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Lo rinfaccio ai tanti uomini e alle tante donne insignificanti che si affollano in questi giorni cruciali
Antonio mandò a invitarla a pranzo ejpevmmye me;n ou\n kalw`n ejpi; to; dei`pnon , hj de; ma`llon ejkei`non hjxivou pro;" ejauth;n h{kein (Plutarco, Vita di Antonio, 26, 6) ma lei preferiva che fosse lui a recarsi da lei.
Shakespeare Antonio e Cleopatra:
Enobarbo, amico di Antonio, racconta ad Agrippa e Mecenate partigiani e amici di Ottaviano
“Invited her to supper : she replied
it should be better he became her guest (II, 2, 225-226) Antonio la invitò a pranzo, lei rispose che sarebbe stato meglio che fosse lui ospite di lei."
Our courteous Antony,
whom ne’er the word of “No” woman heard speak,
being barber’d ten times o’er, goes to the feast”, il nostro cortese Antonio cui mai nessuna donna aveva sentito dire la parola No, va alla festa.
Plutarco: “Eujqu;" ou\n tina boulovmeno" eujkolivan ejpideivknusqai kai; filofrosuvnhn, uJphvkouse kai; h\lqen, subito dunque, volendole dimostrare affabilità e cortesia , obbedì e vi andò (Vita di Antonio, 26, 6) .
Nel dramma di Shakespeare, Agrippa commenta il racconto di Enobarbo dicendo che la fanciulla regale diversi anni prima aveva già indotto il grande Cesare a mettere la spada nel letto: allora egli la arò e gli produsse il raccolto Royal wench!
She made great Caesar lay his sword to bed:
he plough’d her, and she cropped (II, 2, 231-233.)
E’ il topos molto diffuso dell’uomo che ara e semina la donna che si comporta come il campo arato raccogliendo il seme e producendo il frutto.
Con la sua femminilità di razza Cleopatra sapeva rendere affascinante tutto quanto faceva replica Enobarbo: “una volta la vidi saltare quaranta passi nella pubblica via,
and having lost her breath, she spoke, and panted,
that she did make defect perfection,
and, breathless, power breathe forth
e rimasta senza fiato parlava ansimando in modo da trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere.
La regalità di Cleopatra, del suo fascino, è messa in evidenza anche da Plutarco il quale scrive che la la sua bellezza in sé -auJto; to; kavllo" - non era proprio incomparabile - ouj pavnu dusparavblhton - dus - e parabavllw - getto di fianco, paragono - né tale da sbalordire quelli che la vedevano -ujd j oi|on ejkplh'xai tou;" ijdovnta" - ma la sua compagnia, aveva una presa, un tocco dalla quale non si poteva fuggire - ajfh;n (a[ptw, afferro, tocco) d j ei\cen hJ sundiaivthsi" a[fukton (Plutarco, Vita di Antonio, 27, 3). L’aspetto con la capacità attrattiva della sua conversazione hJ morfh; meta; th`" ejn tw`/ dialevgesqai piqanovthto" e il suo stile nel trattare con gli altri lasciavano un segno pungolando ajnevferev ti kevntron. Era un piacere ascoltare il suono della sua voce siccome ella volgeva facilmente la lingua come uno strumento musicale a parecchie corde kai; th;n glw`ttan w{sper o[rganovn ti poluvcordon eujpetw`" trevpousa (27, 4).
Lo scrivo perché si vergognino le balorde e i balordi che vanno in televisione senza sapere parlare e vorremmo esser sordi se non potessimo cambire canale. Meglio ancora se ci mettiamo a leggere o a correre.
Inoltre, racconta acora Plutarco, Cleopatra conosceva le lingue e con pochissimi barbari si serviva di un interprete dij eJrmhnevw" , ma alla maggior parte rispondeva personalmente da sé-toi`" de; pleivstoi" aujth; di’ aujth`" ajpedivdou ta;" ajpokrivsei" come per esempio agli Etiopi, ai Trogloditi, agli Ebrei, agli Arabi, ai Siri, ai Medi, ai Parti. Conosceva infatti molti idiomi mentre i Tolomei suoi predecessori non avevano imparato nemmeno l’egiziano e avevano dimenticato perfino la lingua macedone
Questo lo rinfaccio a quanti dicono quattro frasi incrociate di due lingue franche spacciate una per italiano, l’altra come inglese.
Concludo la seconda scena del secondo atto dell’ Antonio e Cleopatra di Shakespeare.
Mecenate dice che Antonio, sposando Ottavia, dovrà abbandonare Cleopatra per sempre.
Enobarbo lo esclude: Never : he will not.
Age cannot wither her, nor custom stale
her infinite variety: other women cloy
the appetite they feed, but she makes hungry
where most she satisfies: for vilest things
become themselves in her, that the holy priests
bless her when she is riggish ( II, 2, 237-245) ,
non lo farà mai: l'età non può appassirla, nè l'abitudine rendere stantia la sua varietà infinita: le altre donne saziano gli appetiti cui danno alimento, ma ella rende affamati dove più soddisfa, poiché le cose più vili assumono un’identità in lei tanto che i santi sacerdoti la benedicono nella sua lussuria.
Questo lo rinfaccio alle persone insignificanti che tolgono significati a tutto quanto trattano, anche alle cose più belle. Lungi da noi!
Con le ultime tre battute Mecenate Agrippa ed Enobarbo si salutano cordialmente ricordandoci la conciliazione tra i due partiti. Durerà poco del resto poiché la casta Ottavia non potrà prevalere né preponderare su “Cleopatràs lussuriosa”.
Cleopatra dava voce allo Spirito.
L’affollamento e la follia consumistica di questa domenica è ascrivibile alla categoria delle stragi
La pima nota è relativa a Cleopatra, nata e cresciuta in una famiglia che viveva da 13 generazioni in Egitto e non ne aveva imparato la lingua mentre per giunta aveva dimenticato quella macedone del primo Tolomeo. Ebbene questa ultima regina della stirpe tolemaica sapeva parlare e capire, oltre il greco e l’egiziano, anche gli idiomi di Arabi, Ebrei, Siriani, Parti e perfino Trogloditi. Poco fa dunque, mentre correvo nella notte pensando a questa donna di bellezza non incomparabile, per dirla con Plutarco, ma di fascino eccelso, mi sono venuti in mente questi versi di Manzoni:
“Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
e i color varii suscita
ovunque si riposa,
tal risuonò molteplice
la voce dello Spiro:
l’Arabo, il Parto, il Siro
in suo sermon l’udì” (La Pentecoste, 41-48)
Anche dalla bocca di Cleopatra usciva la voce dello Spirito: non per niente i santi sacerdoti la benedicevano nella sua lussuria, come ha scritto “un barbaro che non era privo d’ingegno”.
Dante la liquida con “poi è Cleopatràs lussuriosa” (Inferno V, 65).
Non commento: “parole non ci appulcro” (InfernoVII, 60).
Un altro pensiero che mi è venuto a proposito delle stragi che come ho scritto nell’aggiunta a Debrecen 57 hanno maciullato vite umane e avvelenato un’atmosfera precedente di solidarietà tra gli umani, mi pare che l’affollarsi di questa domenica nelle strade, nelle piazze e nei negozi per comprare di tutto con il rischio, anzi la quasi certezza di incrementare i contagi, sia ascrivibile in un certo modo alla mentalità stragistica: il consumo sfrenato, soprattutto in un momento come questo, è una metafora della distruzione e della morte.
giovanni ghiselli
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