Sono del parere che una patrimoniale non solo sarebbe una mano data a queste numerosissime persone povere, ma anche un segno forte della solidarietà che deve esserci tra tutte le classi sociali quando un popolo è in guerra.
Sono desideroso di contribuire anche io con il non molto che ho.
Intanto voglio dire a questi tantissimi poveri che non devono vergognarsi della loro situazione. Cristo è nato e morto, San Francesco ha scelto e amato la povertà.
Sentiamo Dante sulla povertà
millecent’anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;
né valse a dir che la trovò sicura
con Amiclate al suon della sua voce
colui ch’a tutto il mondo fe’ paura (Paradiso XI, 66-71).
Il “primo marito” è Cristo, “costui” è Francesco di Assisi il quale “coram patre le si fece unito” (XI, 62). Si unì dunque alla povertà.
Vediamo ora, per concludere l’episodio di “Amiclate” nel poema di Lucano.
Cesare vuole tornare a Brindisi dall’Epiro e verso mezzanotte si muove da solo: cunctisque relictis - sola placet Fortuna comes 509-510, lasciati tutti, gli piace la sola Fortuna come accompagnatrice.
Salta sopra le sentinelle addormentate, dispiaciuto di non poterle ingannare. Vede una barca legata con una fune a una roccia di una caverna. La dimora del barcaiolo era fatta di giunchi, Amiyclas dormiva su un morbido letto di alghe molli toro quem alga dabat 521. Domanda a Cesare quale sorte lo abbia condotto da lui.
Amicle è “securus belli: praedam civilibus armis - scit non esse casas” (Pharsalia, V, 526-527) non si cura della guerra: sa che le capanne non sono una preda per le guerre civili.
Con questo non dico che la povertà sia una cosa bella, anzi sostengo che tutti devono avere almeno necessario: casa, cibo, riscaldamento, scuola, cure mediche, cultura, e chi ha più del necessario deve dare almeno parte di tale surplus a chi subisce la carenza dei beni essenziali.
Sant’Ambrogio[1] nel De Nabuthae già ricordato da Papa Francesco, scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (12, 53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la moglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
“Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur (…) Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri" ( Ambrogio, De Nabuthae, 1 -2)
Cotidie: anche oggi.
Bologna 2 dicembre 2020, ore 11, 53.
giovanni ghiselli
p. s
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