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Secondo Freud il peccato originale è
l’uccisione del padre primigenio. Il redentore sarebbe il caporione della banda
dei fratelli ribelli al padre e con la propria morte di figlio espierebbe
l’uccisione del padre
Anche l’eroe della tragedia greca
sarebbe il ribelle al padre e il Coro del dramma ricorderebbe la banda dei
fratelli
Il Cristianesimo riprende diverse
figure del politeismo appena dissimulate
La massa e il capo
Traggo un esempio dall’Edipo
re di Sofocle
Arriviamo infine alla religione
cristiana e torniamo alla tragedia greca. “Vaste porzioni del passato, che qui
sono concatenate in un tutto, sono storicamente attestate, come il totemismo e
le alleanze maschili. Altre si sono conservate in ripetizioni illustri. Così
più di un autore ha fatto osservare quanto fedelmente il rito della comunione
cristiana, in cui il credente incorpora in forma simbolica il sangue e la carne
del suo dio, ripeta il senso e il contenuto dell’antico pasto totemico”[1].
Con il monoteismo si ebbe “la
reintegrazione del padre primigenio nei suoi diritti storici”, quindi “anche
altri pezzi della tragedia preistorica premevano per il riconoscimento (…) Si
direbbe che un crescente senso di colpa s’impadronì del popolo ebraico, e forse
dell’intero mondo civile di allora, precorrendo il ritorno del materiale
rimosso. Da ultimo un uomo venuto da questo popolo ebraico, prendendo a
giustificare un agitatore politico - religioso, fiorì l’occasione che provocò
il distacco di una nuova religione, quella cristiana, dall’ebraismo.
Paolo, un ebreo romano di Tarso,
ricuperò questo senso di colpa riconducendolo correttamente alla sua prima
fonte storica. Chiamò questa il “peccato originale”; si trattava di un delitto
contro Dio, che solo con la morte poteva essere espiato (…) In effetto questo
delitto meritevole di morte era stato l’uccisione del padre primigenio,
successivamente deificato. Ma non si ricordava l’assassinio, si fantasticava
piuttosto la sua espiazione, e perciò questo fantasma poteva essere salutato
come un messaggio di redenzione (vangelo). Un figlio di Dio si era fatto
uccidere innocente e così facendo aveva preso su di sé la colpa di tutti.
Doveva trattarsi di un figlio, essendo stata compiuta l’uccisione del padre (…)
Il fatto che il redentore si fosse sacrificato senza colpa era una deformazione
palesemente tendenziosa, che offriva difficoltà all’intelligenza logica: come
può infatti, chi è innocente dell’assassinio prendere su di sé la colpa degli
assassini consentendo di essere ucciso? Nella realtà storica tale
contraddizione non si dava. Il “redentore” non poteva essere altri che il primo
colpevole, il caporione della banda dei fratelli che avevano sopraffatto il
padre”.
Può essere, continua Freud, che il
caporione primigenio non ci sia effettivamente stato; in ogni caso ciascuno
della banda dei fratelli avrebbe voluto commettere il misfatto. “Pertanto, se
non vi fu tal condottiero, Cristo è l’erede di una fantasia di desiderio
rimasta inappagata; se vi fu, Cristo ne è il successore e la reincarnazione.
Comunque sia, fantasia o ritorno di una realtà dimenticata, in questo punto va
ritrovata l’origine della rappresentazione dell’eroe: l’eroe che sempre si
ribella al padre e in qualche forma lo uccide. Qui sta anche il vero fondamento
della “colpa tragica” dell’eroe nel dramma, altrimenti difficilmente
dimostrabile. E’ quasi certo che l’eroe e il coro della tragedia
raffigurano questo stesso eroe ribelle e la banda dei fratelli[2], e non è senza significato che nel Medioevo
il teatro riprenda a vivere con la rappresentazione della storia della
Passione”[3]. Concludo riferendo le differenze che Freud
fa notare tra la religione ebraica e quella cristiana: “Il giudaismo era stato
una religione del padre, il cristianesimo diventò una religione del figlio”.
Inoltre: “La religione cristiana non mantenne l’altezza spirituale cui si era
innalzato il giudaismo. Non era più strettamente monoteistica, assunse dai
popoli circostanti numerosi riti simbolici, ripristinò la grande divinità
materna e trovò spazio per collocare, seppure in posizione subordinata, molte
figure del politeismo, dissimulate appena (…) Il trionfo del cristianesimo fu
una nuova vittoria dei sacerdoti di Ammone sul dio di Ekhnatòn dopo un
intervallo di millecinquecento anni e su una scena più vasta”[4].
L’orda primordiale ha lasciato
diverse tracce nel genere umano, anzi sopravvive ancora nella massa che è una
“reviviscenza dell’orda primordiale”[5] mentre l’individuo capace di
comandarla corrisponde al capo dell’orda: “I singoli componenti la massa erano
soggetti a legami, allora come lo sono oggi, ma il padre dell’orda primordiale
era libero. Pur essendo egli isolato, i suoi atti intellettuali erano liberi e
autonomi, la sua volontà non aveva bisogno di essere rafforzata da quella degli
altri. Per conseguenza noi supponiamo che il suo Io fosse scarsamente legato
libidicamente, che non amasse alcuno all’infuori di sé medesimo e che amasse
gli altri solo se e in quanto servivano ai suoi bisogni (…) All’inizio della
storia umana fu lui il superuomo che per Nietzsche possiamo
aspettarci solo dal futuro. Gli individui appartenenti alla massa hanno bisogno
tuttora dell’illusione di essere amati in uguale e giusta misura dal capo,
mentre lui, il capo, non ha bisogno di amare alcuno, può avere la natura del
padrone ed essere assolutamente narcisistico, eppure sicuro di sé e
autosufficiente”[6].
Il capo primordiale, e pure quello
recente, cattura emotivamente la massa: “non ha bisogno di rendere logiche le
proprie argomentazioni, deve dipingere a fosche tinte, esagerare e ripetere
sempre la stessa cosa”[7]. Inoltre c’è il legame libidico trasferito:
“il padre primigenio vietava ai propri figli il soddisfacimento dei desideri
sessuali diretti; li costrinse all’astinenza e perciò a quei legami emotivi con
lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale
era inibita. Li immise per così dire con la forza nell psicologia collettiva.
La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza divennero in ultima analisi la
causa della psicologia delle masse”[8].
Impiego l’Edipo re di
Sofocle per fare un esempio.
Il re di Tebe considera se stesso quale nodo, somma e sintesi di tutti i
sentimenti di tutti i Tebani
Si leggano queste parole di Edipo
che, entrato in scena nel prologo della tragedia, si informa sullo stato
d’animo del suo popolo colpito dalla peste e dalla sterilità: “su vecchio, racconta, poiché sei adatto/a parlare per questi: in quale modo
siete disposti:/avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare/io
ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano/se non avessi compassione di tale
seduta (Edipo re, vv. 9 - 13).
Quindi Edipo si rivolge al suo popolo “O figli degni di compassione, cose conosciute, e non
sconosciute a me/siete venuti a domandare con desiderio; io infatti so
che/state male tutti, e pur stando male, come me,/non c'è tra voi chi sta male
in ugual misura./ Infatti il dolore vostro colpisce uno solo,/per
sé, e nessun altro, ma la mia/mente compiange la città e me e te, tutto
insieme” (Edipo re, vv. 58 - 64).
31 dicembre
giovanni ghiselli
[1] S. Freud, Op. cit., terzo
saggio, p. 408.
[2] Nel precedente Totem e tabù (1913)
Freud aveva scritto che “l’eroe della tragedia deve soffrire perché è il padre
arcaico” (p. 221) . Lo vedremo meglio nella introduzione a Euripide.
[3] S. Freud, Op. cit., terzo
saggio, p. 409.
[4] S. Freud, Op. cit., terzo
saggio, p. 410.
[5] S. Freud, Psicologia delle masse e
analisi dell’Io (del 1921) in Freud Opere, 1917 - 1923, p. 311.
[6] S. Freud, Opera e pagina citate sopra.
[7] S. Freud, Op. cit., p. 269.
[8] S. Freud, Op. cit., p. 312.
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