sabato 26 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. Quarto assaggio

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Ancora sulla catarsi.

La richiesta della identificazione tra lo spettatore e i personaggi tragici (Aristotele, Racine, Leopardi)

 

Secondo la teoria della catarsi, la tragedia, ben lungi dall'assecondare gli impulsi irrazionali come afferma Platone[1],  opera una depurazione dalle passioni e un rasserenamento.

“Aristotele ritiene che l’eccesso di compassione e di timore si scarichi mediante la tragedia, che lo spettatore torni a casa più freddo. Platone ritiene invece che lo spettatore diventi più emotivo e pauroso che mai”[2].

. Quando le forze malefiche hanno compiuto tutta la loro distruzione, scopriamo che nell'anima nostra rimane qualche cosa che sfugge a quel potere ed ha la capacità di nobilitare la vita umana. Allora il male svanisce, e, come stelle nella notte, brillano la bellezza, la giustizia e la generosità.

 

Sentiamolo con le parole di Bertrand Russel citato da Gilbert Murray: “What was eager and grasping, what was petty and transitory, has faded away. The things that were beautiful and eternal shine out like stars in the night[3], quanto c’era di avido e cupido, quanto c’era di insignificante e transitorio, è svanito. Le cose che erano belle ed eterne brillano come stelle nella notte.

Questo è il potere di trasfigurazione della poesia, e in particolare della tragedia greca.

 

 Gorgia aveva indicato un nesso tra la poesia, la pietà e il terrore: nell’ Encomio di Elena  il sofista dichiara di giudicare th;n poivhsin a{pasan , la poesia nel suo complesso, un discorso in versi, del quale si insinua negli ascoltatori kai; frivkh perivfobo~ kai; e[leo~ poluvdakru~ (9), un brivido pieno di terrore e una pietà grondante di lacrime.

 

Aristotele suggeisce il criterio della identificazione tra spettatore e personaggio della tragedia quando spiega che il protagonista travolto dalla catastrofe  non può essere un perfetto malvagio, se deve suscitare pietà, invece di soddisfazione, né può essere una persona ottima quella che finisce in rovina, poiché in questo caso provocherebbe ripugnanza.

Insomma il personaggio tragico deve soffrire per un errore (di j aJmartivan tinav 1453a, 10) un difetto intellettuale più che morale: piuttosto che un crimine voluto, un misfatto compiuto senza saperlo, come quello di Edipo che ha ucciso il padre suo e sposato la propria madre senza averli prima riconosciuti ; inoltre è necessario che questo disgraziato, e delinquente per sbaglio,  non sia troppo lontano dalla medietà: poiché la pietà è per chi non si merita i tormenti, il terrore per chi ci somiglia (e[leo~ me;n peri; to;n ajnavxion, fovbo~ de; peri; to;n o{moion, 1453a, 5).

 

“Nella Retorica Aristotele colloca l’aJmartiva a metà strada tra sfortuna (ajtuvchma) e ingiustizia (ajdivkhma): l’aJmavrthma presuppone un atto volontario ma senza malvagità (mh; ajpo; ponhriva~), Rhet. 1374b”[4].

 

Racine nella Prefazione alla sua Fedra (1677) scrive che  il  carattere della protagonista : “ possiede tutte le qualità che Aristotele esige dall’eroe tragico e che sono adatte a provocare la compassione e il terrore. In verità Fedra non è del tutto colpevole né del tutto innocente. Essa è trascinata dal suo destino e dalla collera degli Dei in una passione illegittima, della quale è lei per prima ad essere inorridita”.

 

Leopardi nota che “la poesia, i drammi, i romanzi, le storie, le pitture ec. ec. non possono durevolmente né molto dilettare se versano sopra uomini di costumi, opinioni, indole ec. ec. e quasi natura affatto diversa dalla nostra (…) onde Aristotele non voleva che il protagonista della tragedia fosse troppo eroe (…) Da per tutto l’uomo cerca il suo simile, perché non cerca e non ha mai altro scopo che se stesso…”[5].

 

L'arte dunque è mimèsi, e, all'interno di tale categoria, la tragedia si propone, come Omero, di imitare personaggi migliori di quelli reali; la commedia peggiori.

 

Nel prologo del film Melinda e Melinda di Woody Allen c’è una battuta azzeccata sulla differenza fra tragedia e commedia: “tragedy confronts, comedy escapes”, la tragedia istituisce confronti, la commedia è evasione.

La tragedia insomma vede l’uomo quale problema e presenta ogni sua azione come problematica    

Dopo la fine (lieta) delle vicende di Melinda, il medesimo personaggio della cornice teorica, un commediografo, conclude: “we laugh because it masks our real terror about mortality”, noi ridiamo per mascherare il reale terrore della nostra mortalità.

 

 

giovanni ghiselli

26 dicembre ore 11

 

 

[1] “Bisogna concedere che Omero sia sommamente poetico e il primo dei poeti tragici, ma sapere che  si devono ammetere nella città solo inni agli dèi ed encomi per i buoni. Se invece accoglierai la Musa drogata (th;n hJdusmevnhn Mou'san), in canti lirici ed epici, piacere e  dolore regneranno nella tua città al posto della legge e del ragionamento che di volta in volta sembri essare il migliore per la comunità”,  Platone,   Repubblica, 607a.

[2]  Nietzsche, Frammenti postumi, ottobre-dicembre 1876, 19  (99)

[3] Euripides and his age, p. 243.

[4] Avezzù-Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 325.

[5] Zibaldone, 1848.

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