Stazio 45-96
Tebaide (composta tra l’80 e il 92)
I libro
Come lezione finale di questo corso della Primo Levi, presenterò la Tebaide di Stazio, poema di XII canti composto tra l’80 e il 92.
Molti dei personaggi di questo epos sono presenti nelle tragedie greche e pure in quelle di Seneca.
La Tebaide non è un capolavoro ma sarà utile a introdurre il successivo corso, quello che terrò in febbraio, sulla tragedia greca.
Faccio un esempio citando alcune parole dei primi versi programmatici:
“Limes mihi carmini esto-Oedipodae confusa domus” (16-17), il limite del mio poema sia la confusa casa di Edipo.
Confusa domus allude all’incesto che confonde le generazioni: il padre che è anche fratello, il figlio che è altresì marito, lo zio che è pure cognato e così via.
Per i classici, e non solo per loro, la confusione è uno dei mali peggiori.
L’ho già detto commentando il male della navigazione che mescola e confonde i popoli secondo Seneca (II e III coro della Medea)
Stazio ci servirà anche per un ripasso e per stabilire nuovi collegamenti che aiutano a ricordare.
Stazio dunque non risalirà al ratto di Europa da parte di Zeus-torello, né alla ricerca della sorella che Agenore re di Tiro impose all’altro figlio Cadmo, né racconterà la seminagione dei denti del drago nei solchi nefandi, né la storia di Anfione che con il suo canto ordinò alle rocce dei monti di ingrandire le mura di Tebe, né l’ira di Bacco contro la sua città natale, né il male che Giunone fece a Semele, a Ino, ad Atamante divenuto insano e al loro figliolo Learco, ma il confine del suo poema deve essere la confusa casa di Edipo.
Le vicende taciute da Stazio si trovano nelle Baccanti di Euripide che entrano nel mio programma. Quelle narrate nella Tebaide si leggono pure nei Sette a Tebe di Eschilo, nell’Antigone di Sofocle e nelle Fenicie di Euripide.
Perduta è invece la Tebaide di Antimaco di Colofone (V-IV secolo).
Se diamo retta a Catullo, non è stata una grande perdita:
“Parva mei mihi sint cordi monumenta sodalis
at populus tumido gaudeat Antimacho " (91, vv.9-10),
a me stiano a cuore i piccoli capolavori del mio amico (Cinna ndr.), mentre il grosso pubblico può godere del ridondante Antimaco.
Catullo chiama populus chi non capisce la sua poesia e gode del gonfio, turgido Antimaco. Invero questo poema era piaciuto a Platone per i suoi risvolti didattici: infatti utilizzava le tragedie.
“Antimaco fu il primo poeta doctus dell’antichità e dentro questi limiti fu un precursore degli Alessandrini” (Roberto Pretagostini).
In connclusione: noi studiamo alcuni poeti come i tragici greci, per la loro bellezza, potenza critica e forza morale, altri perché accrescono il nostro sapere che da solo non è sapienza, non è senz’altro sapienza, ma ne è il presupposto: il sapere dunque è propedeutico e necessario alla sapienza.
Bologna 18 dicembre 2018
giovanni ghiselli
p. s.
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