NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 29 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. XIV assaggio. Il linguaggio poetico

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Torniamo alla Poetica di Aristotele con un altro argomento. Degne di nota sono le considerazioni sul linguaggio poetico: "Levxew~ de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (1458a, 18 ). Pregio del linguaggio è essere chiaro e non pedestre.

Il poeta può e deve variare rispetto all’usuale.

Il linguaggio si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine: “xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (1458a, 22 ), con peregrino intendo la glossa, la metafora, allungamento e ogni forma contraria all’usuale stabilito. Glossa è la locuzione non comune, quella di cui non tutti fanno uso (1457b, 4). Metafora è il trasferimento del nome da una cosa a un’altra: “metafora; dev ejstin ojnovmato~ ajllotrivou ejpiforav” (1457b, 7). Allungata (ejpektetamevnon, 1457, 35) è la parola adoperata con una vocale più lunga dell’ordinario o con l’aggiunta di una sillaba; accorciata (ajfh/rhmevnon) quando si toglie qualche cosa (1458a, 1). Non si devono impiegare tutti insieme questi elementi inusuali, altrimenti si produce l’enigma o il barbarismo. Dalle glosse si producono i barbarismi, dalle metafore l’enigma, la cui caratteristica è combinare insieme l’impossibile dicendo cose vere. (1458 a, 26)[1]. Per avere insieme elevatezza e chiarezza dunque bisogna fare in un certo modo una mescolanza di queste forme: “dei' a[ra kekra'sqai pw~ touvtoi~ (1458a, 31). Arifrade canzonava[2] i tragediografi poiché fanno uso di espressioni che nessuno impiega parlando, come le anastrofi (oi|on to; dwmavtwn a[po ajlla; mh; ajpo; dwmavtwn, 1458a, 33, come per esempio da casa via e non via da casa), e ignorava che sono proprio le espressioni inusuali a produrre nel linguaggio to; mh; ijdiwtikovn (1459a, 3) il non ordinario.

 E’dunque molto importante sapere usare queste forme di abbellimento, e soprattutto le metafore.

Questo fatto creativo non può essere preso in prestito da altri: “ eujfui?a~ te shmei'ovn ejsti: to; ga;r eu\ metafevrein to; to; o{moion qewrei'n ejstin” (1459a, 6 - 7), ed è segno di talento: infatti trovare buone metafore significa osservare ciò che è somigliante[3].

 

“E’ in questo senso che un poeta dice: “La realtà è un luogo comune dal quale sfuggiamo con la metafora”. La metafora letteraria stabilisce una comunicazione analogica tra realtà assai lontane e differenti, dando intensità affettiva all’intelligibilità che produce. Generando onde analogiche, la metafora supera la discontinuità e l’isolamento delle cose”[4].

“Le due realtà, identificandosi nella metafora, cozzano l’una con l’altra, si annullano reciprocamente, si neutralizzano, si materializzano. La metafora diviene la bomba atomica mentale”[5].

 

Nella Retorica Aristotele dà questo suggerimento: "bisogna rendere peregrino il linguaggio (dei' poie'n xevnhn th;n diavlekton), poiché gli uomini sono ammiratori delle cose lontane" (III, 1404b).

 

 Un'affermazione che trova echi nello Zibaldone di Leopardi dove leggiamo:"le parole lontano antico , e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non determinabili e confuse"(1789). E, più avanti (4426):"il poetico, in un modo o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago".

 

 La metafora del resto possiede in massimo grado chiarezza (to; safev~), piacevolezza (to; hJduv) e stranezza (to; xenikovn), e non è possibile prenderla da altri (Retorica , III, 1405a).

 

Faccio l’ esempio di una bella sequenza polimetaforica dei Persiani di Eschilo dove l’u{bri~ è congiunta all' a[th :" u{bri" ga;r ejxanqou's j ejkavrpwse stavcun - - a[th", o{qen pagklauvton ejxama'/ qevro"" ( vv.821 - 822) la prepotenza infatti fiorendo dà per frutto una spiga di/ acciecamento, da dove falcia una messe tutta di lacrime.

 

“I Persiani sono un dramma storico, ma trascendono questo livello grazie all’interpretazione che in essi riceve l’evento: la vittoria dei Greci è opera loro come degli dei che puniscono l’eccesso con l’empietà (…) Il dramma resta naturalmente anche un documento storico e non si dovrà dimenticare che il grande resoconto della battaglia fu scritto da un uomo che vi prese personalmente parte”[6].

 

 

Tornando alla Poetica, Aristotele ribadisce che il poeta è un imitatore: “ ejsti mimhth;~ oJ poihthv~ ” (1460b, 8), come un pittore (wJsperei; zwgravfo~) o un altro ritrattista (eijkonopoiov~); allora è necessario che egli imiti in uno dei tre modi che ci sono: o come le cose erano o sono, o come dicono e sembrano, o come dovrebbero essere (1460b, 10). Ebbene Sofocle diceva che rappresentava gli uomini come devono essere, Euripide come sono"(1460b, 34).

Questa famosa affermazione attribuita dal filosofo stagirita al poeta di Colono dà un'idea della differenza tra l'idealismo eroicizzante di Sofocle, e il realismo di Euripide che secondo Aristofane e Nietzsche comincia a degradare l’eroe[7].

Insomma: se il poeta è un imitatore al pari di ogni altro artista, e si accusa il drammaturgo perché ha ritratto cose non vere, allora può darsi che egli le abbia rifatte come vorrebbe che fossero.

giovanni ghiselli

 

 

 



[1] Bettini utilizza questo passo di Aristotele per indicare un nesso tra enigma e incesto:"Aristotele, definendo la aijnivgmato" ijdeva, dice che il procedimento dell'enigma consiste nel "parlare di cose vere legando fra loro adynata ", cioè cose che non possono (almeno in apparenza) esser legate fra loro. L'incesto, naturalmente, verifica per l'appunto questo principio. Come si può essere contemporaneamente "padre" e "fratello" dei propri figli?" (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 145).

Nell'Oedipus di Seneca si trovano intrecci dove si mescolano e confondono entità diverse, e tali che dovrebbero rimanere divise:"Effetto della malattia è appunto quello di confondere, di identificare quello che altrimenti dovrebbe restare diviso. Non c'è più distinzione di età o di sesso: i giovani muoiono contemporaneamente ai vecchi, i figli contemporaneamente ai padri. Nella descrizione della peste, Seneca sembra dunque applicare lo stesso principio codificato altrove da Aristotele per l'enigma: sunavyai ajduvnata. Come l'incesto ovviamente, come l'arcobaleno" (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 148).

[2] Forse è l’Arifrade ponerov~ che viene a sua volta sbeffeggiato da Aristofane nei Cavalieri (vv. 1281 sgg. e nelle Vespe (1280 sgg,) per come ha appreso a lavorare di lingua, inquinandosela nelle voluttà nefande dei bordelli.

[3] Intelligenza in greco si dice suvnesi" una parola che tradotta radicalmente significa capacità di mettere insieme cose distanti, di vederne le somiglianze, e se è vero, come afferma il Menone di Platone, che "la natura è tutta imparentata con se stessa," th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh""(81d), coglierne ed evidenziarne i legami di parentela è compito del genio, del poeta. La stessa cosa afferma Dostoevskij in I fratelli Karamazov :"il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certomigliore "(p.402).

 Facciamo l’esempio di una bella metafora, tratto da Eschilo, l'autore che ce ne fornisce la scelta più ampia siccome conserva la rigida grandiosità del rituale e l'enfasi ieratica del linguaggio liturgico:"dia; dev toi genu'n iJppivwn - kinuvrontai fovnon calinoiv", attraverso le mascelle dei cavalli, le briglie arpeggiano strage(I sette a Tebe , vv. 122 - 123).

[4] E. Morin, La testa ben fatta, p. 94.

[5] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 48.

[6] A. Lesky, La poesia tragica dei Greci, p. 125.

[7] Cfr. F. Nietzsche: “mentre Sofocle dipinge ancora caratteri interi, aggiogando il mito al loro raffinato sviluppo, Euripide dipinge ormai solo grandi tratti caratteristici, che sanno rivelarsi in violente passioni; nella commedia attica nuova ci sono soltanto maschere con una sola espressione, vecchi frivoli, lenoni gabbati, schiavi scaltri in instancabile ripetizione” (La nascita della tragedia, capitolo 17, p. 117).

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