Argomenti
Ancora sulla
catarsi.
La richiesta
della identificazione tra lo spettatore e i personaggi tragici (Aristotele,
Racine, Leopardi)
Secondo la teoria della catarsi, la tragedia, ben
lungi dall'assecondare gli impulsi irrazionali come afferma Platone[1], opera una depurazione dalle passioni e un rasserenamento.
“Aristotele ritiene che l’eccesso di compassione e di
timore si scarichi mediante la tragedia, che lo spettatore torni a casa più
freddo. Platone ritiene invece che lo spettatore diventi più emotivo e
pauroso che mai”[2].
. Quando le forze malefiche hanno compiuto tutta la
loro distruzione, scopriamo che nell'anima nostra rimane qualche cosa che
sfugge a quel potere ed ha la capacità di nobilitare la vita umana. Allora il
male svanisce, e, come stelle nella notte, brillano la bellezza, la giustizia e
la generosità.
Sentiamolo
con le parole di Bertrand Russel citato da Gilbert Murray: “What was eager
and grasping, what was petty and transitory, has faded away. The things that
were beautiful and eternal shine out like stars in the night”[3], quanto c’era di
avido e cupido, quanto c’era di insignificante e transitorio, è
svanito. Le cose che erano belle ed eterne brillano come stelle nella
notte.
Questo è il
potere di trasfigurazione della poesia, e in particolare della tragedia greca.
Gorgia
aveva indicato un nesso tra la poesia, la pietà e il terrore: nell’ Encomio
di Elena il sofista dichiara di giudicare th;n poivhsin
a{pasan , la
poesia nel suo complesso, un discorso in versi, del quale si insinua negli
ascoltatori kai; frivkh perivfobo~ kai; e[leo~ poluvdakru~ (9), un brivido pieno di
terrore e una pietà grondante di lacrime.
Aristotele
suggeisce il criterio della identificazione tra spettatore e personaggio della
tragedia quando spiega che il protagonista travolto dalla
catastrofe non può essere un perfetto malvagio, se deve suscitare
pietà, invece di soddisfazione, né può essere una persona ottima quella
che finisce in rovina, poiché in questo caso provocherebbe ripugnanza.
Insomma il
personaggio tragico deve soffrire per un errore (di j aJmartivan
tinav, 1453a, 10) un difetto
intellettuale più che morale: piuttosto che un crimine voluto, un misfatto
compiuto senza saperlo, come quello di Edipo che ha ucciso il padre suo e
sposato la propria madre senza averli prima riconosciuti ; inoltre è necessario
che questo disgraziato, e delinquente per sbaglio, non sia troppo
lontano dalla medietà: poiché la pietà è per chi non si merita i tormenti, il
terrore per chi ci somiglia (e[leo~ me;n peri; to;n ajnavxion, fovbo~ de; peri;
to;n o{moion, 1453a, 5).
“Nella Retorica Aristotele
colloca l’aJmartiva a metà strada tra sfortuna (ajtuvchma) e ingiustizia (ajdivkhma): l’aJmavrthma presuppone un atto volontario
ma senza malvagità (mh; ajpo; ponhriva~), Rhet. 1374b”[4].
Racine nella Prefazione alla sua Fedra (1677) scrive
che il carattere della protagonista : “ possiede tutte le
qualità che Aristotele esige dall’eroe tragico e che sono adatte a provocare la
compassione e il terrore. In verità Fedra non è del tutto colpevole né del
tutto innocente. Essa è trascinata dal suo destino e dalla collera degli Dei in
una passione illegittima, della quale è lei per prima ad essere inorridita”.
Leopardi nota che “la poesia, i drammi, i romanzi, le storie, le pitture
ec. ec. non possono durevolmente né molto dilettare se versano sopra uomini di
costumi, opinioni, indole ec. ec. e quasi natura affatto diversa dalla nostra
(…) onde Aristotele non voleva che il protagonista della tragedia fosse troppo
eroe (…) Da per tutto l’uomo cerca il suo simile, perché non cerca e non ha mai
altro scopo che se stesso…”[5].
L'arte
dunque è mimèsi, e, all'interno di tale categoria, la tragedia si propone, come
Omero, di imitare personaggi migliori di quelli reali; la commedia peggiori.
Nel prologo
del film Melinda e Melinda di Woody Allen c’è una battuta
azzeccata sulla differenza fra tragedia e commedia: “tragedy confronts,
comedy escapes”, la tragedia istituisce confronti, la commedia è evasione.
La tragedia
insomma vede l’uomo quale problema e presenta ogni sua azione come
problematica
Dopo la fine
(lieta) delle vicende di Melinda, il medesimo personaggio della cornice
teorica, un commediografo, conclude: “we laugh because it masks our real
terror about mortality”, noi ridiamo per mascherare il reale terrore della
nostra mortalità.
giovanni
ghiselli
26 dicembre
ore 11
[1] “Bisogna concedere che Omero sia sommamente poetico e il primo dei poeti tragici, ma sapere che si devono ammetere nella città solo inni agli dèi ed encomi per i buoni. Se invece accoglierai la Musa drogata (th;n hJdusmevnhn Mou'san), in canti lirici ed epici, piacere e dolore regneranno nella tua città al posto della legge e del ragionamento che di volta in volta sembri essare il migliore per la comunità”, Platone, Repubblica, 607a.
[2] Nietzsche,
Frammenti postumi, ottobre-dicembre 1876, 19 (99)
[3] Euripides and
his age, p. 243.
[4] Avezzù-Guidorizzi, Edipo
a Colono, p. 325.
[5] Zibaldone,
1848.
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