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Riporto anche una divisione della
tragedia in parti quantitative (kata; de; to; posovn, Poetica, 1452b, 15)
che può essere utile a uno studente di liceo. Il Prologo è la parte
(recitata) che precede l'ingresso del coro; la Parodo è il primo
canto del coro (quello di ingresso), i successivi si chiamano Stasimi (canti
sul posto); Aristotele definisce lo stasimo “canto del coro privo di anapesti e
trochei” (Poetica, 1452b, 24), che dovrebbe essere un canto moderato,
simile al recitativo; gli Episodi sono gli atti recitati, compresi
tra un coro e l'altro; l'Esodo è la parte finale, cui non segue un canto
corale; il Commo è un lamento comune cantato (a voci alterne) dal
coro e dalla scena: kommo;~ de; qrh'no~ koino;~ corou' kai; ajpo; skhnh'~.
“Come sinonimo di amebeo lirico
viene spesso usato il termine kommov~. In realtà il kommov~ (da kovptomai
= “percuotersi” il petto o il capo
in segno di lutto) è propriamente un canto antifonale di carattere funebre,
un qrh`no~ che
riprende forma e motivi dal lamento rituale tradizionale, in cui un solista
intona il lamento ed un coro risponde. Kommoiv di questo tipo sono ben
attestati nella tragedia. Essi si pongono su una linea di sostanziale
continuità con le descrizioni di pianto rituale già testimoniateci dai poemi
omerici (ad esempio Il. 24, 719 - 776 e Od. 24,
35 - 94), con il ricorrere di elementi topici quali l’allocuzione al morto,
l’autocommiserazione, l’elogio dello scomparso, il ricordo nostalgico del
passato, il riferimento alla condizione del defunto e dei sopravvissuti, la
promessa di adeguate onoranze funebri (….) L’esempio più antico di kommov~ tragico è quello dell’esodo
dei Persiani di Eschilo tra Serse, che intona e guida il
lamento, e il Coro, la cui funzione è di rispondere e di amplificare
l’espressione di cordoglio. Oggetto del compianto è la sorte dei soldati che il
re ha portato alla disfatta nella sciagurata spedizione contro la Grecia (vv.
1038 ss.)”[1].
Infine Aristotele giunge a un
giudizio comparato tra epica e dramma, assegnando il primo posto alla tragedia,
poiché essa contiene tutti gli elementi dell'epopea e in più lo spettacolo
scenico e la musica. Inoltre il dramma ha maggiore vivezza di rappresentazione
e riesce più gradito anche perché è meno diluito: l'Edipo re consta di
un numero di versi dieci volte inferiore a quello dell'Iliade (da
1500 a 15000 circa). “To; ga;r ajqrowvteron h{dion h] pollw'/ kekramevnon
tw'/ crovnw/ ”
(1462b, 1), in effetti ciò che è concentrato è più gradevole di quanto è
diluito in molto tempo.
Sappiamo che "il ritardare è
epico"[2], mentre il tragico si affretta alla
conclusione; l'epos e il suo corrispettivo moderno, il romanzo, sono stati
paragonati a grandi fiumi dal lento fluire, il dramma potremmo assimilarlo a un
impetuoso torrente montano che precipita di roccia in roccia offrendo però lo
spettacolo di catastrofi fatte di sangue e fragore il cui rombare prima ci
stordisce, poi ci libera dalla parte oscura e irrazionale.
Nell’introdurre i tre grandi
tragici, non avendo abbastanza posto per rendere conto di ogni aspetto della loro
poesia né dei loro contenuti, daremo uno spazio prevalente al rapporto tra
l’uomo e la donna, e alla condizione femminile.
Giovanni ghiselli
Bologna 29 dicembre 2020 ore 20, e 8
minuti
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[1] Di Marco, Op. cit., p.
259.
[2] “Goethe e Schiller, che, verso la fine
dell'aprile 1797 ebbero uno scambio di lettere...sul "ritardare" in
genere nei poemi omerici, lo misero addirittura in contrasto con la tensione;
essi veramente non usano questa espressione, ma è chiaro che cosa intendano
quando indicano il procedimento del ritardare come propriamente epico in
opposizione a quello tragico (lettere 19, 21, 22 aprile). Sembra anche a me che
il ritardare mediante digressioni stia nei poemi omerici in opposizione con
l'anelito ad un fine, e senza dubbio Schiller ha ragione per Omero quando pensa
che questi ci dia "soltanto la presenza e l'azione tranquilla delle cose
secondo la loro natura" e che il suo scopo sia "già in ogni punto del
suo movimento". Ma entrambi, tanto Schiller quanto Goethe, innalzano il
procedimento omerico a legge della poesia epica in generale; e le parole ora
citate di Schiller devono valere per i poeti epici in opposizione ai
tragici" (E. Auerbach, Mimesis , p. 5).
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