Il disboscamento in Lucano, Seneca e Stazio
Denuncia del disboscamento che toglie l’ombra e fa
piangere la terra. Lucano, Seneca e Stazio.
Le ricchezze di quella gente sono solo le querce di
Mauritania - tantum Maurusia genti - robora divitiae (426 - 427)
che però non ne conoscevano l’uso ma si accontentavano delle chiome e
dell’ombra del cedro sed citri contenta comis vivebat et umbra (428)
.
Ma le nostre scuri sono arrivate nel bosco sconosciuto
- in nemus ignotum nostrae venere secures (429) extremoque
epulas mensasque petimus ab orbe (430) e abbiamo chiesto cibi e mense
ai confini del mondo (430)
Motivo ecologico presente anche nella Medea di
Seneca e nella Tebaide di Stazio dove gli autori deplorano i
disboscamenti fatti per costruire navi o pire
Seneca, Medea.
"Quisquis audacis tetigit
carinae/nobiles remos, nemorisque sacri/Pelion densa spoliavit umbra; quisquis
intravit scopulos vagantes,/et tot emensus pelagi labores,/barbara funem
religavit ora,/raptor externi rediturus auri:/exitu diro temerata ponti/iura
piavit./Exigit poenas mare provocatum " (vv. 608 - 616), tutti quelli che toccarono i remi famosi
della nave audace, e spogliarono il Pelio dell'ombra densa della foresta sacra;
chiunque passò tra gli scogli vaganti[1] e,
attraversati tanti travagli del mare, gettò l'ancora su una barbara spiaggia,
per tornare impossessatosi dell'oro straniero: con morte orribile espiò le
violate leggi del mare. Fa pagare il fio il mare provocato.
Nella Tebaide di Stazio la terra soffre il disboscamento dovuto alla
costruzione di una pira colossale per il piccolo Ofelte: “ dat gemitum
tellus”(VI, 107), ne piange la terra. Pale, dea dei campi e Silvano signore
dell’ombra della foresta (arbiter umbrae, v. 111) abbandonano piangendo
i cari luoghi del loro riposo (linquunt flentes dilecta locorum/otia, vv.
110 - 111), mentre le Ninfe abbracciate ai tronchi degli alberi non vogliono
lasciarli: “nec amplexae dimittunt robora Nymphae” (v. 113).
Nell’Achilleide Stazio ricorda che la costruzione della flotta
necessaria alla guerra contro Troia spogliò delle loro ombre i monti e li
rimpicciolì: “Nusquam umbrae veteres: minor Othrys et ardua sidunt/ Taygeta,
exuti viderunt aëra montes./Iam natat omne nemus” (I, 426 - 428), in nessun
luogo le antiche ombre: è più piccolo l’Otris e si abbassa l’erto Taigeto, e i
monti spogliati videro l’aria. Oramai ogni monte galleggia.
Bologna 16
dicembre ore 11 e 5
giovanni
ghiselli
p. s.
statistiche
del blog
Sempre1067518
Oggi109
Ieri527
Questo
mese6809
Il mese
scorso13528
[1] Le Simplegadi
Nessun commento:
Posta un commento