giovedì 31 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. XX assaggio. Ancora Freud. Poi Sofocle

Freud
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Argomenti

Secondo Freud il peccato originale è l’uccisione del padre primigenio. Il redentore sarebbe il caporione della banda dei fratelli ribelli al padre e con la propria morte di figlio espierebbe l’uccisione del padre

Anche l’eroe della tragedia greca sarebbe il ribelle al padre e il Coro del dramma ricorderebbe la banda dei fratelli

Il Cristianesimo riprende diverse figure del politeismo appena dissimulate

La massa e il capo

Traggo un esempio dall’Edipo re di Sofocle

 

 

Arriviamo infine alla religione cristiana e torniamo alla tragedia greca. “Vaste porzioni del passato, che qui sono concatenate in un tutto, sono storicamente attestate, come il totemismo e le alleanze maschili. Altre si sono conservate in ripetizioni illustri. Così più di un autore ha fatto osservare quanto fedelmente il rito della comunione cristiana, in cui il credente incorpora in forma simbolica il sangue e la carne del suo dio, ripeta il senso e il contenuto dell’antico pasto totemico”[1].

Con il monoteismo si ebbe “la reintegrazione del padre primigenio nei suoi diritti storici”, quindi “anche altri pezzi della tragedia preistorica premevano per il riconoscimento (…) Si direbbe che un crescente senso di colpa s’impadronì del popolo ebraico, e forse dell’intero mondo civile di allora, precorrendo il ritorno del materiale rimosso. Da ultimo un uomo venuto da questo popolo ebraico, prendendo a giustificare un agitatore politico - religioso, fiorì l’occasione che provocò il distacco di una nuova religione, quella cristiana, dall’ebraismo.

 

Paolo, un ebreo romano di Tarso, ricuperò questo senso di colpa riconducendolo correttamente alla sua prima fonte storica. Chiamò questa il “peccato originale”; si trattava di un delitto contro Dio, che solo con la morte poteva essere espiato (…) In effetto questo delitto meritevole di morte era stato l’uccisione del padre primigenio, successivamente deificato. Ma non si ricordava l’assassinio, si fantasticava piuttosto la sua espiazione, e perciò questo fantasma poteva essere salutato come un messaggio di redenzione (vangelo). Un figlio di Dio si era fatto uccidere innocente e così facendo aveva preso su di sé la colpa di tutti. Doveva trattarsi di un figlio, essendo stata compiuta l’uccisione del padre (…) Il fatto che il redentore si fosse sacrificato senza colpa era una deformazione palesemente tendenziosa, che offriva difficoltà all’intelligenza logica: come può infatti, chi è innocente dell’assassinio prendere su di sé la colpa degli assassini consentendo di essere ucciso? Nella realtà storica tale contraddizione non si dava. Il “redentore” non poteva essere altri che il primo colpevole, il caporione della banda dei fratelli che avevano sopraffatto il padre”.

Può essere, continua Freud, che il caporione primigenio non ci sia effettivamente stato; in ogni caso ciascuno della banda dei fratelli avrebbe voluto commettere il misfatto. “Pertanto, se non vi fu tal condottiero, Cristo è l’erede di una fantasia di desiderio rimasta inappagata; se vi fu, Cristo ne è il successore e la reincarnazione. Comunque sia, fantasia o ritorno di una realtà dimenticata, in questo punto va ritrovata l’origine della rappresentazione dell’eroe: l’eroe che sempre si ribella al padre e in qualche forma lo uccide. Qui sta anche il vero fondamento della “colpa tragica” dell’eroe nel dramma, altrimenti difficilmente dimostrabile. E’ quasi certo che l’eroe e il coro della tragedia raffigurano questo stesso eroe ribelle e la banda dei fratelli[2], e non è senza significato che nel Medioevo il teatro riprenda a vivere con la rappresentazione della storia della Passione”[3]. Concludo riferendo le differenze che Freud fa notare tra la religione ebraica e quella cristiana: “Il giudaismo era stato una religione del padre, il cristianesimo diventò una religione del figlio”. Inoltre: “La religione cristiana non mantenne l’altezza spirituale cui si era innalzato il giudaismo. Non era più strettamente monoteistica, assunse dai popoli circostanti numerosi riti simbolici, ripristinò la grande divinità materna e trovò spazio per collocare, seppure in posizione subordinata, molte figure del politeismo, dissimulate appena (…) Il trionfo del cristianesimo fu una nuova vittoria dei sacerdoti di Ammone sul dio di Ekhnatòn dopo un intervallo di millecinquecento anni e su una scena più vasta”[4].

 

L’orda primordiale ha lasciato diverse tracce nel genere umano, anzi sopravvive ancora nella massa che è una “reviviscenza dell’orda primordiale”[5] mentre l’individuo capace di comandarla corrisponde al capo dell’orda: “I singoli componenti la massa erano soggetti a legami, allora come lo sono oggi, ma il padre dell’orda primordiale era libero. Pur essendo egli isolato, i suoi atti intellettuali erano liberi e autonomi, la sua volontà non aveva bisogno di essere rafforzata da quella degli altri. Per conseguenza noi supponiamo che il suo Io fosse scarsamente legato libidicamente, che non amasse alcuno all’infuori di sé medesimo e che amasse gli altri solo se e in quanto servivano ai suoi bisogni (…) All’inizio della storia umana fu lui il superuomo che per Nietzsche possiamo aspettarci solo dal futuro. Gli individui appartenenti alla massa hanno bisogno tuttora dell’illusione di essere amati in uguale e giusta misura dal capo, mentre lui, il capo, non ha bisogno di amare alcuno, può avere la natura del padrone ed essere assolutamente narcisistico, eppure sicuro di sé e autosufficiente”[6].

Il capo primordiale, e pure quello recente, cattura emotivamente la massa: “non ha bisogno di rendere logiche le proprie argomentazioni, deve dipingere a fosche tinte, esagerare e ripetere sempre la stessa cosa”[7]. Inoltre c’è il legame libidico trasferito: “il padre primigenio vietava ai propri figli il soddisfacimento dei desideri sessuali diretti; li costrinse all’astinenza e perciò a quei legami emotivi con lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale era inibita. Li immise per così dire con la forza nell psicologia collettiva. La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza divennero in ultima analisi la causa della psicologia delle masse”[8].

 

Impiego l’Edipo re di Sofocle per fare un esempio.

Il re di Tebe considera se stesso quale nodo, somma e sintesi di tutti i sentimenti di tutti i Tebani

Si leggano queste parole di Edipo che, entrato in scena nel prologo della tragedia, si informa sullo stato d’animo del suo popolo colpito dalla peste e dalla sterilità: “su vecchio, racconta, poiché sei adatto/a parlare per questi: in quale modo siete disposti:/avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare/io ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano/se non avessi compassione di tale seduta (Edipo re, vv. 9 - 13).

Quindi Edipo si rivolge al suo popolo “O figli degni di compassione, cose conosciute, e non sconosciute a me/siete venuti a domandare con desiderio; io infatti so che/state male tutti, e pur stando male, come me,/non c'è tra voi chi sta male in ugual misura./ Infatti il dolore vostro colpisce uno solo,/per sé, e nessun altro, ma la mia/mente compiange la città e me e te, tutto insieme” (Edipo re, vv. 58 - 64).

 

31 dicembre

giovanni ghiselli

 

 

  

 



[1] S. Freud, Op. cit., terzo saggio, p. 408.

[2] Nel precedente Totem e tabù (1913) Freud aveva scritto che “l’eroe della tragedia deve soffrire perché è il padre arcaico” (p. 221) . Lo vedremo meglio nella introduzione a Euripide.

[3] S. Freud, Op. cit., terzo saggio, p. 409.

[4] S. Freud, Op. cit., terzo saggio, p. 410.

[5] S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (del 1921) in Freud Opere, 1917 - 1923, p. 311.

[6] S. Freud, Opera e pagina citate sopra.

[7] S. Freud, Op. cit., p. 269.

[8] S. Freud, Op. cit., p. 312.

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