6] S. Freud, Op. cit., p. 404.

[7] S. Freud, Op. cit., p. 405.

[8] S. Freud, Op. cit., p. 405.

[9] S. Freud, Op. cit., secondo saggio, p. 349

[10] S. Freud, Op. cit., secondo saggio, p. 350.

[11] S. Freud, Op. cit., secondo saggio, p. 353.

[12] Più avanti (Terzo saggio, p. 439) Freud ne dà un’interpretazione: “La circoncisione è il sostitutivo simbolico dell’evirazione, che un tempo il padre primigenio nella pienezza del suo potere assoluto aveva inflitto ai figli; chi accettava questo simbolo, mostrava con ciò di essere pronto a sottomettersi al volere del padre se questi gli imponeva il sacrificio più doloroso”.

[13] S. Freud, Op. cit., secondo saggio, p. 355.

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