Ero rimasto solo come sempre
nella mia vita mortale. Da Judith ero arrivato solo l’ultima sera. Tardi, come
con tutte le altre, amanti colte e non colte. Nel senso di raccolte e pure di cólte. Perché tardi son giunto. Ho sempre avuto delle sfasature nei tempi dell’amore.Benozzo Gozzoli, Il Corteo dei Magi
Contai i miei Búcsú est: dieci. Mi sovvenni del tempo in cui sapevo sedurre le donne europee. A Debrecen si sentiva davvero l’Europa, come notava Fulvio. Le donne delle varie università europee portavano là nella puszta le Grazie e le Muse dell’Europa, la bellezza e la poesia, dolcissima coppia. Io volevo essere l’aedo di quella biga seguita dall’eletto corteo di Magi e devoti, perché non se ne perdesse la memoria.
Anche questa meta mi aveva indicato Fulvio.
Bevvi un altro bicchiere da “l’Ongarese – Bottiglia[1]” che faceva pullulare i ricordi. Gli amori, gli amici. Se era sparita anche Ifigenia, restavano poche presenze umane.
“L’Europa - pensai - sarà degradata, ma resta pur sempre l’erede della cultura dei Greci mediata attaverso i Latini."
Quando non bastava il mio inglese, con le finniche impiegavo il latino. Nel 1966 riuscii a fare ripartire l’automobile recalcitrante chiedendo aiuto in latino a un magiaro di un villaggio dell’Ungheria profonda.
E poi: la giustizia di Esiodo, di Solone, di Eschilo, la pietà religiosa e umana di Sofocle, la mente che rende malato l’eroe dell’eretico Euripide,
l’eroismo guerriero del poeta sovrano, la Paideia di Platone, il momento opportuno di Isocrate, il piacere calcolato di Epicuro, la Provvidenza degli Stoici, il Nulla di troppo e il Conosci te stesso di Delfi, l’ombelico del mondo. Nei Greci c’era in potenza già tutta l’Europa. Loro mi hanno insegnato ogni cosa: anche a piacere. A loro devo in gran parte perfino i miei amori.
Cominciarono a cantare i vari gruppi divisi per nazioni. A turno cantavano. Ma non politicamente come si faceva noi tra il 68 e il 74. Cantavamo in coro Bella ciao e Bandiera rossa. Io credo nella bellezza, nell’arte e nell’amore, ma non senza politica. La presenza della polis è essenziale nella vita di un uomo che non sia um ciclope, un cannibale che mangia gli ospiti a pranzo e a cena.
Venne a parlare con me un’austriaca cui mi aveva indicato Judith. Le aveva detto che mi piacciono Fassbinder e Wenders. Questa ragazza, Gudrun, una bionda, studiava cinema. Mi chiese se uscivo con lei a fare due passi. Fuori c’era odore di autunno, un’aria quasi fredda e un poco nebbiosa, Gudrun aveva diciannove anni. Pensai alla figlia finlandese perduta e alla possibile adozione di un’altra. Quell’aborto mi aveva tolto la voglia di mettere al mondo dei figli. Rendere pregna una donna non è più il destino di chi ha perduto una figlia del poprio sangue. Già a Ifigenia facevo un poco da padre sebbene avesse solo dieci anni meno di me. Tornato a Bologna, avremmo amoreggiato e saremmo andati al cinema, a teatro, in bicicletta insieme. Avremmo parlato, l’avrei educata e lei avebbe educato me.
Parlammo un poco dei film Falso movimento e Le lacrime amare di Petra von Kant, poi sorrisi alla ragazza bionda e mi scusai del fatto che volevo rientrare: sentivo freddo e rabbrividivo nella mia tunica leggera da sacerdote egizio, magari di Iside che Plutarco etimologizza con oi\da.
Un rimedio ai brividi di freddo poteva essere abbracciare quella fanciulla, stringermela al petto, ma non mi era sembrato il caso. Ogni cosa a suo tempo, diceva la mamma mia santa. Ifigenia, la mamma, la nonna già morta purtroppo, le zie, le “sorelle Materassi” secondo la mamma che ne era un poco gelosa. Sarei tornato presto da loro. Le sentivo dentro di me e sopra di me. Erano presenti, mischiate con l’odore del bosco di Debrecen e con le stelle che luccicavano sopra gli alberi immensi che svettavano sulla nebbiolina autunnale.
giovanni ghiselli
p. s
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