martedì 29 dicembre 2020

6 incontri sulla tragedia greca. XV assaggio. Le parti “quantitative”

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Riporto anche una divisione della tragedia in parti quantitative (kata; de; to; posovnPoetica, 1452b, 15) che può essere utile a uno studente di liceo. Il Prologo è la parte (recitata) che precede l'ingresso del coro; la Parodo è il primo canto del coro (quello di ingresso), i successivi si chiamano Stasimi (canti sul posto); Aristotele definisce lo stasimo “canto del coro privo di anapesti e trochei” (Poetica, 1452b, 24), che dovrebbe essere un canto moderato, simile al recitativo; gli Episodi sono gli atti recitati, compresi tra un coro e l'altro; l'Esodo è la parte finale, cui non segue un canto corale; il Commo è un lamento comune cantato (a voci alterne) dal coro e dalla scena: kommo;~ de; qrh'no~ koino;~ corou' kai; ajpo; skhnh'~.

“Come sinonimo di amebeo lirico viene spesso usato il termine kommov~. In realtà il kommov~ (da kovptomai = “percuotersi” il petto o il capo in segno di lutto) è propriamente un canto antifonale di carattere funebre, un qrh`no~ che riprende forma e motivi dal lamento rituale tradizionale, in cui un solista intona il lamento ed un coro risponde. Kommoiv di questo tipo sono ben attestati nella tragedia. Essi si pongono su una linea di sostanziale continuità con le descrizioni di pianto rituale già testimoniateci dai poemi omerici (ad esempio Il. 24, 719 - 776 e Od. 24, 35 - 94), con il ricorrere di elementi topici quali l’allocuzione al morto, l’autocommiserazione, l’elogio dello scomparso, il ricordo nostalgico del passato, il riferimento alla condizione del defunto e dei sopravvissuti, la promessa di adeguate onoranze funebri (….) L’esempio più antico di kommov~ tragico è quello dell’esodo dei Persiani di Eschilo tra Serse, che intona e guida il lamento, e il Coro, la cui funzione è di rispondere e di amplificare l’espressione di cordoglio. Oggetto del compianto è la sorte dei soldati che il re ha portato alla disfatta nella sciagurata spedizione contro la Grecia (vv. 1038 ss.)”[1].

Infine Aristotele giunge a un giudizio comparato tra epica e dramma, assegnando il primo posto alla tragedia, poiché essa contiene tutti gli elementi dell'epopea e in più lo spettacolo scenico e la musica. Inoltre il dramma ha maggiore vivezza di rappresentazione e riesce più gradito anche perché è meno diluito: l'Edipo re consta di un numero di versi dieci volte inferiore a quello dell'Iliade (da 1500 a 15000 circa). “To; ga;r ajqrowvteron h{dion h] pollw'/ kekramevnon tw'/ crovnw/ ” (1462b, 1), in effetti ciò che è concentrato è più gradevole di quanto è diluito in molto tempo. 

 

Sappiamo che "il ritardare è epico"[2], mentre il tragico si affretta alla conclusione; l'epos e il suo corrispettivo moderno, il romanzo, sono stati paragonati a grandi fiumi dal lento fluire, il dramma potremmo assimilarlo a un impetuoso torrente montano che precipita di roccia in roccia offrendo però lo spettacolo di catastrofi fatte di sangue e fragore il cui rombare prima ci stordisce, poi ci libera dalla parte oscura e irrazionale.

Nell’introdurre i tre grandi tragici, non avendo abbastanza posto per rendere conto di ogni aspetto della loro poesia né dei loro contenuti, daremo uno spazio prevalente al rapporto tra l’uomo e la donna, e alla condizione femminile.

 

Giovanni ghiselli

Bologna 29 dicembre 2020 ore 20, e 8 minuti

 

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[1] Di Marco, Op. cit., p. 259.

[2] “Goethe e Schiller, che, verso la fine dell'aprile 1797 ebbero uno scambio di lettere...sul "ritardare" in genere nei poemi omerici, lo misero addirittura in contrasto con la tensione; essi veramente non usano questa espressione, ma è chiaro che cosa intendano quando indicano il procedimento del ritardare come propriamente epico in opposizione a quello tragico (lettere 19, 21, 22 aprile). Sembra anche a me che il ritardare mediante digressioni stia nei poemi omerici in opposizione con l'anelito ad un fine, e senza dubbio Schiller ha ragione per Omero quando pensa che questi ci dia "soltanto la presenza e l'azione tranquilla delle cose secondo la loro natura" e che il suo scopo sia "già in ogni punto del suo movimento". Ma entrambi, tanto Schiller quanto Goethe, innalzano il procedimento omerico a legge della poesia epica in generale; e le parole ora citate di Schiller devono valere per i poeti epici in opposizione ai tragici" (E. Auerbach, Mimesis , p. 5).

2 commenti:

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